C’è una scena in Folle d’amore, il film di Roberto Faenza su Alda Merini in onda su Rai Uno il 14 marzo, in cui Laura Morante, che interpreta la poetessa negli ultimi anni della sua vita, piange davanti allo specchio mentre si mette il rossetto. È un’immagine potente, in cui l’attrice esprime tutta la fragilità e il tormento di questa grande artista dalla vita complicata, che tra il 1965 e il 1972 ha passato diversi periodi in manicomio (li racconta in L’altra verità. Diario di una diversa, Rizzoli). Non deve essere stato facile interpretare un personaggio così oscillante tra frenesia e malinconia, così distrutto nel corpo e nello spirito, come era Alda Merini negli ultimi anni in cui ancora a tratti crollava.

Laura Morante è Alda Merini in Folle d’amore, liberamente tratto da Perché ti ho perduto di Vincenza Alfano (Giulio Perrone)

Il film su Alda Merini

Una donna dall’animo dolente, capace di grande lucidità e di momenti in cui riusciva a spiazzare il suo interlocutore con giudizi tranchant, una donna libera a cui in diverse occasioni avevano tarpato le ali. «Avevo molta paura di interpretarla perché non la conoscevo così bene, l’avevo letta ma non l’avevo mai vista» racconta Laura Morante. «Dopo aver guardato le sue interviste, ho detto a Roberto Faenza: “Lei era di Milano, parla con un accento tutto diverso dal mio”». Eppure l’attrice, nata a Santa Fiora, in provincia di Grosseto, 67 anni fa, restituisce perfettamente il senso del personaggio, la parlata lenta, la sigaretta sempre accesa in mano, lo smalto sbeccato, il rossetto, le collane e quello sguardo che sembrava scavarti dentro. «Mi era già capitato di interpretare personaggi realmente esistiti, ma avevano meno riferimenti nell’immaginario collettivo. Come la scrittrice Sibilla Aleramo in Un viaggio chiamato amore di Michele Placido, che raccontava la sua relazione con Dino Campana. Lì avevo più spazio per l’invenzione, potevo staccarmi da come lei era perché nessuno se la ricordava. Qui la cosa era più ambigua, ma Faenza mi ha rassicurato: “Non mi importa nulla della somiglianza fisica, cerco altro”. Quindi ho deciso di concentrarmi sulla musica del suo eloquio, lei aveva un modo di parlare molto particolare, come se fosse sempre in ascolto di una voce».

Sofia D'Elia
Sofia D’Elia interpreta Alda Merini giovane in Folle d’amore su Rai 1. Foto di Maria Vernetti

3 attrici per 3 diversi periodi della vita di Alda Merini

L’Alda Merini scritta da Roberto Faenza è prima una ragazzina affamata di vita e di poesia (la giovane Sofia D’Elia), poi una donna sposata e in crisi (Rosa Diletta Rossi, che la impersona negli anni difficili del manicomio), quindi, interpretata da Morante, la donna che abbiamo conosciuto, che «vendeva le sue poesie alla gente per 1.000 lire, e usava le pareti di casa come taccuino». Al suo fianco, all’epoca, Arnoldo Mosca Mondadori (Federico Cesari), che l’ha aiutata a mettere in ordine i suoi poemi. «Io sono entrata all’ultimo momento nel progetto, all’inizio il regista lo aveva offerto a un’altra attrice, poi lo ha chiesto a me» mi rivela Morante.

Laura Morante circondata da libri e arte

Cosa le è piaciuto di Alda Merini? Le chiedo. «Era una persona fuori dagli schemi, che si divertiva a romperli, aveva delle sue priorità, una sua morale, una sua etica, non era certo una conformista. Un personaggio che esce così radicalmente dal seminato era molto bello da interpretare. Anche se di lei come donna non sapevo quasi nulla, se non quello che si desume dalle sue poesie» ribadisce. Laura Morante è cresciuta in un ambiente letterario e artistico, a partire dalla zia Elsa, la potente autrice di L’isola di Arturo e La Storia, e dal padre Marcello, giornalista e amante dei libri. Lei stessa è diventata scrittrice a 60 anni, con la serie di racconti Brividi immorali (La nave di Teseo). Cosa ci lascia Alda Merini oggi? Cosa può insegnare la sua poesia? «L’arte non è fatta per insegnare, ma per porre attenzione su cose che magari ci sfuggirebbero, per rendere visibili cose che magari nel quotidiano trascureremmo» mi risponde. «L’arte è sempre un dialogo, dipende dalla disposizione di chi guarda, ascolta o legge. Nessun vero artista monologa: dialoga con un ipotetico fruitore e si incontrano a metà strada. Se proprio vogliamo usare la parola insegnare, diciamo che gli artisti ci insegnano a fare quel pezzo di strada che altrimenti non faremmo».

Un altro ferragosto
Laura Morante in Un altro Ferragosto

Una lunga carriera fino a Un altro ferragosto

Il primo film di Laura Morante è Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci, del 1980, poi sono arrivati centinaia di ruoli, comici e drammatici, nel 2001 un David di Donatello per La stanza del figlio di Nanni Moretti, la tv e il teatro. Ora è anche nel cast di Un altro Ferragosto di Paolo Virzì, sequel di Ferie d’agosto del 1996. «Purtroppo c’è qualche assenza che si sente tanto (sono infatti mancati Ennio Fantastichini, Piero Natoli e Mario Scarpetta, ndr), nel film ci sono i superstiti di quel gruppo di protagonisti. All’epoca i social erano appena nati, qui invece imperversano. Fra i personaggi c’è la ragazzina della famiglia Mazzalupi che è diventata una star del web. Come in Ferie d’agosto c’era l’Italia di allora, in Un altro Ferragosto c’è l’Italia di adesso. E anche un bel po’ di malinconia» dice Morante. Che ha diretto anche due film: Ciliegine (2012) e Assolo (2016). «Non mettono in scena personaggi realmente esistiti. Sono due commedie con personaggi femminili di fantasia. Nel primo caso c’è una donna che ha paura degli uomini, nel secondo c’è una donna che è in cerca della propria autostima».

Recitare è vivere altre vite

L’interpretazione è tutto ma, spiega, «è legata a quello che vuole il regista, alla sceneggiatura, al rapporto con gli altri attori. Nel personaggio di Alda Merini ho cercato di riprodurre quello che per me significava qualcosa, senza diventare uno scimmiottamento. È un’elaborazione a partire dalle intuizioni che posso avere leggendo e anche recitando con gli altri attori». Continua: «Recitare è un modo per vivere altre vite. A volte, ma questo non accade sempre e accade prevalentemente in teatro, è un modo per tirare fuori cose che uno magari non sa nemmeno di avere, sentimenti anche violenti che nella vita nascondiamo perché cerchiamo sempre di essere gradevoli al nostro prossimo». Lei è mai rimasta sorpresa di qualcosa che ha tirato fuori? «Sì, nelle interpretazioni che io considero migliori. Io voglio sempre essere sorpresa, ma non sempre ci riesco». Tra i registi ricorda Mario Monicelli, con cui ha lavorato 3 volte «e a cui ho voluto tanto bene», e Alain Resnais,«incantata dal modo in cui lavorava». E quel pianto che è riuscita a tirare fuori in Folle d’amore? «Io piango spesso, anche di emozione. Mi ricordo una volta che stavo leggendo e mia figlia più grande, che allora era piccola, mi ha chiesto: “Mamma perché piangi?”. “Perché è bello” le ho risposto».