I più giovani lo conoscono benissimo. Alcuni lo idolatrano. Ventottenne romano con 50 milioni di visualizzazioni su YouTube, ci ha abituato alla trap. A Sanremo 2019 porta un esperimento dai suoni anni ’70 della sua “Rolls Royce”, un rock’n’roll moderno che sicuramente terrà svegli davanti alla tv. È appena uscito anche il suo primo libro “Sono io Amleto” edito da Rizzoli, in cui il cantante si racconta. E nel suo presentarsi al grande pubblico è pronto anche la prima parte di un lungo documentario che arriverà al cinema in autunno.
In entrambi i progetti la sua storia, dall’andare via di casa a 14 anni, con suo fratello, all’incontro con il suo beatmaker e da allora migliore amico, Boss Doms (insieme i due hanno partecipato a Pechino Express), le prime registrazioni. E il lieto fine, quando la periferia romana è al centro, con i suoi problemi da combattere. In primavera arriverà anche il suo disco di inediti che porterà, dal 10 maggio, in tour. Con lui, nella serata dei duetti di venerdì, Morgan.
(Il look di Achille Lauro a Sanremo Achille Lauro è firmato da Carlo Pignatelli)
Ci racconti il tuo brano?
Non è un pezzo trap. I nostri fan non sono abituati a sentire una cosa così, da noi. Abbiamo scelto per Sanremo una canzone frizzante. Sarà molto divertente.
Perché parli al plurale?
Perché lavoro con un team. Mi sento di parte di una squadra. Questa canzone non è solo mia. La mia carriera non è solo mia. Ognuno mette il suo pezzetto.
Chi è il tuo pubblico?
Ho un pubblico vasto. Tra i 16 e i 35 anni, tutte con cervelli pensanti.
Per ora, il momento più bello?
Le prove con l’orchestra. È stata magia.
Come arrivi a Sanremo?
C’è tanto impegno dietro a quello che stiamo facendo. Ci sono 50 ore consecutive in studio. Stiamo lavorando all’album, stupiremo i fan, lasceremo anche quello a cui li abbiamo abituati. Voglio entrare nell’olimpo della musica italiana.
Chi porterai con te?
Per tutti è fantastico, per me è esame universitario in diretta tv. Mi porto quindi meno persone possibili. Sono sicuro che il brano farà parlare e sarà diverso, mi confronto con artisti forti e grossi.
Ritrovi Anna Tatangelo con cui ha rifatto “Ragazza di periferia”.
È la regina del pop, l’abbiamo ospitata per una settimana anche in questa villa di 30 camere della famiglia Rossellini, dove ci siamo chiusi dentro per due mesi e abbiamo costruito il nostro album. Sono passati tutti, da Coez a Gemitaiz, amici, colleghi. Cerchiamo di fare musica senza essere influenzati dalla mode. Ho sentito Anna, abbiamo prodotto questo brano. Lei è veramente una cantante vera. Io sono uno strumento scordato. Trovarmi ora per tre minuti su un palco con artisti di quel calibro… è un esame. Ma ho fatto più di 150 date, anche davanti a solo 30 persone che ci tiravano cose in testa, quindi sono pronto.
Una cosa di cui non puoi fare a meno.
Non cose ma persone. Siamo in cinque, ci mettiamo tranquillità a vicenda. Ognuno para le spalle all’altro.
Tu guardavi Sanremo?
Il Festival è patrimonio culturale italiano. Ho il ricordo della famiglia che si ritrovava, come un po’ fosse Natale. Ho seguito Vasco al Festival, sono suo mega fan. Alla fine quelli che piacciono a me non vincono mai.
“Sono io Amleto” è il titolo del tuo libro. Me lo racconti?
Amleto. Mi è piaciuto il titolo, la tragedia che diventa opera di successo. Avevamo qualcosa da dire. Per capire un artista bisogna conoscere la sua storia. È un viaggio nella mia vita ma anche nella vita dei giovani, nei loro problemi, nella realtà di tutti i giorni. Avevamo qualcosa da dire che era già uscito nelle canzoni. Per capire un’artista bisogna conoscere la sua storia. E poi come dicevo prima la musica che ha qualcosa da dire in qualunque caso. È un viaggio nella mia vita nella vita dei giovani, nei loro problemi, nella realtà di tutti i giorni.
Hai tatuaggi sul viso, perche?
Volevo qualcosa che mi distinguesse dagli altri. Ero arrivato a un punto della vita in cui potevo permettermi di fare una cosa del genere. Ma a chi mi segue dico sempre di pensarci bene. È vero che poi non trovi lavoro. Io ci ho messo anni per costruirmi una carriera. L’ho fatto solo quando ho sentito di avere basi solide.
Cosa c’è scritto?
Pour l’amour, per l’amore, ma non per una persona ma per la musica. E Scusa. Che me lo sono chiesto dopo averlo fatto.
Non hai paura di essere “normalizzato” su quel palco?
Non siamo personaggi da Sanremo. Le mie canzoni sono molto personali, parlano di me. Le persone si sono affezionate a questo, sanno chi sono. Non mi preoccupa il palco. Ma va affrontato con preparazione.
Che rapporto hai con la moda?
La seguo, ma non la subisco. Perché penso sia molto importante e perché è una mia passione. Posso vestirmi bene con poco, la moda la fai anche con due stracci, non è questione di marche. Quando abbiamo iniziato indossavamo gli occhiali da donna da 15 euro mica i Gucci. Avevamo i pantaloni gialli, senza brand. La moda è attitudine. È una forma d’arte importante. Ma lo stile non è deciso da quanti soldi hai addosso.