Bisogna diffidare da chi parla di donne senza paura. Non esistono le donne senza paura, come nemmeno gli uomini: esiste chi alla paura dà del tu e per questo la sfida, riuscendo talvolta a superarla, ma consapevole che le probabilità di rimanerne schiacciati sono altissime. Oriana Fallaci è stata “la prima” a fare tante cose: la prima (e unica) reporter italiana a Saigon durante la guerra fredda, la prima ad intervistare l’ayatollah iraniano Khomeini, probabilmente anche la prima a sfidarlo togliendosi davanti a lui il chador (uno degli episodi più citati nelle sue biografie). Una volta, è stata la prima a raccontare un’importante offensiva americana in Vietnam. Lo ha fatto perché è scoppiata a piangere davanti al generale Westmoreland, che aveva riunito tutti gli inviati prima di un’offensiva. Quando lui le ha chiesto come mai si disperasse, ha risposto: «Piango perché ho paura».

Questa confessione le ha permesso di ottenere un invito a fare il viaggio con il generale stesso, ed essere così l’unica a scrivere e pubblicare la storia ben 12 ore prima di tutta la stampa internazionale. C’è ragione di credere che in quell’affermazione non ci fosse affatto un inganno premeditato, ma una verità che lei poi ha parafrasato com’era solita fare. Di paura ne aveva eccome, ma ormai ci sapeva convivere.

Oriana Fallaci: “la prima”

Questi sono solo bozzetti, episodi sparsi colti da trascrizioni, audio e video, nient’altro che ricordi rubati. Tutto quello che ci resta per immaginare cosa dev’essere stata l’interiorità dell’Oriana (così la chiamava chi le voleva bene), una delle più grandi giornaliste italiane di tutti i tempi, e una delle donne più temute (ma anche ammirate) al mondo.

Dalla sua penna è nato un vero e proprio filone letterario, le Fallaci Interviews (“genere” che si ispira alle collezioni delle sue grandi interviste ai più grandi, contenute ne Interviste con la storia). Ma anche romanzi (Penelope alla guerra), reportage (Il sesso inutile, Niente e così sia…), autobiografie (le varie interviste a sé sessa, tra gli altri) e centinaia, migliaia di articoli. Apparsi – a partire dai suoi diciott’anni – sulle pagine de Il Mattino dell’Italia centrale, l’Europeo, ma anche New Republic, New York Times Magazine, Life, Le Nouvel Observateur, The Washington Post, Look, Stern, e Corriere della Sera.

Miriam Leone nei panni di Oriana Fallaci in Miss Fallaci

E da oggi, a cercare di raccontarla, si aggiungono anche le puntate di Miss Fallaci, miniserie in otto episodi in onda su Rai 1 dal 18 febbraio all’11 marzo, con protagonista Miriam Leone nei panni della famosa giornalista. Una serie che (ci piace pensare) le strapperebbe un sorriso, essendo nata dall’incontro tra due donne (Miriam e Alessandra Gonnella, la sceneggiatrice), in un luogo improbabile (Londra), che hanno deciso di fare una scommessa un po’ sconsiderata insieme. La loro prima collaborazione è stata per il corto A cup of coffee with Marylin, sempre su Oriana, che ha riscosso così tanto successo da diventare, quasi sei anni dopo, Miss Fallaci.

Miss Fallaci, tra finzione e realtà

Un po’ com’è capitato a lei durante il suo primo viaggio a New York, quando ha barattato il suo silenzio in cambio di «una bella storia», promettendo al direttore de L’Europeo (il giornale, tra i più importanti d’Italia, per cui firmava a 22 anni) che avrebbe trovato e intervistato in meno di una settimana Marylin Monroe. Non ce l’ha fatta ed è tornata sconfitta, ma la sua bella storia l’ha scritta davvero.

Oriana Fallaci lavora nello studio della sua casa nel Chianti

Non è un caso che la serie su una donna di successo, potente e influente, parta dai suoi fallimenti. Né che mostri i suoi momenti di sconforto, i suoi pianti: sappiamo che ci sono stati, ma in un qualche modo è come se lei stessa li avesse un po’ limati, a volte cancellati.

Miriam Leone nei panni di Oriana Fallaci in Miss Fallaci

E invece, pensandoci, l’intera vita di Oriana si potrebbe percorrere solo a partire da quelli che deve aver percepito come “fallimenti”. Il fallimento come madre (dopo almeno due aborti spontanei), come compagna (nonostante le numerose relazioni), persino come giornalista (quella “buca” presa con Marylin non sarà che la prima di tante). Ognuno di quei passi falsi l’ha spaventata, l’ha messa davanti alla possibilità di fallire, e l’ha vista invece reagire. Nell’unico modo che conosceva: proprio come con la mancata intervista a Marylin, tutto le è servito per scrivere una bella storia.

La storia di Oriana Fallaci

Oriana Fallaci

Dal dolore per l’interruzione della sua prima gravidanza (sfociato anche in veri e propri episodi depressivi), esce accettando di compiere un viaggio intorno al mondo alla scoperta della condizione femminile. Nascerà così Il sesso inutile, il suo primo reportage di successo internazionale. Dopo il secondo, scriverà Lettera a un bambino mai nato.

Dalla sua storia più importante, con il politico e intellettuale ellenico Alexandros Panagulis, durata solo tre anni (dal 1973 al 1976, anno in cui lui è morto in un misterioso incidente stradale), è nato Un Uomo. Qui Oriana ha finito il lavoro che avevano iniziato insieme, la stesura della biografia di Panagulis, compiendo la stessa ricerca minuziosa, stremante e ossessiva che ha compiuto su ognuno dei suoi intervistati. Ha scritto l’intero libro chiusa al buio in un corridoio stretto del suo appartamento di New York, per rivivere la sensazione di claustrofobia e solitudine che Panagulis doveva aver provato in cella. E alla fine ha persino ottenuto di visitarla, la stanza in cui lui ha passato più di tre anni. Un altro fallimento, non è riuscita a passarci più di venti minuti.

Rialzarsi, riscriversi, e cancellare la paura

Sarebbe facile raccontare la storia di Oriana solo come il cammino verso l’alto di una ragazza senza paura che piano piano è riuscita a farsi un nome. Sarebbe facile parlare dei primi articoli di successo, dei primi premi, del trasferimento a New York nel 1963. Ma non le farebbe onore, perché è in quei “fallimenti” che è nata la bozza della sua storia. Ed è dal suo riemergere, ricostruirsi e ripensarsi che è nata la versione finale.

Oriana Fallaci

Anche la sua ultima lotta, quella contro il cancro, è stata una battaglia persa. Lo chiamava «L’Alieno», paralizzata dalla paura tanto da non riuscire a nominarlo, e si era rassegnata alla fine impuntandosi solo sul volersene andare da New York. Intendeva morire nella sua villa a Greve, in Chianti.

Fino all’ultimo, ha continuato a scrivere: parole taglienti, lucide come sempre ma spesso dure, eccessive, ottuse. Il suo mondo stava crollando: New York era sotto attacco, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e il suo mondo privato, la sua indipendenza, stavano lasciando spazio alla morte. Sono nati così, nella paura di un mondo nuovo, di una guerra in cui non sarebbe potuta andare al fronte, i suoi lavori più controversi: Inshallah, La rabbia e l’orgoglio, La forza della ragione.

Ma se ancora come scrittrici, come donne, come madri, ci chiediamo WWOD – What would Oriana do? – è perché alla fine, nonostante le sue battaglie perse, Oriana la ricordiamo come una vincitrice. Sarà perché alla fine non vince chi non ha paura, ma chi sa tenerla fuori dalla sua storia. Il suo segreto, si dice, era contenuto in un motto breve e incisivo, duro come lei: «Ama molto, lotta tanto, vinci sempre».