Cosa voleva Maria Callas? Essere amata. Una diva umana, come la definisco nel mio libro Maria Callas. La diva umana, scritto in occasione del centenario della sua nascita: il 2 dicembre del 1923 a New York, in una famiglia greca. La data è però avvolta nel mistero, come tutto nella sua vita: lei preferiva il 4 dicembre e festeggiava quel giorno.
Termina la sua esistenza in modo anch’esso misterioso, il 16 settembre del 1977 a 53 anni, quando ancora sperava di tornare sulla scena, innamorarsi di nuovo, essere felice nella sua casa-fortino di Avenue Georges Mandel, a Parigi. Accanto a lei, Ferruccio Mezzadri, autista, collaboratore, amico, membro della famiglia ristretta che aveva creato con poche persone fidate, sempre insieme, nelle stesse case, negli stessi luoghi, nella buona e nella cattiva sorte.
Maria Callas: piccole dive crescono
L’ho intervistato, insieme a chi le era più vicino, dall’amica Giovanna Lomazzi alla biografa Nadia Stancioff, per scoprire chi fosse davvero Maria, la donna dietro la Callas, la diva. Non è facile essere una bambina prodigio, tanto più se cresci in una famiglia complessa. Suo padre George fa di tutto per assicurare ai Callas un buon tenore di vita, ma la crisi del 1929 lo colpisce e la vita in America, per chi arriva da un altro Paese, non è facile. La madre Evangelia vuole che le sue figlie, Maria e la sorella Yakinthi, siano famose. Fa di tutto per farle studiare. Racconta che i passanti si fermavano quando Maria, giovanissima, cantava con la finestra aperta. Ha perso un figlio, Maria avrebbe dovuto sostituirlo ma non si sente amata dalla mamma. Ha un cattivo rapporto con il suo corpo e la madre sostiene che prenda peso per attirare le sue attenzioni. Questo è il clima in casa Callas.
«Ci vorrebbe una legge contro i bambini prodigio» dice da grande la bambina prodigio, Maria Callas. All’inizio della carriera fa avanti indietro tra New York e Atene, per poi trovare la fama e un primo amore importante in Italia, sopravvivendo a quel buco nero della storia che è la Seconda guerra mondiale. Il binomio Maria Callas-Teatro alla Scala è il simbolo del decennio d’oro del soprano, tra gli anni ’50 e ’60, quando porta le eroine tragiche che interpreta sul palco, e in cui si immedesima, a Milano e in giro per il mondo. La star del belcanto. L’unica vera diva.
L’amore vero: Aristotele Onassis
A Milano Maria vive con il suo primo e unico marito, Giovanni Battista Meneghini, in una villa borghese, l’alta società ai suoi piedi. Ma non arrivano figli e lei, a un certo punto, non vuole più un compagno-manager. Ha un colpo di fulmine. Il giro è quello: Maria Callas, l’artista più famosa del mondo, sa chi è Aristotele Onassis, il marinaio più famoso del mondo, armatore, protagonista del jet set. Un’icona greca, come lei. Sposato, come lei. Si dice che li presenti una giornalista, Elsa Maxwell. Ma alla fine della sua vita Maria, in un’intervista che sarebbe uscita postuma, dichiara che in realtà ha conosciuto Aristotele grazie a Wally Toscanini, figlia del grande direttore d’orchestra Arturo, perché intanto aveva litigato con Elsa, con cui ebbe un rapporto di odio-amore.
Sta di fatto che Callas e Onassis si avvicinano, lui la invita in crociera sul suo yacht, il Christina, lei accetta perché Meneghini, suo marito, ci tiene. Tra gli ospiti a bordo, perfino Winston Churchill. È l’estate del 1959, e nulla sarà più come prima. Per il soprano è il grande amore passionale che desiderava. L’armatore, all’inizio, ricambia con sentimenti sinceri. Poi, accade di tutto, fino all’epilogo: lui sposa un’altra, Jackie Kennedy, per interesse. Maria afferma di apprenderlo dai giornali, ma gli sarebbe rimasta accanto fino alla fine. La battaglia di Callas per il divorzio da Meneghini, quando in Italia ancora non esisteva, è una delle cose più femministe che fa.
Gli altri amori
Come l’amore obliquo con Pier Paolo Pasolini, che la dirige nel suo unico film, Medea, nel 1969. Anime belle, teste immense. L’amore non ha bisogno di etichette, di definizioni, può prescindere anche da quello che accade tra i corpi. Anche questa è un’eredità di Maria Callas, molto contemporanea. «Ti aggrappi a qualunque cosa facendo venir voglia di baciarti» scrive PPP a Maria come ricordo in epigrafe. Il tenore Giuseppe Di Stefano, uno dei tanti amanti che le sono stati attribuiti, per cui lei prova un sentimento più simile all’amicizia, la coinvolge in un’ultima tournée mondiale che il pubblico ama e la critica stronca, ma almeno la riporta sul palco.
Quando Maria gli parla della sua gravidanza, lui non ci crede. Omero è il figlio suo e di Onassis, che Maria mette al mondo in una clinica di Milano nel 1960. Muore prima che la sua nascita sia registrata. Lei ha 37 anni. La leggenda dice che lo vada a trovare dov’è sepolto. I testimoni confermano il suo intimo dramma. «Avrei voluto avere dei figli, fare una vita normale» afferma fino alla fine Maria Callas, sempre seguita dai suoi amati cagnolini.
Una diva forte e fragile. Non si esibisce senza avere con sé un piccolo quadro del 1700, La Sacra Famiglia di Giambettino Cignaroli, che oggi fa parte della collezione di Ilario Tamassia e Marco Galletti, e sarà in mostra per la prima volta a Milano, alla Veneranda Fabbrica del Duomo per la serie di celebrazioni Callas 100. Quando muoiono Aristotele, Pier Paolo, Luchino Visconti, Maria si lascia morire, come mi ha detto Pippo Zeffirelli, figlio di Franco, che con la Callas ebbe un profondo sodalizio artistico. Ci lascia il dono più prezioso che ci sia, oltre alle incisioni e alle poche testimonianze video della sua arte: la libertà. «Evviva sempre Callas», come Visconti le scrisse in un telegramma.