«Finora il commento più frequente è stato: “Non me l’aspettavo”. Che non so se è un complimento…». Ride Paola Cortellesi, consapevole di avere tra le mani un film che, soprattutto dopo la potentissima sequenza finale, non può lasciare indifferenti. E anche di destare ancora prima di vederlo la curiosità di molti: C’è ancora domani, titolo d’apertura della Festa del Cinema di Roma e poi nelle sale dal 26 ottobre, è il suo debutto da regista. È la tragicommedia di Delia (la stessa Cortellesi) una donna nella Roma del Dopoguerra condannata a un sistema patriarcale, a un marito violento (Valerio Mastandrea) e con la sola speranza che la figlia abbia un futuro migliore del suo. Che comincia da quel finale, appunto.

Intervista a Paola Cortellesi

Non possiamo però svelarlo: rovineremmo la sorpresa.

«La ringrazio di questa premura. Diciamo che è la chiusura che avevo in mente, fin da subito, nel percorso di questa donna italiana qualunque, non politicizzata, inerme, ma che riesce a trovare una nuova consapevolezza, un riscatto. E, soprattutto, capisce di potercela fare da sola».

Raccontare questa storia anche da regista era un passaggio inevitabile?

«Direi di sì. È da una decina d’anni che con Giulia Calenda e Furio Andreotti ho iniziato a scrivere la maggior parte dei film che interpreto. Ho visto però che loro hanno un approccio da sceneggiatori puri: una volta che il copione passa nelle mani del regista, riescono a lasciarlo andare. Io invece, anche quando la direzione era affidata a mio marito (Riccardo Milani, autore dei due Come un gatto in tangenziale e tanti altri, titoli insieme, ndr) facevo tanta fatica».

Discussioni in famiglia?

«Ma certo! Con Riccardo ci siamo fatti dei pezzi…” (ride mentre pronuncia questa espressione romanesca). Che non vuol dire che poi non mi affidassi a lui. Ma in 27 anni di carriera sono sempre stata quella che restava sul set: ho imparato molto guardando il lavoro degli altri. Poi ho iniziato a scrivere le mie storie, il che mi ha dato ancora più consapevolezza. Mario Gianani, il produttore di questo film, anni fa me l’aveva detto: “Secondo me tu vuoi fare la regia”. E io: “Ma nooo, che dici?!”. C’ha visto più lungo di me».

Gianmarco Filippini, Mattia Baldo, Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea in “C’è ancora domani” (PH: Claudio Iannone)

C’è ancora domani è la storia delle donne di ieri, come le sue nonne, sua madre. Quali storie le hanno raccontato?

«Il film nasce proprio dalle storie di mia nonna, della mia bisnonna, di mia mamma che allora era piccina, di mia suocera. Me le sono immaginate bambine, ragazze, perciò ho girato il film in bianco e nero: le ho proprio viste così».

Zoe Zolferino, Luisa Ricci e Paola Cortellesi nel film “C’è ancora domani” (PH: Claudio Iannone)

Insomma, non voleva fare un film in stile Roma di Cuarón.

«No, volevo fa’ mi’ nonn’… (aide, ndr). L’altra ispirazione è stata un libro sui diritti delle donne che ho letto a mia figlia quando ho iniziato a lavorare a questo film. Lei aveva 6 anni ed era incredula, mi faceva domande naïf ma giuste, sul divorzio, il diritto di voto, e io pensavo: che fortuna che lei non sappia niente di tutto questo. E poi però mi son detta: no, che cavolo, lei deve sapere e lo devono sapere le 16enni, le 20enni… Devono sapere che se nasci femmina, sei comunque dentro un movimento anche se non ne sei parte attiva, perché devi sempre combattere per qualcosa. Nonostante le lotte del passato, che bisogna celebrare e difendere, viviamo come nella parabola della gazzella che si sveglia e deve cominciare a correre più veloce: è così ancora oggi».

Francesco Centorame e Romana Maggiora Vergano in “C’è ancora domani” (PH: Claudio Iannone)

La dedica del film è appunto “Per Lauretta”, sua figlia. A lei che storie racconta?

«Ora ha 8 anni e mezzo, è ancora piccola, certe brutture non le voglio sottolineare. La metto in guardia senza spaventarla, le insegno le due cose per me fondamentali: il rispetto per gli altri, e ancor prima per se stessa, e la libertà. Spero non perda mai di vista questi due obiettivi, che spesso dimentichiamo nel quotidiano per compiacere gli altri: una cosa tipicamente femminile, così siamo state cresciute».

A lei succede?

«Succede quando fai qualcosa di buono, ricevi un plauso e subito ti preoccupi di non aver dato un dispiacere a qualcun altro. E questo è un ragionamento che fanno le donne, mai gli uomini. Ci sono aspettative sociali che ci chiudono fin da piccole dentro certi schemi che non dobbiamo deludere. Faccio un esempio: da bambina mi chiamavano “maschiaccio”, una parola che ha già un’accezione negativa, perché facevo sport, mi arrampicavo, vivevo in tuta. Ero solo una ragazzina dinamica, perché dovevo viverlo come una colpa? Sono definizioni che possono limitarti, e parlo di cose semplici, di piccoli comportamenti nell’approccio con gli altri: piano piano ti privi di certi lati di te perché hai capito che forse non sono graditi. Può accadere anche quando la famiglia, come nel mio caso, non ti limita. Io vorrei che mia figlia fosse davvero libera di esprimersi come vuole».

Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Gianmarco Filippini e Romana Maggiora Vergano in “C’è ancora domani” (PH: Claudio Iannone)

Cos’è per lei la libertà?

«Una condizione che ho sempre rivendicato, forse più nel lavoro che nel privato: a volte anch’io rispecchio certi schemi che fanno parte della mia generazione. Nel lavoro la questione della libertà è sempre stata cruciale. Anni fa firmavo certi contratti e mi dicevano: “Be’, per essere una donna è ottimo”. Quel “per essere una donna” è una frase che non potevo accettare allora e che non posso tollerare oggi, vale in questo mestiere come in tutti gli altri. Così come non vale l’essere donna in quanto tale: conta il merito, sempre».

Paola Cortellesi, Romana Maggiora Vergano, Mattia Baldo, Gianmarco Filippini in “C’è ancora domani” (PH: Claudio Iannone)

Il film dice “C’è ancora domani”: lei aspetta che quel domani diventi oggi?

«Me lo auguro. Non accadrà nell’immediato, ma vorrei che, speriamo tra non troppi anni, una storia come quella di Delia venga presa come qualcosa di veramente pittoresco, di così lontano nel tempo da essere stato dimenticato. Adesso invece ha attinenza col nostro presente, adesso ci riguarda ancora tutte».