Non so se succeda anche a voi. Mentre leggo un libro, le parole “lavorano” sulla mia immaginazione e, a poco a poco, i personaggi prendono forma nella mia mente. Beatrice Bernabò, la protagonista del nuovo romanzo di Alessia Gazzola Miss Bee e il cadavere in biblioteca (Longanesi), me l’ero “disegnata” così: caschetto bruno, frangetta sbarazzina, occhi grandi e furbi, una sottile linea frastagliata sulla guancia. E così l’ho poi ritrovata in un post dell’autrice su Instagram. «Ho fatto il suo ritratto con l’Intelligenza Artificiale, una risorsa molto utile e divertente per una come me che non sa tenere una matita in mano!» dice ridendo Alessia Gazzola.
Alessia Gazzola torna con Miss Bee e il cadavere in biblioteca
La scrittrice messinese – che, dal 2011 in poi, ha collezionato un bestseller dopo l’altro con i 10 capitoli della saga L’allieva, dedicata alla pasticciona aspirante medico legale Alice Allievi, e con i 3 della serie sulla coraggiosa paleopatologa madre single Costanza Macallè – torna in libreria con nuova eroina: una ragazza italiana che vive nella Londra degli anni ’20 insieme al padre, un professore universitario vedovo, e alle due sorelle. Arguta, curiosa e un po’ ribelle, si trova coinvolta in un’indagine per omicidio… E in un triangolo amoroso con due affascinanti scapoli dell’alta società. «Mi sono lanciata in un mondo completamente diverso per me, non so come la prenderanno le mie lettrici» confida, con un misto di speranza e trepidazione, pochi giorni prima dell’uscita, il 19 novembre.
Nella Londra degli anni ’20 con Beatrice Bernabò, alias Miss Bee
Perché Londra?
«L’Inghilterra dei secoli passati è la comfort zone della mia immaginazione. Adoro Downton Abbey e Poldark».
E gli anni ’20?
«Era un periodo attraversato da una ventata di ottimismo, dopo le grandi perdite causate dalla Prima guerra mondiale e dall’epidemia di Spagnola. E le donne, che grazie al movimento delle suffragette in Inghilterra avevano conquistato il diritto di voto, andavano incontro a importanti cambiamenti sociali e culturali. C’era vitalità, divertimento: si accorciavano le gonne e si tagliavano i capelli».
Miss Bee ama i romanzi di Carolina Invernizio
Come fa Beatrice…
«È la mia Twenties girl, una ragazza di 22 anni figlia dei suoi tempi. Ama i romanzi d’appendice di Carolina Invernizio. Ha spiccate abilità manuali e una buona capacità di osservazione. Leale, impulsiva fino all’imprudenza, affronta la vita con leggerezza, senza carichi d’ansia».
Per quale motivo l’ha voluta con una cicatrice sulla guancia?
«La scrittura è fatta anche di scintille. Lei mi si è presentata alla mente con questo tratto fisico che deturpa l’ideale di bellezza femminile e le attira gli sguardi di compassione altrui. Ma che è molto efficace dal punto di vista narrativo: aver imparato a convivere con quel “difetto” le dà una grande forza d’animo».
Da L’allieva a Miss Bee: un filo rosso unisce le protagoniste di Alessia Gazzola
Miss Bee e il cadavere in biblioteca è il primo romanzo di una nuova trilogia. Ha una predilezione per le serie?
«Da lettrice, è bello ritrovare personaggi a cui mi sono affezionata. Da scrittrice, forse non riesco mai a recidere il filo rosso che mi unisce alle mie protagoniste. I romanzi su Alice Allevi sono conclusi, ma lei continua a vivere in me. E lo stesso vale per Costanza Macallè, di cui vorrei scrivere un quarto libro».
Il filo rosso di cui parla unisce tra loro anche le sue protagoniste?
«Sono tutte ragazze che cercano un happy end innanzitutto con se stesse. Una storia d’amore rientra nei loro desideri, certo, ma non è preponderante: prima, vogliono trovare la propria strada e in quella strada realizzarsi».
Alessia Gazzola vs. Miss Bee
Presentando Beatrice su Instagram ha scritto che è «la più diversa da me».
«Il bello della scrittura, per me, è indossare panni che non sono i propri. È inevitabile che pezzi del mio universo emotivo finiscano nei miei romanzi, ma non necessariamente li attribuisco alle protagoniste. Io sono ovunque in Miss Bee, però Beatrice non è il mio alter ego. Innanzitutto per età: ha 20 anni meno di me; poi per stile di vita: è una ragazza di un secolo fa. Inoltre io sono più prosaica, lei più sfrontata e spericolata… Del resto, nei romanzi devono succedere cose straordinarie!».
Se fosse in lei, chi sceglierebbe tra l’amore di sempre Christopher e l’affascinante new entry Julian?
«Sa che forse sceglierei Archer, l’ispettore capo? È intelligente e solido. In realtà a Beatrice ho dato la capacità, che ha in comune con le sue consorelle di carta, di scegliere sempre se stessa. Quando vede tutte le ragioni per cui non può farsi andare bene Christopher, ha la forza di volontà di tirarsi fuori da quella relazione. E a Julian va incontro con cautela, sì, ma anche con una curiosità che mi piace»
Tra rosa e giallo, le autrici che ispirano Alessia Gazzola
In Miss Bee ci sono echi di Jane Austen e Agatha Christie. Cosa deve loro?
«La cara zia Agatha – la chiamo così, ho anche il suo ritratto sulla scrivania, cui mi rivolgo quando ho bisogno di incoraggiamento – mi ha insegnato il meccanismo “a camera chiusa”, fondamentale per chi scrive gialli: mettere al centro della trama un delitto e intorno tante persone, ognuna della quali ha una buona ragione per esserne responsabile e, fatalità, nessun alibi. A Jane Austen, verso la quale tutte le autrici di commedie romantiche hanno un debito, guardo per i dialoghi frizzanti e l’osservazione acuta delle persone e delle relazioni. Ma sono modelli inarrivabili».
Se leggi o scrivi romanzi femminili, sei “gallina”?
«Impudente scombiccheratrice di carte» si definisce nel suo profilo Instagram. E aggiunge: «Ravana il giallo di tresche e amorazzi». Perché?
«La prima frase è una critica che rivolsero a Carolina Invernizio. Ma lei faceva notare come le mogli, le figlie, le sorelle di tutti quelli che la denigravano fossero sue accanite lettrici. Una reazione costruttiva che ho cercato di fare mia. La seconda definizione arriva infatti da un articolo critico in cui si parlava anche di me, ma, onestamente, non la considero un’offesa: mischiare giallo e rosa è la mia cifra narrativa, e ne vado fiera. Del resto, di Carolina Invernizio, Antonio Gramsci scrisse che era “un’onesta gallina della letteratura popolare” e io fin dai tempi dell’Allieva mi ispiro alla cosiddetta chick lit: dunque, se leggi o scrivi romanzi femminili, sei “gallina”? Personalmente non ho niente contro le galline, sono animali più intelligenti di quanto si creda».
Secondo lei, esiste un pregiudizio nei confronti delle autrici di commedie romantiche?
«Sì, c’è ancora chi distingue tra libri di serie A e di serie B, ma la letteratura dà una risposta a qualsiasi nostro bisogno: ricerca, catarsi, provocazione, leggerezza… C’è un libro per ciascun momento della nostra vita, così come c’è un pubblico per ciascun libro».
Il romanticismo secondo Alessia Gazzola e Miss Bee
«Leggerezza non è superficialità» diceva Italo Calvino. Allo stesso modo, penso, essere romantiche non significa essere deboli o stupide. E Beatrice lo dimostra…
«Il romanticismo non può diventare un ideale distaccato dalla realtà, è qualcosa di estremamente soggettivo: per viverlo devi essere tu a metterti in gioco e ad andare incontro all’altra persona. E questo, secondo me, richiede una certa consapevolezza di sé. Dal punto di vista editoriale, le ragazze di oggi sono grandi fruitrici di storie romantiche, ma in modo diverso rispetto a qualche anno fa».
In che senso?
«La fiction non ha una funzione pedagogica, ma rispecchia il sentire di una determinata epoca. Con una mia grande amica, la scrittrice Paola Barbato, ogni tanto rileggiamo gli Harmony degli anni ’80 e ’90 e ci rendiamo conto che rappresentavano un tipo di uomo – di successo, seduttore, possessivo, dominante – che allora poteva essere desiderabile. Oggi sarebbe un modello improponibile in un libro che racconta una relazione sana».
Il romanticismo, quindi, si è evoluto?
«Lo abbiamo fatto noi donne: non vogliamo il maschio alfa, ma cerchiamo una relazione equilibrata. Credo che oggi il romanticismo si nutra di amore paritario e libertà reciproca».
A guardare il calo dei matrimoni e l’aumento dei divorzi, ci vuole coraggio a credere in una relazione.
«C’è sempre voluto. L’essenza dell’amore non cambia. A cambiare sono gli strumenti di amplificazione di certi fenomeni: grazie alle app di incontri hai più primi appuntamenti, per colpa dei social fatichi di più a superare una rottura… Ma anche io sono stata ghostata quando ero una teenager negli anni ’90!».
Abbiamo ancora bisogno d’amore?
«Sì. Desideriamo l’ebbrezza che ci regala l’innamoramento dei primi tempi, la solidità che ci dà un amore di lungo corso. Detto questo, è bello che nella narrativa collettiva l’essere in una relazione non sia oggi l’unico aspetto che definisce una persona, che la fa sentire realizzata. Posso essere completa anche se non sono in coppia».
Romanticismo non fa rima con esibizionismo
Cos’è il romanticismo, per lei?
«Cura, parità, rispetto. Innestarsi nella testa e nel cuore dell’altro così in profondità da essere sempre presente nella sua vita. Anche nei momenti più banali, nelle cose più piccole. Diffido dei gesti plateali. Il romanticismo, per me, è il contrario dell’esibizionismo»
Come ha conosciuto suo marito?
«Era l’estate dopo la maturità: frequentavamo lo stesso corso di preparazione per il test d’ingresso a Medicina, poi siamo stati colleghi di facoltà. Mi è piaciuto subito e ho cercato di farglielo capire in ogni modo possibile, finché mi sono dichiarata io. Avevamo entrambi 18 anni, a quell’età c’è un gap emotivo tra ragazze e ragazzi»
Legge i suoi romanzi in anteprima?
«No. Abbiamo un nostro rituale scaramantico, nato quando stavo scrivendo L’allieva mentre facevo il medico legale. Credevo che non l’avrei mai pubblicato e nel momento in cui invece ci riuscii mi prese il panico. Lui mi ripeteva di volerlo leggere, però io mi vergognavo. Così, il giorno dell’uscita, andò in libreria a comprarne una copia. Mi ha portato fortuna e da allora lo fa per ogni mio romanzo».
Da medico legale a scrittrice
Le manca la medicina legale?
«Sì. Non ho deciso di lasciarla perché fare la scrittrice è più figo. È stata la maternità a farmi scegliere: non riuscivo a stare dietro a entrambi i lavori con due bambine piccole, le vedevo pochissimo e, quando finalmente stavo con loro, ero sfinita».
Ma senza la medicina non sarebbe diventata scrittrice…
«Esatto, e non solo perché non avrei mai potuto creare la mia prima protagonista, Alice. La medicina legale ha molti punti di contatto con la letteratura, perché è anch’essa la ricostruzione di una storia: raccogli gli indizi, metti insieme i pezzi, disegni il quadro della situazione. È stata il mio personale corso di scrittura».
Chi è Alessia Gazzola?
Alessia Gazzola, 42 anni, di Messina, ha esordito nel 2011 con L’allieva, ispirato al suo lavoro di medico legale e diventato una fiction di successo interpretata da Alessandra Mastronardi. Con il penultimo romanzo della serie, Il ladro gentiluomo, ha vinto il Premio Bancarella nel 2019. Alessia Gazzola oggi vive a Verona con il marito, conosciuto alla facoltà di Medicina, e le loro due bambine.