Un libro cult: L’insostenibile leggerezza dell’essere
Non mi ricordo se ho visto prima il film o letto prima il romanzo, ma mi ricordo che L’insostenibile leggerezza dell’essere, con quella sua delicata malinconia, in qualche modo mi ha segnato la giovinezza. L’amore struggente di Tomàs e Tereza, la libertà di Sabrina, il dolore di Franz, quella immagine dei carri armati che arrivano all’alba invadendo le strade di Praga mi sono rimaste impresse a lungo. Amavo quella storia, così rivoluzionaria, intensa, diversa. Cercavo con la memoria di recuperane le frasi, le descrizioni dei personaggi, il loro turbamento interiore, quello che li faceva muovere, amare, stupirsi, vivere. Avevo letto il libro e poi visto il film che uscì nel 1988, 4 anni dopo. O forse era il contrario. E non ero sola. Lo stesso titolo del romanzo, L’insostenibile leggerezza dell’essere, era diventata per la mia generazione un modo di dire, uno stato d’animo. Parole che identificavano una visione del mondo. Come una parola d’ordine che collegava subito chi lo aveva letto. Sì, sembravamo dirci, sono una fan di Milan Kundera anche io. Anche io ci ho trovato gli stessi moti interiori, anche a me ha mosso qualcosa dentro, anche io a volte sento la pesantezza del vivere e in fondo sogno la libertà.
Milan Kundera chi era
Sono pochi gli scrittori che riescono in questa magia. Milan Kundera, nato nel 1929 a Brno in quella che una volta era la Cecoslovacchia, ci era riuscito nel 1982, a 55 anni. Era già in Francia quando ha scritto il suo capolavoro. Vi si era rifugiato dopo essere stato espulso dal Partito comunista e avere perso il posto da docente per essersi schierato a favore della Primavera di Praga. La Cecoslovacchia gli aveva tolto la cittadinanza nel 1979, a seguito della pubblicazione del Libro del riso e dell’oblio, e per quella frase diventata celebre: “La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”. Chissà se in Cecoslovacchia avrebbe avuto la lucidità e la distanza per scrivere il suo capolavoro, se avrebbe sentito la stessa pesantezza esistenziale da cui non si riesce a fuggire, quel sentirsi esiliato, di non appartenere a nulla e nessuno, se tra le righe avrebbe messo la stessa dolente nostalgia e la capacità di indagare l’animo umano.
Dalla Cecoslovacchia alla Francia
Il romanzo fu pubblicato in Francia nel 1984, intanto le sue opere erano state già da anni vietate in patria e fu solo nel 2006, quando Kundera diede poi l’autorizzazione, che L’insostenibile leggerezza dell’essere uscì in lingua ceca. In Italia era diventato un cult e Adelphi la sua casa editrice qui in Italia continua a stamparlo e la gente a leggerlo e a innamorarsene. Anche Milan Kundera in qualche modo rimase sopraffatto dalla sua stessa storia e dichiarò una volta “Sono in overdose di me stesso”. Dopo quel romanzo, ha pubblicato L’immortalità nella sua lingua, e poi scrisse solo in francese altri 4 romanzi, e alcuni saggi. Da molto tempo era lontano dalla scena letteraria ed è morto l’11 luglio a Parigi a 94 anni. Non è però scomparso, perché le sue parole, l’analisi lucida del mondo e della politica hanno lasciato il segno: in Un occidente prigioniero accusava l’Occidente di avere assistito senza fare niente alla disgregazione dell’est (Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia) e oggi ne vediamo le conseguenze. Con la sua dipartita se ne va un pezzo di letteratura, un pezzo di storia e uno scrittore acuto e sensibile.