Durante la Notte degli Oscar del 1992, tenendo tra le mani la statuetta come migliore attrice protagonista per Il silenzio degli innocenti, ringraziò «le donne che sono venute prima di me e che, a differenza di me, non hanno avuto nessuna chance, alle pioniere, alle sopravvissute, alle emarginate». Ma, forse, dovremmo essere noi a ringraziare lei. Jodie Foster, 61 anni e 58 di carriera, ci ha regalato personaggi femminili coraggiosi, emozionanti, indimenticabili: da Iris, la prostituta 13enne di Taxi Driver, a Sarah, la cameriera stuprata di Sotto accusa (ruolo che l’ha portata al suo primo Oscar, nel 1989). Per anni non c’è stato film di successo in cui non ci fosse. Poi, dopo aver ricevuto nel 2013, a soli 50 anni, il Golden Globe alla carriera, ha deciso di rallentare, dedicandosi a pochi progetti a cui tenesse davvero. Tra questi, True Detective: Night Country, quarta stagione della celebre serie crime (dal 15 gennaio su Sky e Now). Interpreta la detective Liz Danvers, che indaga sulla scomparsa di 6 uomini da una stazione di ricerca in Alaska.
L’intervista a Jodie Foster
Ha esordito negli spot pubblicitari a 3 anni e da bambina ha recitato in numerosi telefilm. Questo in True Detective: Night Country è il suo primo ruolo da protagonista in una serie dal 1975. Perché proprio ora?
«Sono così vecchia? (ride, ndr). Penso che oggi le storie più interessanti, dove esplorare meglio i personaggi, siano sulle tv in streaming. Non mi interessa se appaio sul grande schermo o se finisco su un cellulare: sono qui per abbracciare il cambiamento, ci sono cose nuove che stanno accadendo e che non avremmo mai potuto immaginare di poter fare».
Night Country è ambientata in Alaska nelle lunghe notti polari. Quanto ha influito durante le riprese?
«Tantissimo. Girare al buio e sotto la neve è incredibilmente difficile. Per fortuna gli dei del meteo sono stati dalla nostra parte, non abbiamo avuto tempeste. Sono luoghi dove respiri la sopravvivenza: se la macchina si rompe o rimani senza benzina, puoi morire. Da questo elemento naturale deriva molto del fascino della serie: di fatto, è un altro personaggio».
Come la spiritualità indigena…
«Abbiamo fatto del nostro meglio per rappresentarla in modo autentico. Non sono io la protagonista di Night Country, sono le tribù della “Turtle Island”. Secondo la mitologia dei nativi il Nord America si è formato sul dorso di una tartaruga. È stato molto importante ascoltare i racconti di queste persone. La loro cultura è parte dell’identità americana».
La serie True Detective e il film su Diana Nyad
A questo punto della sua carriera, come sceglie un nuovo progetto?
«Ho lavorato 58 anni nel cinema, è stata una lunga e fantastica avventura. Ho realizzato molti degli obiettivi che mi ero prefissata, ora posso metterli da parte e continuare. Voglio fare, e voglio raccontare, ciò che mi emoziona. Questo è il motivo per cui ho deciso di recitare in Nyad – Oltre l’oceano (su Netflix, ndr), biopic sulla “maratoneta del mare” Diana Nyad che nel 2013, a 64 anni e al quinto tentativo, è stata la prima persona a nuotare da Cuba alla Florida, per 177 chilometri. E poi c’era Annette Bening, che adoro, a interpretare Diana. Io sono la sua amica e allenatrice Bonnie Stoll».
Quanto è importante un film come Nyad per le giovani donne in cerca di ruoli forti?
«Non lo è solo per le ragazze, lo è per tutti. È un film sulla forza di volontà. Ma anche sull’amicizia, un sentimento potentissimo che però non è sempre facile raccontare. Diana e Bonnie sono due donne di 60 anni che sono state amanti in passato e resteranno amiche per sempre. Tra le conquiste che abbiamo ottenuto grazie al #MeToo c’è anche questa: noi donne non dobbiamo più recitare per stereotipi, non dobbiamo più interpretare l’ideale di 30enne o 60enne, di moglie o madre o nonna. Ce ne stiamo liberando».
Dal 2013 al 2018 non ha fatto film. Sembrava avesse deciso di smettere di recitare…
«I miei 50 anni sono stati un momento difficile, duro, mi chiedevo cosa avrei potuto fare che avesse ancora un significato. È anche una fase dove molte donne cedono alle pressioni della società e, per continuare ad apparire giovani, magre e belle, vanno letteralmente fuori di testa… Io non volevo. Poi, quando ho compiuto 60 anni, ho capito che potevo essere molto più soddisfatta facendo parte di un team piuttosto che scalare la montagna da sola, che potevo stare dietro le quinte e sostenere il sogno di altri. E così è scomparsa anche la pressione che avevo lavorando da protagonista».
Preferisce recitare o dirigere?
«Sono due aspetti diversi della mia personalità, adesso dirigere rappresenta meglio ciò che sono diventata. Ho un’opinione su tutto, mi piace organizzare – sì, sono abbastanza ossessiva! – e tutte queste cose non sono ideali quando fai l’attrice, mentre sono molto utili nella regia. Avrei voluto dirigere più film, ma sono orgogliosa di quelli che ho fatto (Il mio piccolo genio, A casa per le vacanze, Mr. Beaver, Money Monster, ndr). Non sono stati grandi successi al botteghino, ma sono storie che hanno avuto un grande significato per me».
Pensa ancora di lasciare il cinema?
«No, per me è ancora una gioia poter fare film che mi interessano. Ci sono ricerche che dimostrano che le persone, dai 60 in poi, raggiungono un tipo di felicità che non hanno da giovani. Sono molto più rilassata riguardo al futuro perché, in realtà, ci sono già arrivata! Sì, sono contenta di invecchiare».