DICEVA HEMINGWAY che ai bivi importanti della vita non c’è segnaletica: è l’istinto a indicarti la direzione, e la decisione non è mai scontata. Per Lale Gül, 25enne olandese di origine turca, nata ad Amsterdam in una famiglia di immigrati ultraconservatori, trovarsi a quel bivio è stata la variazione inattesa di un destino già scritto: quello di moglie e madre, obbediente a voleri e voglie del marito, velata e sottomessa, senza altri diritti che compiacere Dio mettendo al mondo dei figli.
Il libro di Lale Gül
Ad aprirle un’altra strada è stato un libro, scritto e pubblicato all’insaputa dei genitori, diventato un caso editoriale e appena arrivato in Italia per Mondadori. Si intitola Io vivrò e racconta la vita segreta di una ragazza musulmana che, pur allevata nell’ortodossia, non crede in Dio, ama un ragazzo oc- cidentale, fa sesso, beve alcol, legge romanzi, gira senza velo. Una bomba atomica deflagrata in casa Gül senza preavviso il giorno dell’uscita, un anno e mezzo fa, quando la faccia di Lale, stampata sulla copertina, ha invaso le librerie d’Olanda esponendola alla gogna della comunità musulmana integralista. Da allora vive sotto protezione per le minacce ricevute. «Ogni volta che esce un mio articolo, mio fratello chiama insultandomi perché sono il disonore della famiglia» racconta in diretta Zoom dalla sua casa di Amsterdam in un inglese perfetto. Dice che tutto è iniziato con un diario che scriveva quando si sentiva sola. «Ogni tanto facevo leggere qualche pagina a un’amica dell’università e lei diceva che avrei dovuto farne un libro. Frequentavo un corso di scrittura tenuto da due autori famosi e anche loro mi hanno incoraggiata. Non avevo ambizioni, ma ho pensato che avrei potuto spiegare agli olandesi le condizioni in cui vivevamo».
Quali condizioni?
«Ad Amsterdam io sono cresciuta come in Turchia. I miei genitori si sono trasferiti per lavoro, pensando che prima o poi saremmo tornati indietro. Non hanno voluto integrarsi e ci hanno allevati secondo regole religiose rigidissime. Mandandoci alla scuola coranica dove ci insegnavano che le donne non possono lavorare, che nella cultura occidentale non esiste la famiglia, che le olandesi sono oggetti sessuali e i gay sono malati».
Come ha resistito?
«Frequentando la scuola pubblica. E innamorandomi di un olandese. Le mie amiche mi di- cevano: “Lascia perdere”. Ma io non capivo perché la vita di una ragazza dovesse essere così».
Quella dei ragazzi era diversa?
«Mio fratello faceva tutto quello che voleva. Io lavavo i piatti, lui usciva a gioca- re a calcio. Se mi lamentavo, la risposta era: “Tu sei donna”. Ed era mia madre a dirmelo. Dovevo nascondere i capelli, il seno, persino i piedi. In spiaggia, mentre gli altri nuotavano, io restavo seduta, vestita, a mangiare pesce fritto e patatine.
Le sue amiche che cosa dicevano?
«Si fingevano contente e poi erano piene di segreti. Magari avevano un fidanzato olandese, ma non avrebbero mai messo in dubbio le regole o la religione: loro preferivano mentire per non rimanere sole».
Lei non aveva quella paura quando ha pubblicato il libro?
«Sapevo che i miei genitori avrebbero reagito male, ma mi illudevo di poter continuare a vivere con loro. Invece sono dovuta scappare. E loro, anziché aprirsi, si sono chiusi: mia sorella piccola l’hanno iscritta a una scuola religiosa. Esce coperta dalla testa ai piedi e si sposerà a 21 anni con il primo turco che busserà alla porta con una proposta di matrimonio: è l’unica vita che conosce e pensa sia giusta».
Il matrimonio combinato sarebbe stato il suo destino?
«Sì. Ho accettato di pubblicare il libro quando mia madre ha cominciato a comprare pezzi del mio corredo. Ogni giorno mi chiedeva quale pentola volessi, ma io non volevo pentole: volevo essere libera. Avere un lavoro, guadagnare, comprarmi una casa. Volevo essere padrona di me stessa. Mamma mi diceva: Se non impari a essere ubbidiente, finirai la vita come una vecchia olandese sola con nove gatti”. Ma per me i nove gatti erano un’alternativa migliore alla vita che faceva lei». Ha ricevuto minacce dopo l’uscita del libro.
Ha mai paura?
«Sì. Qualcuno mi ha mandato perfino video con la mia decapitazione e la polizia ha ritenuto che il pericolo fosse reale. All’inizio facevo letture pubbliche, ma c’era sempre qualcuno che veniva a insultarmi. E allora ho smesso. Ho smesso anche di andare in tv, perché nessuno possa aggredirmi. Ogni tanto mi chiedo se dovrei sparire. Poi però leggo i messaggi dei ragazzi che mi ringraziano e sento che devo andare avanti a raccontare».
Raccontare cosa?
«Come vivono le ragazze nelle culture fondamentaliste o ortodosse. Ho curato un podcast in cui ho intervistato giovani musulmani, ebrei ortodossi, cristiani integralisti e tutti de- scrivevano la stessa oppressione dell’uo- mo sulla donna: le regole, le preghiere, la vita sobria, i divieti di mostrare il corpo, di bere alcol, di fare sesso. Ma noi ragazze non siamo piante: abbiamo sentimenti, desideri, la voglia di viaggiare e vedere il mondo. Solo quando avrò provato tutto e capito che cosa mi rende felice, deciderò se sposarmi e avere figli».
L’ultimo atto di ribellione che racconta nel libro è il giorno in cui ha detto no al velo.
«Non credevo più nella religione, ma dovevo rispettare delle regole. Più andavo avanti, più il malessere dentro di me cresceva. Il mio fidanzato insisteva perché parlassi di lui ai miei, e loro, che inizia- vano a sospettare, mi seguivano ovunque. Andare avanti così non potevo, e l’ho lasciato. Tutto quello che desideravo mi sembrava perso, davanti a me vedevo solo un matrimonio forzato e una vita vuota. E allora ho fatto l’unica cosa che mi sembrava in mio potere: togliermi il velo».
Non ha pensato alle conseguenze?
«Sapevo che mi avrebbero urlato dietro, e magari picchiata. Ma l’ho fatto lo stesso, con un gesto impulsivo. Non mi interessava più che gli altri fossero arrabbiati, potevano gridare ma io non avevo più intenzione di tornare indietro. Non temevo l’inferno, e neanche loro. Di lì a poco ho pubblicato il libro. E tutto il mio mondo è cambiato».