«Pablo Picasso sono io!». Il giubbotto di pelle nera, gli occhi che splendono come fiammelle, le mani che si muovono di continuo. Antonio Banderas ricorda: «Mia madre mi accompagnava a scuola e passavamo ogni giorno davanti alla casa in cui è nato il pittore spagnolo». Con una frase vengo catapultato dalla California, dove incontro l’attore 57enne, a Málaga, la città andalusa da cui Picasso e Banderas arrivano, e di cui condividono l’allure esotica e la luce della seduzione. «Quando il regista Ron Howard mi ha proposto di trasformarmi in Picasso, ho risposto: lo sono già! Lo sono stato per tutta la vita. Sono iberico, amo viaggiare, sono malinconico, proprio come lo era lui. E – aggiungo mettendomi nei guai da solo – condivido con Picasso il fatto di avere avuto rapporti turbolenti con le donne. Siamo stati entrambi sposati 2 volte. Il mio ultimo “sì” è stato nel 1996 con Melanie Griffith, da cui ho avuto Stella, prima che tutto finisse nel 2015». Quanto Picasso e Banderas si somiglino lo vedremo dal 10 maggio nella serie di National Geographic Genius (canale 403 di Sky): dopo avere raccontato Albert Einstein, la seconda stagione è dedicata al grande artista spagnolo. Attore-icona di Pedro Almodóvar, grazie al quale ha esordito al cinema, negli anni ’90 Banderas è diventato un sex symbol di Hollywood. I suoi film cult? Evita, accanto a Madonna, Intervista col vampiro insieme a Tom Cruise, e poi Philadelphia, La maschera di Zorro… Fino all’animazione: ha fatto impazzire i più piccoli prestando occhi e voce al Gatto con gli stivali in Shrek.
Prima di parlare di Picasso, posso chiederle come sta?
Sono ancora un po’ provato dall’infarto di qualche mese fa, ma nel complesso alla fine si è trattato solo di un brutto spavento. Mi hanno tenuto in osservazione in una clinica in Svizzera e, grazie all’appoggio della mia fidanzata (la 38enne olandese Nicole Kempel, consulente finanziaria con cui ha una relazione dal 2015, ndr), me la sono cavata.
Il tempo passa, ma l’etichetta da latin lover resta.
Altro che sex symbol! Dovreste vedere le fan come hanno reagito alle prime foto di Genius, pubblicate su Instagram. Per trasformarmi in Pablo Picasso ho tagliato i miei ricci da macho latino, lasciando il cranio rasato o indossando una parrucca grigia. Gli altri attori della serie, come Clémence Poésy che interpreta Françoise Gilot (musa di Picasso dal 1943 al 1953 e madre di Paloma e Claude, ndr), faticavano a riconoscermi.
Chi è per lei Picasso?
È un eroe, un simbolo. Nella Spagna del 20° secolo non avevamo un modello che ispirasse il popolo. Picasso lo è stato, e lo ha fatto in un periodo storico in cui gli spagnoli erano di fatto isolati e soggiogati dalla dittatura di Francisco Franco. Sono cresciuto sotto l’ombra di Picasso, del suo genio, delle sue creazioni. Avevo 13 anni quando lui morì: mi ha fatto innamorare della mia città, del Paese, della gente, dei colori. A Hollywood mi hanno offerto la parte del pittore diverse volte in passato, ma ho sempre detto di no: troppa responsabilità. A convincermi, ora, è l’aver capito che tra l’artista e la persona non esiste separazione. Mi riconosco molto in Picasso.
Lei dipinge?
Sono un creativo, non un pittore o uno scultore. Mi appassionano il filone del cubismo, l’arte figurativa, l’espressionismo. Il cinema è come un quadro, e registi e produttori fanno quello che ha fatto Picasso quando ha preso il dipinto di Velázquez, Las Meninas, e l’ha riproposto 58 versioni diverse. È così che io entro nel personaggio: reinterpreto.
E questa “reinterpretazione” com’è stata?
Come farmi assalire dai fantasmi che lo tormentavano. E sfidarli, uno dopo l’altro. Il regista Pedro Almodóvar, dopo 6 film insieme, mi ha insegnato che un personaggio senza complessità è un personaggio senz’anima.
Picasso era vorace di passioni.
Con le donne si comportava come i bambini con le torte: le voleva tutte. Non aveva maschere. Se smetteva di amarle, era onesto e spietato nel dirglielo. La sua reputazione era ben nota. So che in tempi di MeToo e Time’s Up può sembrare inopportuno parlare di Picasso. Ma facendo ricerche per preparare la serie non abbiamo trovato traccia di denunce per abusi. Anzi, la parte più emozionante di questa esperienza con National Geographic è stata la telefonata che ho ricevuto da sua figlia Paloma. Mi ha raccontato: «Per me è stato un padre in tutto e per tutto. Ci siamo amati tanto».
Una volta lei ha detto: «Non voglio nulla che non mi meriti». Lo pensa ancora?
L’ho detto in passato, negli anni ’90, parlando della tentazione di sfondare a Hollywood. E ho aggiunto: «Ma se mi offrono dei bei soldi, non sono mica stupido ». A quei tempi la tv la snobbavano tutti: era un fenomeno di serie B, la sorella brutta del grande schermo. Oggi è il contrario.
La fabbrica dei sogni è un mito. Come le coppie dello spettacolo.
Quando io e Melanie Griffith ci siamo separati dopo 20 anni di matrimonio, non ci ho visto un fallimento (dal 1987 al 1995 Banderas era stato sposato con l’attrice Ana Leza, ndr). Non siamo andati in tribunale, abbiamo fatto tutto da persone civili. Dico sempre che una coppia, anche se famosa, non deve correre alle Olimpiadi, non deve batter alcun record. Quando finisce, finisce. Non si può vivere danneggiando l’altro in eterno. Cosa cerco ora? Serenità. E nuove sfide.