L’Arabia Saudita, tramite l’ente del turismo Visit Saudi, sarà tra i main sponsor dei Mondiali di calcio femminile in programma in Australia e Nuova Zelanda. Una scelta che sta facendo molto discutere e che la Fifa avrebbe adottato unilateralmente, informando i Paesi ospitanti ad accordo fatto.
Australia e Nuova Zelanda vogliono chiarezza
Una sponsorizzazione che stride con i valori di libertà, uguaglianza e rispetto che si vorrebbero veicolare anche attraverso il calcio femminile.
Immediata la reazione di entrambe le Federazioni ospitanti. “Siamo molto delusi dal fatto che Football Australia non sia stata consultata in merito prima di prendere qualsiasi decisione”, ha dichiarato una portavoce dell’organo di governo del calcio australiano. Football Australia ha spiegato che i suoi leader e quelli di New Zealand Football, “hanno scritto congiuntamente alla FIFA per chiarire con urgenza la situazione”.
Arabia Saudita sponsor, parola alle ex calciatrici
L’ex calciatrice della nazionale australiana, Kathryn Gill, ha sottolineato come la Fifa sia “obbligata a rispettare tutti i diritti umani riconosciuti a livello internazionale e a esercitare la sua influenza quando questi non sono rispettati o protetti”.
Gill, co-presidente dell’Australian Professional Footballers’ Union, ha aggiunto: “L’obiettivo delle giocatrici è quello di rendere la Coppa del Mondo femminile 2023 un’occasione per promuovere il bene e continueranno a chiedere conto alla Fifa quando quest’ultima lo metterà a repentaglio”.
Il comunicato della Federazione Usa
“US Soccer Federation sostiene fortemente i diritti umani e l’equità per tutti e crede nel potere del nostro sport di avere un impatto positivo”. E’ il commento l’USSF in una dichiarazione al sito “The Athletic“.
“Sebbene non possiamo controllare il modo in cui altre Federazioni gestiscono le selezioni di sponsorizzazione per i tornei in cui partecipiamo – continua la nota -, possiamo esprimere le nostre preoccupazioni e continueremo a supportare i nostri giocatori”.
Gli Stati Uniti sono la prima squadra classificata dalla FIFA e hanno vinto le ultime due edizioni della Coppa del Mondo.
“Sportwashing”: la condanna degli attivisti
Sul piede di guerra anche le associazioni per i diritti umani. Gli attivisti non esitano a condannare la sponsorizzazione saudita, in contrasto con il messaggio del torneo sull’emancipazione di donne e ragazze.
“Vale la pena ricordare che, fino al 2018, alle donne in Arabia non era permesso praticare sport nelle scuole e guardare lo sport negli stadi“. Lo ha detto Minky Worden, direttrice delle iniziative globali di Human Rights Watch. “Invece di fare sportwashing con sponsorizzazioni per tentare di riabilitare la sua immagine globale – continua – sarebbe molto meglio per l’Arabia Saudita intraprendere riforme fondamentali dei diritti umani, incluso il rispetto dei diritti fondamentali per le donne”.
Le fa eco Nikita White, responsabile della campagna australiana di Amnesty International. Lo fa rimarcando lo “spaventoso record di violazioni dei diritti umani”: “Ricordo che in Arabia una donna non può nemmeno lavorare senza il permesso dell’uomo”. E conclude: “La sponsorizzazione della Coppa del Mondo femminile da parte delle autorità saudite sarebbe un caso da manuale di riciclaggio sportivo“.
Arabia Saudita, i diritti negati alle donne
Nonostante alcune recenti riforme, in Arabia Saudita gli uomini decidono ancora su qualsiasi aspetto della vita delle donne, benessere e salute compresi.
Nel Paese dove è stato da poco eliminato il divieto di guida per le donne e sono stati messi a punto emendamenti per consentire loro di richiedere documenti ufficiali, gli uomini dispongono della “legge sulla tutela“. Ogni donna saudita ha sempre bisogno del permesso di un tutore maschio per sposarsi o ottenere forme di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva. I tutori possono inoltre intentare azioni legali contro le donne, per disobbedienza e assenza da casa.