«Troppe persone cercano di realizzarsi non attraverso le storie d’amore, ma nelle storie d’amore. E così facendo ingannano se stesse e fanno male agli altri. Perché nessuno può riempiere gli spazi vuoti dentro di noi». La scrittrice Chiara Gamberale, 40 anni e 1 milione di copie vendute negli ultimi 5 anni, spiega così l’automatismo per cui molti passano puntualmente dall’esultanza per aver trovato la presunta metà della mela alla delusione per essersi sbagliati. E allora lei, che di amore se ne intende – anche perché da 4 anni si occupa della Posta del cuore di Donna Moderna – ha deciso di spiegarci il suo punto di vista sulla faccenda. Riassumendolo in un libro: Qualcosa (Longanesi). Protagonista è la principessa Qualcosa di Troppo che, a seguito di un lutto, decide di colmare il suo vuoto interiore e trovare la felicità in un marito. I vari pretendenti le propongono di divertirsi, o di salvare il mondo, o di accudirli, o ancora di coltivare la sua spiritualità. Ma Qualcosa di Troppo scopre che nessuno di loro la fa stare bene quanto uno sconosciuto: il Cavalier Niente.
Come definiresti Qualcosa?
Volevo scrivere una sorta di favola che potesse parlare a più persone, e anche alla stessa persona ma in età diverse. Come Il piccolo principe. Direi che è un manuale di autocoscienza, in cui le avventure della protagonista sono tappe di un percorso di conoscenza e accettazione di sé. Ecco perché Qualcosa di Troppo non ha i tipici tratti femminili: non fa cose da “bambine”, è avventurosa… Oggi il bisogno di capire se stessi vale anche per gli uomini, forse ancora più disorientati quando devono affrontare i loro vuoti interiori.
Cosa intendi per vuoto?
La sensazione di inadeguatezza, di solitudine, di incomprensione, che tutti conosciamo perché fa parte della natura umana. Parlo di me per prima: ho avuto un’infanzia serena, una famiglia unita, non ho vissuto traumi. Eppure ho dovuto fare i conti con un vuoto che mi portava a cercare rifugio nei libri e a sentire più vicine le protagoniste di Piccole donne delle mie compagne di scuola. Io l’ho affrontato facendo silenzio dentro di me, scavando tra le mie paure. Ma molti si ritrovano faccia a faccia con questo “buco” solo quando un lutto o un abbandono li colpiscono, come succede alla mia principessa che perde la madre. Certo, non è facile farci i conti, anche perché la nostra epoca si è inventata mille modi di distrarci: siamo passati dal complesso di Edipo a quello di Narciso, presi a inventarci vite meravigliose da ammirare online. Non ci permettiamo mai la noia, il silenzio, il non fare, per paura di guardarci dentro. E perciò chiediamo all’amore ciò che non può darci.
Cos’è che chiediamo all’amore?
L’amore vero nasce solo se distinguiamo tra il bisogno di stare con qualcuno e il desiderio di farlo. E per capire la differenza occorre fermarsi e non fare. Perché il fare è antitetico all’essere: se vuoi scoprire chi sei, non fare delle cose. Fermati e lascia che il dolore, la solitudine ti parlino.
E in questo modo si trova la persona giusta?
Non solo: se lasciamo loro il tempo di depositarsi, i pensieri ossessivi si spezzano, perdono forza. E dalle rovine nascono la fantasia, la voglia di reinventarsi, il coraggio di rompere gli schemi. Per questo penso che la persona giusta per noi sia quella che ci fa sentire bene anche nelle attese, nei tempi morti, quando siamo inattivi. Una delle frasi d’amore più belle che mi abbia detto il mio ex marito Emanuele è: «Non vedo l’ora di annoiarmi insieme a te».
Credi che il successo dei tuoi libri nasca dal fatto di dare risposte, come questa?
Al contrario: nasce dal farmi le domande insieme a chi legge. E dall’ammettere che non conosco tante risposte. Penso che sia il motivo per cui vengo percepita dai lettori più come un’amica che come una scrittrice: mi metto in gioco in prima persona. Alle presentazioni dei miei libri quasi nessuno mi fa domande “durante”, ma alla fine, quando le persone vengono a farsi firmare le copie, mi raccontano cose intime, private. Come se ci conoscessimo da sempre.
Hai già in mente il prossimo libro?
Sì: vorrei esplorare la sindrome della crocerossina che ho riscontrato in molte mie conoscenze. E capire perché donne fortissime, capaci di fare cose incredibili per salvare un’altra persona, siano troppo deboli quando si tratta semplicemente di aiutare se stesse. E vivere.
Il tuo libro finisce con la principessa in attesa del “marito giusto”. Ma per essere felici serve per forza un compagno?
No, però servono dei legami. Per quanto mi riguarda sono il senso della mia vita. Penso a Carlo, il mio coinquilino dei tempi dell’università con cui da poco ho ripreso a dividere la casa: fra noi non c’è mai stato assolutamente niente di più, anche perché lui è felicemente gay… Poi c’è mio fratello Matteo, e c’è Ato, il ragazzo eritreo che ho avuto in affido 2 anni per accompagnarlo al diploma. Ci sono le amiche che conosco dai tempi del liceo e amici che ho incontrato negli anni e con cui passo tutto il mio tempo libero. Mi piace vedere sempre le stesse 8, 10 persone: quelle del cuore. La chiamo la mia “Arca Senza Noè” questa mia famiglia allargata e disfunzionale.
Adesso sei innamorata?
Diciamo che, dopo lunghe peripezie, credo di avere capito che amo davvero e profondamente una persona. Mentre innamorarsi è naturale e meraviglioso, amare e stare insieme è proprio un altro sport.