«Non sarò più Wolverine». Così Hugh Jackman, sette anni fa, congedava l’eroe Marvel dal passato intricato e dagli artigli di adamantio, lasciando una rughetta di tristezza sul volto dei fan. Peccato che la regola numero uno di Hollywood reciti never say never, mai dire mai. E che prima o poi, merito anche del multiverso, qualcuno ti riporti in vita e sullo schermo. Nel caso specifico dell’amatissimo interprete australiano, in quei panni da cui forse non si era mai separato del tutto. Colpa o merito, scommettiamo, anche dell’amico-nemico Deadpool, conosciuto altresì come Ryan Reynolds o – a proposito di superpoteri – “il più divertente di tutta Hollywood”.
L’intervista a Hugh Jackman
I fan, in trepidante attesa del film, si sono lanciati in gossip e congetture. La più strana?
«Qualcuno sosteneva che ci sarebbe stato un numero musical di Wolverine completamente nudo».
E invece, lo rivedremo finalmente con il suo costume giallo e blu. Cosa l’ha spinta a vestire nuovamente i panni di Wolverine?
«I tanti debiti e il conto in rosso, colpa dell’aver fatto troppo teatro e poco cinema! Ancor prima di girare Logan: The Wolverine, nel 2016, annunciai che quello sarebbe stato il mio ultimo film. Me ne pentii una settimana dopo, quando vidi al cinema il primo Deadpool. Nei cinque anni successivi non feci altro che guardare e riguardare tanti film – come 48 ore, La strana coppia, Un biglietto in due, Fuga di mezzanotte – incentrati sulla giustapposizione di due personaggi apparentemente molto diversi, ma che in realtà hanno molto in comune. Mi hanno fatto ragionare su quanto e come i nostri personaggi, Wolverine e Deadpool, avrebbero potuto convivere… E poi è arrivato il fatidico 14 agosto 2022».
Cosa successe quel giorno?
«Ero in macchina e all’improvviso mi convinsi: era arrivato il momento giusto per fare quella telefonata. Sapevo che Ryan Reynolds stava avviando il tutto con il regista Shawn Levy, così mi fermai e lo chiamai. “Ryan, voglio farlo, dimmi che siamo in tempo!” (sorride, ndr). Poi un silenzio lunghissimo, temetti di essere arrivato troppo tardi, e invece era una pausa dovuta allo shock misto a felicità. Anche lui era contento e, anzi, mi confessò che aspettava quella mia telefonata da tempo».
L’amicizia con Ryan Reynolds
Deadpool & Wolverine è un film basato sull’amicizia. Com’è la sua con Reynolds?
«Ryan non è solo uno dei miei migliori amici e uno che ha sempre in casa dell’ottimo gin (ride, ndr), ma anche uno degli uomini più simpatici di Hollywood. Non mi sono mai divertito così tanto come durante queste riprese, con lui ridevo ogni giorno fino alle lacrime».
Quando vi siete conosciuti?
«17 anni fa, sul set di X-Men Origins: Wolverine, quando Deadpool è entrato nel Marvel Universe. Siamo molto uniti da allora. Credo sia raro trovare un rapporto d’amicizia in cui puoi raccontarti tutto nel bene e nel male, un legame che non è poi così diverso da un matrimonio. Perché abbia successo, il segreto è saper sostenere e valorizzare l’altro, ma anche lasciarsi la possibilità di provare vergogna e imbarazzo».
L’infanzia, la famiglia, le emozioni di un ragazzo
A proposito di successo, lei ha sempre voluto fare l’attore?
«No, desideravo diventare avvocato, poi mi sono laureato in giornalismo; la recitazione era secondaria, non la consideravo un possibile lavoro. Ho avuto un padre lungimirante, anche se non si direbbe guardando il suo curriculum. Era un contabile, ed è grazie a lui se oggi mi posso definire una persona per nulla materialista. Era disciplinato con i soldi, ma mai avrebbe cercato di risparmiare sulla mia istruzione, “l’unica cura per l’insicurezza dell’anima” diceva. Ed è così che ho abbracciato la recitazione. Dopo tre mesi di lezioni, mi offrirono un ruolo in una soap opera famosa in Australia. Quello fu il primo passo verso ciò che volevo davvero fare: le audizioni a Broadway, il cinema, Hollywood…».
Com’era lei da bambino?
«Sempre di cattivo umore. A 8 anni, mia madre Grace lasciò mio padre e tornò nel Regno Unito con le mie sorelle Zoe e Sonya. Io invece rimasi con mio padre e con i miei fratelli, Ian e Ralph, a Sydney. Tempo dopo, a 12 o 13 anni, feci di tutto affinché i miei genitori si riconciliassero. Non funzionò e mi arrabbiai moltissimo, ero furioso».
Che cosa provava allora?
«Nel momento in cui mamma se ne andò, diventai molto timoroso. Per esempio, tornavo a casa per primo ma avevo paura a entrarci, così aspettavo fuori, spaventato e frustrato. Sensazioni, queste, che hanno contribuito alla mia rabbia. Ho iniziato a stare meglio grazie alla meditazione trascendentale. E recentemente ho perdonato mia madre grazie alla terapia».
Hugh Jackman: la terapia e la meditazione
Come ha iniziato?
«Tramite sedute offerte a tutti i membri del cast sul set di The Son. Non avevo mai creduto nella terapia, ma mi sbagliavo eccome! Mi ha aiutato a mettermi nei panni delle persone che amo per capirle meglio, a essere abbastanza chiaro da dialogare con loro, a vedere il loro punto di vista. Ho anche scoperto di avere molte cose in comune con mia madre. Lo stesso senso dell’umorismo, per esempio».
E la meditazione trascendentale?
«Mi ha permesso di comprendermi davvero. È stata la pratica con cui ho capito di non essere più solo di fronte agli eventi della vita, e soprattutto sono diventato più consapevole delle mie paure. Ero un bambino molto ansioso, con tante fobie: temevo l’altezza, il buio, i giudizi. Odiavo questa sensazione, mi sentivo bloccato, proprio io che vorrei essere in grado di fare tutto. Con la meditazione i miei livelli di ansia si sono ridotti notevolmente, perché ho imparato a conoscere ciò che alimenta il fuoco della paura. Ora medito due volte al giorno, mi dà uno scopo e un senso di calma».
Impegno sociale e gentilezza
Oltre a questo, lei si dedica alla lotta contro l’Aids, la povertà e ad altre cause sociali. Da dove nasce questa propensione all’aiuto?
«Sono stato educato con un senso religioso di restituzione. Se vedi il denaro o la fama come fonte di energia, allora usala per aiutare gli altri. Lo faceva sempre Paul Newman. Ed è questo concetto che mi ha ispirato a fondare “The Laughing Man Coffee Company” nel 2011, dopo aver incontrato un coltivatore di caffè in Etiopia. Oggi aiutiamo gli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo a vendere i loro prodotti eccezionali a un prezzo equo».
Qual è il suo principio più forte, quello in cui crede di più?
Speak the truth. Dire la verità, sempre, con estrema gentilezza. Anche quando è difficile