Performance? Provocazione? Protesta? Cosa siano davvero le opere di Banksy non è dato sapere. Persino l’identità dello street artist britannico è tuttora un mistero, nonostante abbiano provato a scoprirla una squadra anticrimine, un’inchiesta giornalistica del Daily Mail e migliaia di fan. Quello che è certo è che Banksy è il nome di un fenomeno che sta facendo impazzire il mondo dell’arte, e non solo. «Non c’è artista che riesca a far parlare così tanto di sé e dei suoi lavori: neppure Damien Hirst con la gigantesca mostra a Venezia sul recupero del finto tesoro sommerso o Maurizio Cattelan con i manichini-bambini impiccati a Milano» dice Gianni Mercurio, curatore della mostra “A visual protest. The art of Banksy”, appena inaugurata al Mudec di Milano. È la prima in assoluto in un museo pubblico: espone oltre 70 opere tra stampe, dipinti e sculture, oltre a contributi video e digitali per raccontare origini, influenze, temi e ispirazioni del graffitaro più famoso del mondo. Ma non è l’unico omaggio al genio fantasma dell’arte: a Palazzo Medici Riccardi di Firenze si possono vedere 70 lavori nella mostra “Banksy. This is not a photo opportunity”. Mentre a dicembre arriva al cinema il docufilm L’uomo che rubò Banksy e in libreria c’è Cercasi Banksy disperatamente (L’ippocampo), un atlante con tanto di mappe dei luoghi delle sue opere dagli esordi a oggi.
Comunica temi complessi con immagini semplici
«La cura con cui sceglie i posti delle sue performance, la critica politica al sistema dominante, l’uso dei social e la volontà dell’anonimato sono il mix perfetto per creare il più famoso artista contemporaneo vivente» afferma Mercuri. L’ultimo colpo, forse il più spettacolare, l’ha messo a segno a ottobre alla casa d’aste Sotheby’s, cuore del mondo dell’arte, quando uno dei suoi quadri più famosi, “Girl with ballon”, si è autodistrutto subito dopo essere stato battuto per oltre 1 milione di sterline. Ma tutte le opere di Banksy sono diventate icone del mondo contemporaneo: dalla famosissima “Love is in the air (flower trower)”, realizzata su un palazzo di Gerusalemme, ai disegni sul muro tra Israele e i Territori palestinesi che gli hanno fatto guadagnare la fama mondiale. Fino al graffito davanti all’ambasciata francese a Londra che raffigura Cosette, personaggio di “I Miserabili” di Victor Hugo. Sotto ha un codice QR che rimanda a un video sui raid compiuti dalla polizia contro i migranti a Calais.
«Un esempio di street art dal valore sociale fortissimo, che si trasforma in un’opera interattiva che rimanda alle news del tg. Si può immaginare qualcosa di più dirompente?» dice Mercurio. «L’essenza dell’arte di Banksy non è la forma: è il messaggio. I soggetti sono guerre, banche, immigrazione, falso benessere, consumismo, conformismo. La forza sta nel comunicarli con immagini ironiche e brillanti, ma allo stesso tempo incredibilmente semplici e accessibili e per questo potentissime». Per dirla con lo street artist americano Obey: «Anche un bambino di 6 anni che non ha la minima idea di cosa sia un conflitto culturale non avrà alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vede la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme».
È un brand globale
Banksy è un talento così geniale da fare proseliti anche nel campo della moda, della pubblicità e del marketing. La famosa “Ragazza col palloncino” (quella tagliuzzata da Sotheby’s) ha ispirato decine di manifesti pubblicitari, da Ikea a McDonald’s. E qualche mese fa Diesel, la griffe di Renzo Rosso, ha lanciato il finto marchio contraffatto Deisel e relativa collezione, aprendo un negozio tarocco a Canal Street a New York, sull’esempio di quanto fatto dallo street artist, che nel 2013 aveva allestito una vendita dei suoi lavori sotto mentite spoglie in un baracchino a Central Park. «Banksy è un vero e proprio brand, che ha fatto delle sue caratteristiche riconoscibili – anonimato, libertà e ribellione – valori identitari fortissimi» spiega Vanni Codeluppi, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi allo Iulm di Milano.
«Seguirlo, citarlo, omaggiarlo sono strategie vincenti per richiamare l’attenzione dei suoi fan più irriducibili, gli under 25, un target difficilissimo da raggiungere in pubblicità con gli approcci più tradizionali: quale maestro migliore del writer per sviluppare un messaggio efficace?». Certo, a volte il dubbio che Banksy stesso sia un genio del business viene. «Lui ha detto: “Non so se ho usato l’arte per promuovere la protesta o la protesta per promuovere la mia arte”» nota Mercuri. Anche questo resta un mistero. Almeno per ora.