“L’amore che mi resta”, Michela Marzano (Einaudi)
«Ma quando sei venuta a prendermi era perché volevi una bambina o perché mi volevi bene?». Giada è una bimba sveglia, determinata e fragile, dai grandi occhi color cobalto. Giada è stata adottata. Così la ricorda sua madre Daria, ancorata alla memoria di questa piccola arrivata a sorpresa nella sua vita. Perché Giada ora è morta. Si è suicidata a 25 anni con una dose massiccia di ansiolitici e antidepressivi. E la mamma non riesce a darsi pace. In “L’amore che mi resta” (Einaudi) Michela Marzano racconta la storia di una madre e di una figlia: un diario tragico e commovente sulla maternità e sulla morte fatto dei pensieri e dei ricordi di chi è sopravvisuta. Ripercorrendo la vita della sua bambina, da quando è andata a prenderla in orfanotrofio fino alla convivenza con il fidanzato, Daria elabora il lutto. Cerca di capire cosa ha spinto Giada a un atto così terribile e radicale, scopre che lei è un’altra persona: una ragazza alla ricerca delle proprie origini, di un suo posto nel mondo. Attraverso il dramma, l’autrice scava negli incubi più profondi e nei sensi di colpa di molte donne: il figlio che non arriva, l’incognita dell’adozione, la paura di essere abbandonati, la solitudine, il suicidio. La storia di Daria e Giada ribalta tante certezze. Fra tutte, una: esistono le bravi madri? «Nessuna madre è perfetta. Nessuna madre è capace. Nessuna madre va bene» dice a un certo punto Daria. «L’importante è accogliere. È questo l’amore». E così anche accettare il dolore lacerante di una fine, dargli un senso, diventa un atto d’amore. Isabella Fava
“Da dove la vita è perfetta”, Silvia Avallone (Rizzoli)
Al centro del nuovo romanzo di Silvia Avallone c’è la maternità: cercata a tutti i costi da un lato, subìta dell’altro. “Da dove la vita è perfetta” (Rizzoli) narra infatti due modi diversi di “partorire”. Adele rimane incinta da giovanissima e decide di portare a termine la gravidanza ma, a causa delle difficoltà economiche della sua famiglia, sceglie di non riconoscere la bimba. Dora, una bella donna con una malformazione congenita, dopo aver tentato in ogni modo di avere un bambino, si affida a un giudice per adottare un figlio. Riuscirà la prima a separarsi dalla creatura che ha portato in grembo per nove mesi? E la seconda a realizzare il suo sogno? Lo scopriremo solo nelle ultime pagine, in una Bologna simbolo di quella che l’autrice ha definito una “geografia dell’esclusione”. Alcuni ragazzi finiscono in prigione, altri hanno come unico svago il centro commerciale, le mamme sono sformate dalle gravidanze o intontite dalla malattia, i padri assenti. Un affresco di chi nasce ai margini ma può riscattarsi. Come Zeno, personaggio solo apparentemente collaterale: è il ragazzo che ha studiato, destinato a fare grandi cose, la figura migliore del romanzo. Se l’esistenza fosse una corsa, ci ricorda Silvia Avallone, non tutti partirebbero dalle prime file, ma ciò non significa che non possano essere felici. Esiste, da qualche parte del mondo, una panchina dalla quale osservare la vita e trovarla finalmente perfetta.
Annarita Briganti
“Magari domani resto”, Lorenzo Marone (Feltrinelli)
Luce Di Notte è la figlia sfortunata – già dal nome – di un padre fricchettone e di una madre bigotta. Lavora come avvocato presso lo studio di Arminio Geronimo, re indiscusso delle truffe assicurative e squallido cascamorto. Lulù, come la chiama il suo vicino “femminiello”, ha 35 anni e molte gatte da pelare. Il giorno in cui le viene assegnata la causa per l’affidamento di un bambino, Kevin, la vita di Luce prende una svolta inattesa. Per lei e per il lettore che ne seguirà le vicende. Magari domani resto è uno di quei libri che non sai da che parte prendere: se ne racconti la trama fai un lavoro parziale o addirittura fuorviante; se parli della scrittura, pure. La verità è che Marone si è imposto negli ultimi anni come una delle voci più gradite al pubblico proprio per questo motivo: ha uno stile narrativo semplice e privo di orpelli, ma affatto scontato, così come le storie che inventa. Il suo ultimo lavoro tiene fede alle aspettative create dai 2 libri che lo hanno preceduto, ospitando una congrega di personaggi bizzarri ma concreti e coerenti: chi non ha mai percorso le strade dei Quartieri Spagnoli, dei Vergini, e di altre zone della Napoli più verace, li troverà plausibili; chi c’è stato, o ci vive, li troverà addirittura “classici”, cioè riconducibili a una tipologia già ben delineata, ma reintepretati in una chiave moderna e ricca di nuove sfumature. Marone si dimostra un abile narratore, anche (o soprattutto) quando dà voce in prima persona a una protagonista femminile. Divisa, come ognuno di noi, fra la voglia di partire e quella di restare.
Stefano Piedimonte
“Riccardin dal ciuffo”, Amélie Nothomb (Voland)
Una storia d’amore, volutamente a lieto fine, ma anche un romanzo di formazione. La scrittrice belga Amélie Nothomb rispetta l’appuntamento annuale con i lettori e ci regala una favola per adulti, da far leggere a tutti coloro che si lasciano condizionare dalle apparenze. Riccardin dal ciuffo (Voland) è la rivisitazione in chiave contemporanea della popolare fiaba francese resa celebre dalla versione di Charles Perrault e racconta l’incontro di 2 solitudini. Deodato ha un aspetto repellente, ma è dotato di un’intelligenza fuori dal comune. Altea, nome stupendo per un personaggio femminile, è considerata stupida a causa della sua bellezza. Entrambi sono maltrattati dai coetanei a scuola. Entrambi sviluppano un ricco mondo interiore. Entrambi sono destinati a innamorarsi, l’uno dell’altra. Scena cult: il loro incontro nei camerini di uno studio televisivo, bevendo champagne tiepido fornito dalla produzione, che tiene gli ospiti isolati per renderli più cattivi davanti alle telecamere. Questo è un altro spunto di riflessione sulla società attuale, da parte di un’autrice che scrive ogni giorno dalle 4 alle 8 di mattina e non possiede la tv. Non si pensi però a un meccanismo di compensazione. Altea non cerca in Deodato l’arguzia, né lui vorrebbe essere bello come lei. La loro unione funziona perché hanno il “senso dell’altro”. La capacità di accettare gli esseri umani per quello che sono, trasformando i difetti in pregi, senza fare inutili, sanguinose guerre.
Annarita Briganti
“Il cortile di pietra”, Francesco Formaggi (Neri Pozza)
Siamo nell’Italia centrale dell’immediato Dopoguerra: tutto appare povero, economicamente ed emotivamente. La speranza ancora non ha fatto breccia, né la farà mai, nella vita di Pietro, che ha un padre contadino, una madre malata e una casa alla quale sta per crollare il tetto. Pietro ha solo 6 anni quando i genitori lo affidano a un collegio di suore, e vorrebbe passare il tempo a incidere le cortecce degli alberi in attesa che qualcuno torni a prenderlo. Le cose andranno molto diversamente, e ad addolcire una maturazione forzata, rapida e violenta non basteranno l’amicizia di Mario, principe delle risse e dei piani di fuga impossibili, e quella di suor Tabata, irregolare perché troppo dolce e coinvolta. A quasi 4 anni dal suo esordio con il noir “Il casale”, Francesco Formaggi torna a esplorare l’inquietudine degli spazi chiusi con “Il cortile di pietra” (edito come il romanzo precedente da Neri Pozza): stavolta non ci sono omicidi da risolvere, ma la sensazione di morte aleggia comunque lungo tutte le 300 pagine. Con una scrittura cupa e priva di fronzoli l’autore ci porta all’interno dell’edificio («da lontano, ma anche più da vicino, pareva un cimitero»), ci presenta le suore che lo gestiscono («logore, stanche e gelide come gli stanzoni su cui vigilavano») e giocando con l’impazienza del lettore lo spinge a riflettere su temi interiori come l’infanzia, l’abbandono, la paura. Bonus imprevisto: il finale, che non sveleremo, somiglia moltissimo a un caso di cronaca recente. Ma è stato scritto prima.
Gianluca Ferraris
“La più amata”, Teresa Ciabatti (Mondadori)
Un romanzo, autobiografico, per tutte le figlie che non hanno superato, e probabilmente non lo faranno mai, il rapporto con il proprio padre. Teresa Ciabatti in “La più amata” (Mondadori) ricostruisce la storia della sua famiglia, apparentemente dorata, ma in realtà piena di segreti. Lorenzo Ciabatti, il padre e protagonista dell’opera, detto il “Professore” perché primario dell’ospedale di Orbetello, era un benefattore che curava gratis i poveri o un massone con il vizio dell’infedeltà coniugale? Il testo è pieno di scene madri, che toccano i grandi temi: dai disturbi alimentari, con la mamma che racconta a tutti di come la ragazza ha ripreso i 9 chili persi, agli effetti collaterali di una ricchezza troppo esibita, in una piccola città. Soldi a vista nei cassetti dello studio medico e lingotti d’oro in quelli di casa. Pistole ovunque, una parrucca con cui Teresa giocava da bambina, un coccodrillo verde che galleggiava nella piscina della loro villa, un bunker in cui rifugiarsi in caso di non si sa cosa, un rapporto sfilacciato anche con il proprio fratello gemello. C’è la Storia d’Italia, con Licio Gelli in Ferrari gialla, ci sono i colpi di Stato e i sequestri lampo. Ma la lettura più interessante di “La più amata” è quella privata. La vera domanda, che fa da filo rosso a una storia avvincente, è: come si sopravvive al dolore? Non certo ingrassando o innamorandosi degli uomini sbagliati. Bisognerebbe liberarsi subito di quel karma, scrollarsi di dosso le colpe paterne e cercare di essere felici. Ma forse non basta neanche scriverne.
Annarita Briganti
“Propizio è avere dove recarsi”, Emmanuel Carrère (Adelphi)
Non farti spaventare dal titolo “Propizio è avere dove recarsi”: è una frase tratta da I Ching, il libro cinese dei mutamenti, quello che si consulta come un oracolo. Emmanuel Carrère ha ammesso di averlo scelto per caso, aprendo I Ching proprio perché non sapeva come intitolare la raccolta dei suoi testi scritti dal 1990 al 2014. In questi articoli, appunti e racconti, c’è tutto quello che è stato Carrère ieri e quello che è oggi: i suoi pensieri, la sua ricerca, la sua sensibilità. Leggendo il volume si comprende come sono nati i protagonisti dei romanzi-verità “Limonov”, “L’avversario”, “Vite che non sono la mia”. Carrère è uno dei più importanti scrittori della sua generazione, recita la quarta di copertina, ed è vero. Non solo: è diventato una star. A me piace il modo in cui racconta i fatti di cronaca (su tutti, la storia del ragazzo adottato che tenta di uccidere la madre biologica), la sua umiltà nello scrivere una lettera alla madre di un assassino per darle sostegno nel suo dramma. Ammiro la sua capacità di narrare cose terribili trovando sempre un lato umano, con una rara e affascinante empatia che tocca il cuore. Ma anche il suo erotismo delicato, l’abilità nel dipingere la società attraverso dettagli minimi. E poi ha una scrittura semplice, che scivola via.
Isabella Fava
“Essere Nanni Moretti”, Giuseppe Culicchia (Mondadori)
Sono rari i libri che fanno ridere: nel nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia succede a scena aperta. “Essere Nanni Moretti” (Mondadori) è la storia di due falliti, che affrontano la vita in modo creativo. Lui è uno scrittore in crisi, che manda a quel paese il foglio bianco. Da anni cerca di scrivere il Grande Romanzo Italiano, ma partorisce solo poche pagine e, quando le rilegge, gli fanno più schifo della volta precedente. Lei voleva fare qualsiasi cosa, dall’attrice alla pole dancer nei night, ma si ritrova senza lavoro, sostituita da una polacca più giovane. Poi, il miracolo, che sposta l’opera dello scrittore torinese, classe ’65, dalla sua città al resto del mondo. Il protagonista maschile si fa crescere la barba e diventa, all’inizio inconsapevolmente, un sosia del regista citato nel titolo. Come Bonnie e Clyde, ma più buoni, i due si fanno ospitare ovunque, da Bardonecchia a Pechino, sfruttando la fama del vero Moretti, citando i suoi discorsi a memoria, rilasciando anche interviste al posto suo. Chiunque capirebbe che prima o poi li avrebbero beccati, ma per sapere come va a finire bisogna arrivare alla Mostra del Cinema di Venezia, dove la coppia sbarca in grande stile, con un epilogo a sorpresa. Dietro i sorrisi Culicchia ci regala una satira su quello che siamo diventati. I cellulari usati come pistole fumanti, per spararsi selfie. Un mondo culturale alla deriva, che punta sul denaro dimenticando il valore. Con una domanda di fondo, che ha a che fare con il secondo tema al centro di Essere Nanni Moretti, oltre il fallimento: come trovare la propria identità, possibilmente senza farsi troppo male?
Annarita Briganti
“L’amore addosso”, Sara Rattaro (Sperling & Kupfer)
Non sarà la tomba dell’amore, come si usa dire, ma di certo il matrimonio può diventare una gabbia quando la passione e l’innamoramento si affievoliscono, lasciando il posto alle abitudini, ai segreti, alle tentazioni. Come si fa a restare insieme, nonostante tutto? Prova a rispondere Sara Rattaro nel nuovo romanzo “L’amore addosso” (Sperling & Kupfer). Il libro inizia in maniera fulminante, con un gioco delle coppie che ci catapulta subito nella vita privata dei personaggi. La protagonista, Giulia, è in spiaggia con il suo amante, Federico, sposato con figli, quando lui si sente male. Lei lo soccorre e lo segue in ospedale. Qui Giulia incontra suo marito, Emanuele, ricoverato lì per un incidente d’auto durante il quale non era solo, ma insieme a una giovane bionda già avvistata qualche volta al suo fianco. A questa relazione complicata si aggiunge una sottotrama che costituisce un libro nel libro: Giulia, da adolescente, ha dovuto dare in adozione un figlio, perché sua madre non glielo ha fatto tenere. Un trauma mai superato del tutto, che riserverà qualche colpo di scena. È facile parlare di certi argomenti, teoricamente: noi non tradiremmo mai, noi non saremmo mai gelosi, possessivi o desiderosi di nuovi sguardi. Invece, sappiamo che ci possiamo “cascare” tutti. Chi non è mai stato tradito, traditore o entrambi? L’importante, suggerisce l’autrice tra le righe, è smettere di dire bugie, sia agli altri sia a noi stessi, e affrontare la verità. Solo ascoltando il nostro cuore, e vivendo in modo autentico, ci tireremo fuori dai guai.
Annarita Briganti
Il commissario Soneri e la legge del Corano, (Frassinelli)
Da qualche tempo il commissario Soneri non riconosce più la sua Parma. Odio, razzismo, periferie impoverite e disillusione politica sono la miscela che rischia di incendiare una città dove cominciano ad accatastarsi cadaveri di nordafricani. Morti legate allo spaccio di droga o tasselli di un mosaico più inquietante? Il commissario Soneri e la legge del Corano (Frassinelli), 12esimo giallo di Valerio Varesi, è quasi un saggio travestito da noir, perché racconta al meglio il cortocircuito fra ondate migratorie e provincia italiana. Ma del noir mantiene l’azione e soprattutto il finale a sorpresa.
Gianluca Ferraris