Mickey Rourke in “The palace”
È uno degli ultimi “belli e maledetti” del cinema. Uno di quegli antidivi in altalena tra momenti di gloria e cadute al tappeto che nella Hollywood patinata di oggi sono in via d’estinzione. Uno che non conosce vita da mediano, solo altissimi e bassissimi. E, avendo fatto ora l’attore ora il boxeur, a volte ritorna sullo schermo pieno di cicatrici. Il regista Roman Polanski deve averlo voluto anche per questo nel suo The Palace, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e in uscita al cinema il 28 settembre, che racconta il Capodanno del 2000 di un gruppo di ricchi e arroganti in un lussuoso hotel della Svizzera. Mickey Rourke interpreta un borioso americano tinto di biondo e con la faccia rifatta. È più ammaccato e irriconoscibile che in The Wrestler di Darren Aronofsky, per cui fu nominato all’Oscar nel 2008, ma anche insuperabile a fare il pezzo di merda che affoga paure e dispiaceri nello champagne.
All’apice del successo
Le fan, invece, li affogano nei ricordi. Nel cuore delle boomer – e forse anche delle figlie – il 71enne attore americano è rimasto come ai tempi di 9 settimane e 1/2, il film di Adrian Lyne con Kim Basinger che fu un inno alla passione e lo consacrò sex symbol nel 1986. Forse suo malgrado. Perché per i cinefili Rourke era già un’icona della gioventù ribelle e del cinema d’autore: diretto da Francis Ford Coppola in Rusty il selvaggio del 1981, sgommava sulle strade della California insieme al giovanissimo Matt Dillon. All’apice dell’ascesa lo paragonano pure a Marlon Brando, per bellezza e bravura, quando interpreta Angel Heart – Ascensore per l’inferno di Alan Parker e Barfly di Barbet Schroeder. E ancora: gira Francesco di Liliana Cavani e Ore disperate di Michael Cimino. Poi, la grande crisi.
L’infanzia complicata di Mickey Rourke
Cresciuto in un quartiere afroamericano di Miami, Mickey ha un’infanzia piuttosto complicata. I suoi divorziano e, con le seconde nozze della madre, acquisisce sei fratelli, che si aggiungono alla sorella e a un fratellastro. «Sono cresciuto tra abusi fisici e psicologici» ha raccontato l’anno scorso in una lunga e toccante intervista televisiva. «Andando via di casa, a 14 anni, ho lasciato alle spalle almeno la violenza fisica, ma non ne immaginavo le conseguenze psicologiche, quanto mi avrebbero segnato nei rapporti con le persone. L’abuso ti porta a un bivio: vivere nella vergogna sentendoti spezzato o indurirti. Per sopravvivere ho scelto la seconda strada, ma a un certo punto ho incasinato tutto, perso le conquiste fatte. Come dice il mio terapeuta – sono stato in terapia per 23 anni! – mi ero costruito una scorza così dura da spaventare gli altri. Ho cercato di ammorbidirmi, ma continuo a relazionarmi con fatica soprattutto con chi ha soldi e potere e si sente in diritto di tenerti in pugno. So di essere passato dal successo all’autodistruzione, ma per me l’uomo resta al primo posto, l’attore viene dopo».
L’amore con Carré Otis
Il punto di svolta è un film che lo arricchisce molto ma nel quale non si riconosce: Harley Davidson & Marlboro Man, girato con Don Johnson. Inizia un periodo di grande inquietudine. Sposa Carré Otis, conosciuta sul set di Orchidea selvaggia e «unico vero amore», dice lui, ma nel 1994 viene arrestato con l’accusa di violenza domestica e nel 1998 si separa. Si fa coinvolgere dalla boxe a tal punto che dice no a Quentin Tarantino per il ruolo in Pulp Fiction che andrà poi a Bruce Willis. Scrive anche tre sceneggiature, tra cui Bullet, diretto nel 1995 da Julien Temple, ma i pugni e la chirurgia gli cambiano i connotati. Dopo essere tornato a fare l’attore, ritrova il successo dei tempi d’oro solo con Sin City nel 2005 e The Wrestler nel 2008, dove il sex symbol lascia il posto a un lottatore tanto umano quanto segnato nel fisico. Quando nel 2009 viene premiato con il Golden Globe, è così provato che, nel discorso, ringrazia i suoi cani: «Quelli che ci sono ancora e quelli che sono mancati. Nella solitudine hanno significato moltissimo per me. Erano rimasti solo loro, quando mia moglie mi ha lasciato, la carriera sembrava finita ed ero pure al verde».
Contro Putin, Trump e Amber Heard
Rourke sembra consapevole di avere atteggiamenti autodistruttivi. «So di essere bravo ma, se avessi più autocontrollo, molti registi non avrebbero paura di ingaggiarmi». Non sa tenere a freno la lingua e oscilla pericolosamente tra posizioni opposte. Invitato in Russia nel 2014, dice che Vladimir Putin sembra un uomo sincero ed empatico. Ma dopo l’invasione dell’Ucraina si commuove in tv: «Di fronte a un uomo che ha perso 5 familiari, posso lamentarmi di non aver girato questo o quel film?» ha dichiarato con il
nodo alla gola, chiedendo a Putin di fermare la guerra. Lui, a parole, l’ha invece dichiarata a Donald Trump, definendolo “presidente-spazzatura” e dicendo di essersi trovato i servizi segreti a casa per le sue dichiarazioni. Non le manda a dire neppure ai colleghi. Amber Heard nel processo contro Johnny Depp si è rivelata «una cercatrice d’oro». Tom Cruise con Top Gun: Maverick «ha ripetuto lo stesso ruolo di 35 anni fa. Nel mio mondo non vale proprio nulla, del box office non me ne frega nulla. Io ammiro artisti com’erano Robert De Niro e Marlon Brando, come Chris Walken e Richard Harris. Loro sì che sono degli idoli».
Il rapporto con Roman Polanski
Confessa di avere tanti rimpianti «per com’è finito il mio matrimonio e per molte altre cose, che non si contano». E pochi obiettivi: «Girare il mio film migliore, che ancora deve arrivare, dando tutto me stesso. Magari ancora con Polanski, che Rourke ha lodato anche su Instagram suscitando critiche negli Usa, dove il regista non può rientrare da oltre 45 anni per via del processo per stupro. «Ho fatto tutto quello che questo genio voleva da me, gli ho perfino permesso di farmi indossare una parrucca bionda». A fine riprese le ha dato fuoco con l’accendino confessando il suo odio, davanti a Polanski che diceva: «Voglio fare un altro film con quest’uomo. Senza parrucca». Altri desideri? «Andare in Texas tra i cavalli per ritrovare la forma fisica e spirituale. E rivedere le persone che ho amato: mio fratello Joey, mio padre, mia nonna, il mio amico rapper Tupac Shakur, quante cose ci univano! Ma anche colleghi come Steve
McQueen e Paul Newman… Più invecchi e più si aggiungono altri al gruppo, ma sono certo che quando sarò io a lasciare questo mondo faremo una reunion». Avrà anche perso il fascino di un tempo, ma resta un’anima bella.