In questi giorni si sta consumando la tradizionale querelle legata a Sanremo, uno dei simboli dell’intrattenimento televisivo italiano, il Festival di cui tutti parlano, storicamente, legandolo a esclamazioni di vario genere, tra inni di gioia ed espressioni sentite nei peggiori bar di Caracas. Ma se prima, per vedere esplodere le polemiche, bisognava aspettare che il conduttore in pectore dicesse quella cosa invece che quell’altra, che tra i big in gara ci fosse uno sconosciuto abbigliato in modo bizzarro poco noto agli occhi degli abbonati tv ma magari con milioni di dischi venduti già all’attivo, che la presenza femminile fosse troppo truccata, scollata, cotonata, disinvolta o troppo poco truccata, scollata, cotonata, disinvolta (perché le donne, lì su quel palco, sono sempre troppo quella cosa là o troppo poco quell’altra, stabilita a caso da chiunque), ora i dibattiti sono già a livelli stellari.

E se prima a occuparsene erano giornalisti di settore, amanti della musica, della moda e dei pettegolezzi, a loro adesso si sono aggiunti medici e ministri. Cosa è giusto fare col Festival? Si va avanti nonostante tutto ciò che è accaduto e continua ad accadere? Ci si ferma per rispetto della delicatezza del momento? Si rimanda di qualche settimana, aspettando tempi migliori? Si resiste perché è giusto fare compagnia a chi è a casa con dei programmi di evasione senza peraltro dimenticare quanto lunga, complessa e redditizia sia non solo per la Rai, ma per tutti coloro che attorno a questo evento lavorano da mesi prima, la complessa macchina fiorata?

Il punto più caldo sembra essere legato adesso al teatro: l’Ariston non sarebbe adeguato alle normative anti-Covid e si cercherebbero altri spazi. La polemica sui figuranti, invece, pare superata. Piccolo passo indietro: in ambito cinematografico, teatrale e televisivo sono coloro che compaiono in scene di gruppo a contorno della scena principale. Tecnicamente, nel cinema, i figuranti si differenziano dalle comparse perché potrebbero avere qualche battuta mentre la comparsa è quella che attraversa la strada dietro il protagonista o beve un caffè nel tavolo accanto, mutissima. In tv, le norme anti-Covid hanno previsto per alcuni programmi la presenza di queste figure, nel rispetto del distanziamento, per garantire la condivisione di un minimo del calore che chiunque si esibisca ha l’onore di trasmettere. Sembrava quindi che per Sanremo potesse valere questa regola, cionondimeno l’Ariston è un teatro, non uno studio tv, e quindi – ha twittato il ministro dei Beni culturali Franceschini – riaprirà solo quando le regole lo consentiranno.

Davanti all’ipotesi di un Festival senza pubblico Amadeus stava salendo pure lui al Colle, minacciando le dimissioni da conduttore, poi è sceso a più miti consigli e si è rimesso alla decisione della Rai e del Comitato tecnico scientifico. E noi, umili abbonati, attendiamo di capire se davvero Sanremo resisterà e se, bolla o non bolla, tamponi o non tamponi, avremo modo anche quest’anno di trascorrere una settimana a parlare tutti, chi bene e chi no, della stessa cosa. Che è quello che sta accadendo adesso, ma per ragioni molto diverse. Speriamo di poter parlare anche di altro, per esempio di Willy Peyote, che non è un fungo psichedelico ma un rapper rampante, o di La Rappresentante di Lista, che non è una candidata alle comunali ma un fantastico duo. Vi starete chiedendo chi siano. Sono alcuni dei cantanti in gara, per conoscerli dovrete aspettare Sanremo. E se credete che la vostra attesa sia spinosa, pensate ad Amadeus.