Lo spettacolo di Giorgia Fumo è appena finito. Io esco dal Teatro Arcimboldi con un sorriso ebete impresso sul volto, neanche sforzandomi riesco a ricacciare al loro posto gli angoli della bocca. Si dice che qualcuno mi abbia persino vista accennare qualche passo di uno strano ballo, nei sotterranei dell’autosilo. Vogliate scusarmi, ma ho una giustificazione più che lecita. In testa, in fondo, avevo solo una cosa: la caduta di Gianni Sperti sulle note di Boss Bitch. Se sei confusa, non ti preoccupare, «per i Millennial è la normalità». Parola dell’insider Giorgia Fumo.

Giorgia Fumo e lo spettacolo Vita Bassa

Lasciate che ve la introduca. Nata a Roma, è cresciuta in Sardegna e ha studiato a Pisa. Ha condotto in maniera brillante due vite parallele: consulente di Market Intelligence di giorno, comica e improvvisatrice teatrale di notte. Finché ha scelto la strada che sentiva più sua. Oggi è impegnata con il tour Vita Bassa (sì, come quella che dava il tormento negli anni Duemila), uno spassoso affresco contemporaneo che guida alla scoperta della vita dei Millennial, i nuovi adulti che si barcamenano con le briciole lasciate dai loro predecessori. Non più giovani, non vogliono nemmeno essere vecchi. E così finiscono per essere presi in giro sia dai vecchi che dai giovani. Giorgia Fumo offre al pubblico un mix di osservazioni acute e aneddoti esilaranti sulla sua generazione, tra matrimoni, lavori effimeri, decluttering, viaggi che devono essere experience e cuori spezzati ricostruiti sui social. Insomma, un viaggio nella generazione più nostalgica di sempre. Ma lascio al pilota l’onore di raccontarvelo, soprattutto considerato che probabilmente, quando Dio distribuiva il senso dell’umorismo, Giorgia Fumo mi stava tenendo il posto in fila.

Intervista a Giorgia Fumo

Incontro Giorgia un mercoledì mattina, in centro a Milano. 45 minuti e 26 secondi: questa la durata della nostra chiacchierata, iniziata con la custodia di un pennello da fard che le spunta e cade dalla borsa. Le sarebbe servito quella sera al Teatro Cinema Martinitt, mi spiega, per il suo nuovo monologo Giorgia Fumo Live. Ormai passa la sua vita in viaggio, salendo e scendendo dai treni e dai palchi dei principali teatri italiani. «Adoro tutto del mio lavoro: incontrare tante persone, prepararmi da sola in camerino, fare il giro dei teatri in molte città diverse. Anche se è un po’ da “scavalcamontagne”, come diceva Franca Valeri, mi piace la mia vita». E allora, scopriamola!

Come ti piace descriverti agli altri?

«Sono solare, sono del Toro e mi piace far ridere. E poi, a questo punto della mia vita, mi posso definire a tutti gli effetti una comica».

La comicità è venuta da te o l’hai cercata tu?

«C’è sempre stata. Vengo da una famiglia di persone molto spiritose, con la battuta pronta, brave a ribaltare le situazioni. E che hanno sempre preso tutto molto sul ridere, tragedie incluse: quindi fin da piccola quello è stato per me il modo abituale di affrontare le questioni, anche quelle più complesse. Ero io, per esempio, la prima a fare le imitazioni dei professori quando prendevo un brutto voto. O a mettere l’asciugamano in testa per far ridere i miei, quando li vedevo giù. Organizzavo le recite con i cugini, obbligandoli a partecipare».

Ma non sei diventata subito una standup comedian. Dopo la laurea in ingegneria, hai fatto la digital strategist. E non è da molto che puoi definirti a tutti gli effetti una comica.

«Esatto, nel mio spettacolo infatti definisco ironicamente il mio percorso come una scala discendente. Il cui prossimo gradino, di questo passo, è vendere candele su Etsy. A parte gli scherzi, quello della comica è assolutamente il lavoro che sento più mio. Ci faccio dell’ironia perché credo che socialmente ci sia ancora, anche se a volte solo sottotraccia, una sorta di classifica dei lavori: alcuni sono veri e seri, altri lo sono meno. Quando sei piccola vuoi fare la comica, la ballerina, la speleologa, e poi da grande finisci per fare il revisore contabile. Ecco, io ho fatto proprio il contrario: ho recuperato tutto quello che mi piaceva fare a dodici anni e mi sono detta: “Adesso sono grande, è arrivato il momento di realizzare quei sogni”. Questo è ciò che mi rende più contenta: fare quello che mi piace».

E prima, invece, cosa facevi?

Anche se ho cambiato strada, non ho mai sofferto i percorsi intrapresi prima. Mi è piaciuto molto studiare ingegneria dopo il liceo classico, un’esperienza faticosa ma anche formativa. Ho scoperto cose di me che non sapevo, ho scoperto di saper fare cose che nemmeno immaginavo. Per me è stata una bella sfida. Grazie alla mia tesi in matematica sono poi arrivata al digital marketing, in una piccola agenzia dove ho potuto mettere in pratica le mie idee. In realtà è stato tutto molto casuale, considerato che io avevo studiato logistica, produzione industriale e tecnologia meccanica. Ho scoperto che mi piace molto prendere qualcosa che ho imparato in un certo ambito e portarlo in un altro. Tutto poi mi è servito (anche come osservatorio per inventarmi nuove battute!)».

C’è stato un momento preciso in cui hai deciso di cambiare strada e fare della comicità il tuo unico lavoro?

«Ci sono stati due momenti diversi, uno triste e uno un po’ più allegro. Per quanto riguarda il primo, durante la pandemia (e la cassa integrazione) mi sono resa conto che avevo puntato tutto su quello che io ritenevo essere il cavallo sicuro. Poi però di fatto è bastato che qualcuno dall’altra parte del mondo si mangiasse un pipistrello perché la cosa sicura scomparisse. Mi sono chiesta: “Non è che allora forse vale la pena dare una chance anche al lavoro meno sicuro?”. Secondo la mia matematica assolutamente personale, se era successa una cosa orrenda allora era possibile che se ne verificasse anche una bella. Era il 2020 e mi sono detta: proviamo! Quello è stato il mio primo anno di Comedy Central, che è un po’ l’occasione di dimostrare a tutti che fai sul serio. Ho poi iniziato a scrivere il mio spettacolo e a portarlo in giro. Ma la doppia vita era davvero molto faticosa.

Digital strategist di giorno, comica di notte. Come gestivi i due lavori?

Con fatica. Arriviamo infatti al secondo momento. L’anno scorso ero a Milano per l’ultima puntata della Repubblica Indipendente della Comicità al Teatro Filodrammatici. Quella sera la mia collega dell’ufficio mi aveva ospitata sul suo divano, perché io ero talmente stravolta da essermi dimenticata di prenotare due notti in hotel. Sul quel divano, guardando nel buio, ho pensato: “Sono stanca, è ora di prendere una decisione”. L’ho presa il mattino dopo, licenziandomi. Fortunatamente sono andata in pace, senza sbattere porte».

E così hai iniziato a dedicarti interamente al tuo spettacolo Vita Bassa. Da dove è venuta l’idea per questo titolo?

«Il titolo si ispira alla vita bassa dei jeans che noi Millennial portavamo da adolescenti, ma nasconde anche un altro significato. La vita “bassa” è quella di chi, come me, oggi ha tra i 30 e i 40 anni. Quando siamo entrati all’università, più o meno intorno alla caduta di Gianni Sperti ad Amici, lo abbiamo fatto con una promessa, mai mantenuta. Anzi, ne siamo usciti già schiaffeggiati, inseguiti com’eravamo dalle riforme. Dovevamo correre fortissimo per rimanere sempre nello stesso identico punto. Questo ha sfiancato un’intera generazione, noi siamo arrivati alla menopausa motivazionale molto in fretta, prima dei quarant’anni. Perché ci guardiamo e ci diciamo: “Se fossi stato giovane negli anni Ottanta, fra cinque anni avrei potuto essere in pensione. Invece siamo all’inizio, e siamo già stremati”. Ecco, partendo da queste considerazioni tristi, ho pensato: potremmo riderci sopra, facciamone una fotografia!».

Vita Bassa è quindi una sorta di confronto generazionale in chiave divertente. Come si fa a infiltrare dei temi così seri – come i contratti precari, gli affitti gonfiati in case compresse, le bugie sul futuro – in una stand-up comedy?

«Credo che ogni cosa tragica abbia un’angolazione che la rende paradossale, permettendo di riderci su. Girare la tazzina finché non ci trovo una macchia. Ecco per me è così, è come se io tenessi in mano l’argomento, lo girassi e lo osservassi da tanti punti di vista diversi, finché non ne trovo uno che mi diverte. E se fa ridere me che scrivo, allora forse può far ridere anche altre persone. Migliaia, con cui condivido i lati meno belli della vita, pur riuscendo a prenderli in giro».

E infatti, ascoltandoti durante lo spettacolo, è impossibile non pensare “È proprio vero!”. Tutto quello che dici è “relatable”, perché parte di un’esperienza comune in cui tutti possono riconoscersi. Dove prendi l’ispirazione?

«Fondamentalmente racconto ciò che vedo, mi ricordo i momenti esatti in cui sono nate le mie battute. L’idea può venire da un meme o da un TikTok. Spesso da LinkedIn, lì l’ispirazione non manca: se vuoi farti due risate vere, devi leggere i profili LinkedIn (quello di Giorgia recita: «Prima facevo ridere in ufficio, ora faccio ridere sul palco», ndr). Un’altra grande fetta di ispirazione è stato il lavoro, con colleghi, riunioni e simili. In ogni caso è un processo che sto ancora finalizzando. Ogni spettacolo è una sorta di test: prima faccio e poi scrivo, venendo io dall’improvvisazione teatrale. Nel caso di Vita Bassa, per esempio, ho aggiunto alla scaletta battute diverse a ogni tappa del tour, improvvisate o suggerite dalle reazioni di chi mi ascolta. Ogni sera è diversa. Spostandomi in città differenti, incontro anche pubblici diversi e mi piace adattare le battute alle loro attitudini. Lo spettacolo si fa sempre a metà con il pubblico e per questo mi piace che non sia mai uguale a se stesso».

Come sta andando il tour di Vita Bassa?

«Sta andando molto bene. È emozionante soprattutto fermarmi a riflettere sul fatto che tutte quelle persone in platea vengono a vedere me, sono contente del percorso che sto facendo, contano su di me per divertirsi. Tutto questo mi dà tanta energia e adrenalina, infatti è difficilissimo prendere sonno dopo gli spettacoli! Anche per questo ho scelto di chiudere lo show, dopo un breve drop, sulle note forti di Boss Bitch, una canzone super carica che rilascia le energie».

Tu però non sei solo sui palchi dei teatri, ma anche su quelli social. Su Instagram e TikTok pubblichi contenuti divertenti, parodie e format tuoi. Come lavori lì?

«Senza strategia, per me sono un luogo libero in cui portare la mia creatività e spontaneità. Dei social mi piace la libera sperimentazione. Durante la pandemia hanno dato un palcoscenico a chi, come me, non si trovava a Roma o a Milano o comunque dove succedevano le grandi cose dell’intrattenimento. L’altra cosa bella è che i social permettono di avere un rapporto molto diretto con il proprio pubblico, con migliaia di persone che ridono grazie a te, che hanno già dimostrato che tu sai far ridere, che il tuo lavora funziona. E questa è una sorta di rassicurazione anche per chi mette in scena gli spettacoli».

Che rapporto hai con la tua community (composta da quelli che Giorgia chiama “procioni”, ndr)?

«Mi scrivono dopo lo spettacolo, ne condividono le foto, mi portano persino dei regali. Tante ragazze mi scrivono che si commuovono a vedermi sul palco, come farebbero di fronte a una cara amica che ha raggiunto un traguardo. Molti mi ringraziano, per averli fatti ridere in un momento difficile della loro vita o anche solo per aver svoltato la loro giornata. Allora capisco di avercela fatta e mi dico: ho messo su un circo che forse solo un circo non è».

Uno spettacolo che sa unire le generazioni

Mi torna in mente quel venerdì sera al Teatro degli Arcimboldi. Ogni tanto dalla mia memoria rispunta ancora quel verso “I’ma shine like gloss” e con lui le battute di Giorgia. Anche se non le riesco a capire tutte – sono pur sempre una Gen Z e non una Millennial – scoppio a ridere da sola, persino ora che le vedo apparire sullo schermo del mio pc, inseguite da un cursore affannato.

Che quella sera Giorgia Fumo abbia fatto ridere tutto il teatro non è un’iperbole. Ha conquistato tutti, dai rari esemplari di Boomer presenti in platea a qualche coraggioso giovane Gen Z – come me – che la vita bassa (forse) l’ha scampata. I messaggi della community social di Giorgia, condivisi dalla comica dopo le tappe del tour, parlano chiaro. “Se fosse durato il triplo, saremmo rimasti lì, felici e inscalfibili”. “Ho riso fino alle lacrime come non mi capitava da anni”. “Il mio fidanzato anti-social, che conosceva metà delle citazioni trash-social-gossip, mi ha appena detto che ora andrà a vedere il documentario di Ilary Blasi”. Queste sono le vere soddisfazioni, «un po’ come accorgersi che sotto al palco stanno ridendo persino i tecnici e i vigili del fuoco», aggiunge Giorgia. Quella 37enne che, come l’ha giustamente descritta una fan, può definirsi non solo comica ma anche ambasciatrice suprema dei Millennial: regalatevela.