Ho passato la serata ascoltando le canzoni di Aretha Franklin dopo la notizia della sua morte il 16 agosto 2018. Quelle più famose e quelle meno. Ogni volta mi si apriva una finestra: quella volta che ho sentito You make me feel (like a Natural Woman) con la pelle percorsa dai brividi durante una scena de Il grande freddo e quando poi l’ho riascoltata in loop in uno spot di un deodorante e ho pensato “Quanto è potente il messaggio”; le decine di volte che ho guardato The Blues Brothers e ho ammirato il modo in cui teneva testa a quell’energumeno tutto muscoli di Matt Murphy urlandogli di volere la sua libertà (Think); l’omaggio che gli ha reso Alan Parker nel film The Commitments inserendo nella colonna sonora Chain of Fools, una delle 500 canzoni più belle di sempre secondo la rivista americana Rolling Stones come la ancora più bella Respect (che in quella classifica è quinta); e la volta che ho portato a casa uno dei suoi ultimi album, A rose is still a rose, e mi sono innamorata subito del suo sound per quanto fosse moderno.
Grazie a quei film e a quello spot tutti la conoscevamo, avevamo assorbito senza volerlo la sua grinta, la sua femminilità dolente, la sensualità e il calore della sua voce.
Era unica. Era la voce delle donne. Lo sapevano Amy Winehouse per cui è stata un punto di riferimento e Lauryn Hill che ha cantato con lei. Tutti i grandi che l’hanno omaggiata.
Aretha aveva 76 anni, era cresciuta cantando gospel, al seguito di un padre non facile. A 12 anni ha avuto il suo primo figlio, a 15 il secondo. Ma a 18 aveva già firmato un contratto con la Columbia e durante la sua carriera ha vinto 18 Grammy e venduto decine di milioni di dischi.
Ineguagliabile e inarrestabile. Aretha è diventata anche una paladina dei diritti umani, amica di Martin Luther King, cantò Precious Lord nel 1968 al suo funerale. Nel 2009 intonò My Country Tis of Thee, la canzone patriottica americana, all’insediamento di Barack Obama, e nel 2015 lo ha emozionato fino alle lacrime con una versione memorabile di Natural Woman.
Per lei, la Regina del soul, oggi piange l’America e non solo. Mentre i colleghi su Twitter scrivono: «Quanto siamo stati fortunati a poter ascoltare il meglio che Dio ha potuto offrire con la sua voce» Lenny Kravitz e, ancora, «Che vita, quale eredità, tanto amore rispetto e gratitudine» Carole King.