Il 3 aprile si celebrano 100 anni dalla nascita di Marlon Brando, forse il più grande attore che il cinema conosca. E il 1° luglio saranno 20 dalla sua morte. Marlon venne al mondo a Omaha, nel Nebraska, terzo figlio del commesso viaggiatore Marlon Brando Senior e Dorothy Pennebaker, attrice dilettante, fragile e alcolizzata. Morì nella sua villa di Hollywood, gigante solitario di 140 chili, per complicazioni ai polmoni, al cuore e al fegato. Aveva 80 anni.

L’attore della modernità

Alla sua morte il Guardian scrisse: «Marlon Brando è stato l’attore americano della modernità. Un artista che apparteneva al cerchio ristretto degli attori più sublimi, più potenti e pericolosi. Quelli capaci di trascinare personaggio e pubblico in una dimensione emozionale fino a quel momento segreta. La cosa più sorprendente è che la sua indiscussa superiorità si basa su una manciata di film e un’unica, memorabile interpretazione teatrale… Denaro, fama e adulazione furono i veleni che, una volta assaggiati, per lui si trasformarono in orrori». Non si era mai visto un simile concentrato di silenzi ed esplosioni, di introversione e animalità, di impotenza ed erotismo.

Marlon Brando sul manifesto del Torino Film Festival 2024

Un’infanzia infelice

Osservatelo nel primo piano scelto dal Torino Film Festival del prossimo novembre per rendergli omaggio: è uno scatto da Ultimo tango a Parigi, «una delle rare foto in cui guarda dentro l’obiettivo non per esigenze di scena, ma per cercare complicità. Ti sorride sornione, si mette a posto la cravatta, ti seduce. È di una bellezza inarrivabile» sottolinea il direttore del festival Giulio Base.

Una bellezza che riverbera una vita trascorsa all’insegna della ribellione e della trasgressione dopo un’infanzia infelice e abusata, che nell’autobiografia del 1994 Songs my mother taught me Marlon Brando ricordava così: «Il pensiero che mia madre preferisse ubriacarsi piuttosto che prendersi cura di noi mi scavava». Al padre riserva invece queste parole: «Provava gusto a dirmi che ero un buono a niente e che non sarei mai riuscito a fare qualcosa nella vita». E, come spesso succede, il ragazzo lo prendeva sul serio. Quando arriva a New York, si era già fatto buttare fuori dal liceo e dall’accademia militare.

Marlon Brando: bello e rude

L’unica cosa a interessarlo è la recitazione. Si iscrive così ai corsi di Stella Adler e Lee Strasberg, ovvero il Metodo Stanislavskij. Nel 1950 appare per la prima volta sullo schermo in Il mio corpo ti appartiene di Fred Zinnemann, nei panni di un veterano in sedia a rotelle, e tiene inchiodata l’America. Per prepararsi al ruolo, secondo il Metodo, ha trascorso un mese a letto al Birmingham Army Hospital, vicino a L.A. In realtà, si è già imposto a teatro 3 anni prima, quando appena 23enne reinventa lo Stanley Kowalski di Un tram che si chiama desiderio.

Narra la leggenda che Irene Selznick, la produttrice, volesse lui, Elia Kazan, il regista, pure, ma fu lasciata a Tennessee Williams, l’autore del testo, la decisione finale. Marlon Brando andò a trovarlo a Cape Cod: per prima cosa aggiustò la luce e le tubature della casa, poi si mise a leggere la parte. «Marlon Brando, con la sua gioventù, umanizza la brutalità di Stanley» disse Williams. Il 3 dicembre 1947 gli applausi durarono mezz’ora. Uomini e donne si innamorarono all’istante di questo giovane con la canotta sudata, bello come un dio greco, rude come un proletario. E quando nel 1951 la piéce arriverà sul grande schermo, il mondo intero non potrà più dimenticarlo.

Marlon Brando e Al Pacino in Il Padrino – IPA

I film indimenticabili

Marlon Brando diceva: «Perché fidarsi degli attori o dei film? Emergono dal pozzo della nostra corruzione». Eppure di film ne interpretò una quarantina. Molti brutti. Alcuni buoni. Una manciata sublimi. Tra questi lo struggente Fronte del porto, per cui vinse un Oscar nel 1955. E il leggendario Il selvaggio, con lui a capo di una banda di motociclisti, ruolo a cui ovviamente si era preparato frequentando delinquenti e finendo pure in galera per una notte. Poi Il Padrino, secondo Oscar che non si presentò a ritirare mandando al suo posto l’attrice apache Sacheen Littlefeather in difesa dei nativi americani.

Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi – IPA

E il mitico Ultimo tango a Parigi. Perché 25 anni dopo quel 1947 è un giovane regista italiano, Bernardo Bertolucci, a riconsegnare a Brando il fantasma di Kowalski, trasformando un melò nel «più potente film erotico mai fatto e forse anche il più liberatorio mai realizzato», come scrisse il New Yorker. L’incanto e il disincanto della passione erotica, la solitudine, il desiderio, l’enigma dell’uomo. Solo Marlon Brando.

La censura nel 1976 condannò il film mandando al rogo le copie per poi riabilitarlo nel 1987. «In qualche modo penso alla mia mezza età come ai “The Fuck You Years”» diceva. Appesantito per bulimia da gelati, messo al bando dagli studios per il carattere difficile, dà un ultimo colpo di coda. Quando Francis Ford Coppola lo richiama per la parte del Colonnello Kurtz in Apocalypse Now, nel 1979, lui è già altrove: la sua impreparazione e la sua mole costringono il regista a cambiare la sceneggiatura e il direttore della fotografia Vittorio Storaro a escogitare la penombra più ammaliante della sua carriera.

I tre matrimoni

Marlon Brando ha bruciato la vita: 3 matrimoni, con l’angloindiana Anna Kashfi, la messicana Movita Castaneda e la taitiana Tarita; 15 figli, tra suoi e adottati. Più infinite storie, tra cui una con Marilyn Monroe. Sempre in cerca di una pace irraggiungibile, sempre autodistruttivo e protettivo invece verso quei figli che gli infliggono dolore: Christian nel ’90 è condannato a 10 anni di carcere per aver ucciso il boyfriend della sorella Cheyenne, che finirà suicida. Gigantesco, tragico, irripetibile. «Una vera star non muore mai» diceva Norma Desmond in Viale del tramonto. «Ci siamo solo noi, gli attori, la macchina e il pubblico nel buio». Tutto il resto è mistero.