La vita può essere una favola e, all’improvviso, trasformarsi in un incubo. Per Annalisa Menin, 37 anni, veneziana di nascita e newyorkese di adozione, è stato così. Per lei la favola finisce nel 2013, il giorno dopo aver compiuto 30 anni: Marco, il suo compagno di vita, conosciuto a 22 durante uno stage a New York e sposato a 26, muore per un tumore al cervello. Con lui aveva iniziato il suo sogno americano: una casa, una famiglia, un lavoro figo… Progetti che si interrompono d’un tratto, e la costringono a porsi una domanda: «Should I Stay or Should I Go?», come la canzone dei Clash, «Devo restare o andarmene?». Lo chiede sul blog aperto dopo la morte di Marco (ilmioultimoannoanewyork.com), a lei stessa e a chi legge i suoi pensieri.

Alla fine decide di restare, «perché Marco avrebbe voluto così». Mette in piedi una iniziativa benefica, Remembering Marco, che raccoglie ogni anno soldi per permettere a uno studente italiano di fare uno stage nella Grande Mela e spiccare il salto, come ha fatto lei. Nel frattempo il blog diventa un libro autoprodotto che col passaparola vende migliaia di copie e fa conoscere Annalisa e la sua storia.

Annalisa Menin
Annalisa Menin

La voglia di andare avanti spinge Annalisa in una nuova fase della vita, fatta della sua agenzia creativa Ottonano a Manhattan e di un secondo libro, intitolato Il traghettatore (Giunti), dove lei racconta, attraverso il suo alter ego Anna Venier, cosa è successo nel frattempo. Da vedova – «un’etichetta che certamente non dipendeva da me ed era costantemente accompagnata da un senso di permanente tristezza che la vita mi aveva incollato addosso» scrive – non si è arresa. «Dopo avere perso Marco ho passato 2 o 3 anni come una specie di automa. Mi rendo conto ora, dopo 7 anni, che è stato come un buco: andavo avanti perché la vita intorno a me continuava, ma ero rallentata. Avevo bisogno di “ristrutturarmi”, capire da dove ricominciare» mi dice via Zoom dal suo ufficio di New York. Mi ha aiutato il blog, che è nato un po’ per sfida. Ma poi è diventato l’inizio di tutto quello che è venuto dopo».

Ci sono state tante lacrime, insieme a tanta voglia di rinascere. E di rimettersi in gioco, anche sentimentalmente. «All’inizio ho incontrato diverse persone. Con esiti tremendi. E tutte le storie che racconto, alcune tragicomiche come quella del commercialista, sono vere, anche se romanzate. Perché il mio è un libro scritto mentre è stato vissuto. Poi un’amica mi ha detto: “Non metterti in testa l’idea di trovare il grande amore, come è stato Marco. Magari arriva, magari non arriva mai. Cerca qualcuno “di passaggio”». Così è nata l’idea di una persona con cui fare un percorso di crescita, che non deve per forza essere il principe azzurro.


Poi un’amica mi ha detto: «Non metterti in testa l’idea di trovare l’uomo perfetto, come è stato Marco. Magari arriva, magari no».


 

Un’idea diventata un romanzo in cui Annalisa scrive con leggerezza, anche con qualche tocco glam alla Sex & The City (siamo pur sempre a New York!), pur affrontando riflessioni importanti. Il traghettatore poi arriva, sebbene la scelta non sia stata così facile e immediata. Nel libro ci sono i dubbi, i malintesi, gli sbagli, la confusione e i tentennamenti. «C’è Anna-rock, quella spregiudicata e determinata, che corre rischi e lotta per le sue idee e per la sua libertà. E Anna-paura, quella che si mette in perenne discussione, incerta sul da farsi, che fatica a prendere coscienza delle proprie capacità e del proprio valore» scrive. Le due facce di Annalisa, così simili a quelle che a volte abbiamo anche noi di fronte alle grandi prove.

Cos’è un traghettatore?

Ma cos’è un traghettatore? Che ruolo può avere nella nostra vita? Me lo chiedo mentre ascolto Annalisa. E lo domando a Laura Campanello, filosofa, life coach e autrice del saggio Ricominciare (Mondadori), per farmi aiutare a interpretare le sue emozioni. «Un traghettatore è colui che ti accompagna in un’esperienza che ti fa approdare a un io diverso da quello che eri prima di partire per questo viaggio, reale o simbolico che sia. Può essere l’amica, il confidente, l’analista. È una figura che ti aiuta a mollare gli ormeggi quando hai paura di lasciare ciò che hai perché, per quanto il noto sia terribile e doloroso, a volte l’ignoto fa molta più paura».

Può servire, mi dice, nei momenti critici come un divorzio o la perdita del lavoro. «Anche in questi casi, come quando perdi una persona cara, si tratta di lutti in cui muore il tuo futuro, il tuo progetto, il tuo ideale». Nel caso di Annalisa il lutto però è vero e forte. E la filosofa chiarisce che non basta un’amica: «Quando perdi l’uomo o la donna che amavi, specie in una storia così meravigliosa, il reale traghettatore è colui che per la prima volta, di nuovo, ti farà sperimentare l’amore. Ma diverso da quello che avevi già provato: un modo nuovo di desiderare la vita di coppia e di immaginarsi nella coppia. Questo lo può fare solo un nuovo uomo o una nuova donna, perché è solo attraverso la sessualità che senti davvero che l’altro non c’è più e che lo devi lasciare andare. Se questa cesura non c’è, non riesci ad andare oltre e altrove».


Il traghettatore ti aiuta a mollare gli ormeggi quando temi di lasciare ciò che hai. Perché, per quanto ciò che è noto sia doloroso, l’ignoto fa più paura.


 

Serve meno aspettativa, più leggerezza. «Noi donne, soprattutto intorno ai 40, viviamo con l’ansia di trovare l’uomo giusto per la vita, il principe azzurro, prima che sia troppo tardi» riflette Annalisa. «Io invece ho voluto essere un “cuore in transito” (come dice il sottotitolo del suo romanzo, ndr). Trovare qualcuno che mi prendesse per mano e mi accompagnasse verso una nuova versione di me stessa. Fino a quando non lo so, e non voglio saperlo». Cercare subito un principe azzurro, dopo la fine dolorosa di una storia d’amore importante, è pericoloso, sottolinea la filosofa Laura Campanello: «Rischi di perpetuare una relazione fotocopia di quella già vissuta, e quindi destinata al fallimento o alla sofferenza. Invece, permettersi di rielaborare un lutto e di essere traghettate consente alla nuova storia, col nuovo uomo, di essere diversa dalla precedente ma possibile, reale, profonda».

Annalisa il suo traghettatore l’ha trovato – sebbene su di lui non si sbottoni – e nel romanzo ha l’aspetto di un uomo affascinante, misterioso ma solido, che la rende felice e la fa ricominciare a sognare. «Il traghettatore è qualcuno che ti migliora, che ti fa scoprire aspetti di te che non sapevi di avere, ti fa guardare le cose in un altro modo, ti fa crescere» confessa. Il percorso verso questa libertà può essere a volte faticoso e doloroso. «E c’è anche la paura di essere giudicate» rivela Annalisa. «Perché noi solitamente facciamo coincidere il dolore con l’amore» conferma la filosofa. «Pensiamo: se io ti amavo davvero, devo continuare a soffrire per te. Invece il vero, grande passaggio dell’elaborazione del lutto è un altro: io ti ho amato tantissimo, ma non è continuando a soffrire che rimarrò legata a te. Sarà il ricordo che mi terrà legata a te, però io ho il diritto di tornare a essere felice». Annalisa sembra avere raggiunto questa consapevolezza, essersi pacificata con se stessa. Si intuisce tra le righe del suo romanzo che, conferma lei stessa, «vuole essere di ispirazione per chi si trova in una fase di passaggio. Perché nella vita vince chi si mette in gioco».

Adesso in libreria

Il traghettatore (Giunti) è il secondo romanzo di Annalisa Menin. Anche questo, come il primo, Il mio ultimo anno a New York, è ispirato alla sua storia. Anna, alter ego di Annalisa, è rimasta vedova a 30 anni e prova a ricominciare, anche nella vita sentimentale. Incontra vari uomini, alcuni con esiti catastrofici, finché decide di cercare qualcuno che la prenda per mano in questa fase di passaggio. Un traghettatore.