Non riattaccare: in sintesi
La telefonata arriva nel cuore della notte. È il suo ex, la voce bassa, affranta, disperata. Lei risponde, si preoccupa, afferra le chiavi della macchina e si mette alla guida per raggiungerlo. La trama è smilza, l’interpretazione magistrale. Quella donna che parla per un’ora e mezza al cellulare con l’ex compagno, rielaborando il suo amore, la loro storia, la sua vita mentre sfreccia sull’autostrada deserta, nel film Non riattaccare di Manfredi Lucibello, al cinema dall’11 luglio, è Barbara Ronchi, David di Donatello nel 2023 per la sua interpretazione in Settembre lo scorso anno e bis sfiorato quest’anno per Rapito di Marco Bellocchio.
Io e il Secco: una moglie, una madre
Barbara Ronchi, attrice romana, ha 41 anni e grandi occhI azzurri, è ora nelle sale con Io e il Secco, diretto da Gianluca Santoni, con Andrea Lattanzi e Francesco Lombardo, dove interpreta una moglie che subisce violenza dal marito e una madre che farebbe qualsiasi cosa per il figlio.
L’intervista a Barbara Ronchi
È come se fosse diventata l’interprete di un cinema dei sentimenti, le dico quando la incontro al Riviera International Film Festival per l’anteprima di Io e il Secco. Di un cinema fatto di relazioni, incontri, problematiche di coppia, di donne ferite che potremmo essere tutte noi. «Anche se sono personaggi molto diversi tra loro, che vanno dalla commedia al dramma» mi risponde. «Mi piace raccontare le donne che non hanno le parole giuste per dire certe cose. Non sanno come si sentono, non hanno la cognizione totale di quello che stanno provando. È come se lo scoprissero insieme al pubblico. A me piace lasciare in ognuna di loro un mistero che non venga svelato. Che è anche il mio mistero».
Il suo mistero?
«Non voglio spiegare le donne che interpreto, non voglio essere colei che sbroglia la matassa. Loro rimarranno nella memoria di qualcuno come donne non risolte, ma ognuna è una donna che cerca un proprio posto nel mondo. Penso a Bianca di Dieci minuti, a Francesca di Settembre e anche a Maria di Io e il Secco: mi piace moltissimo il percorso che fa dall’inizio alla fine. È una donna che pensa che bisogna tenere la famiglia unita, nonostante le violenze, ma poi capisce che forse non è giusto perché vede che il figlio sta diventando violento come il padre, perpetrando il modello maschile che ha come riferimento: questo le dà la forza per spezzare la catena».
Il cuore, o meglio, gli occhi di Barbara Ronchi
In Io e il Secco sono importanti i silenzi, gli sguardi. Lei lavora per sottrazione?
«Forse questa impressione deriva dal fatto che non do soluzioni. Spero che lo spettatore mi guardi e pensi alla stessa cosa che sto pensando io in quel momento. Che a certi stati d’animo, a certe conclusioni arrivi insieme a me. Io non aggredisco, cerco di tenermi legata al personaggio».
Di lei come attrice colpiscono molto gli occhi. Il modo espressivo che ha di far parlare il volto più che il corpo. È così anche nella vita?
«Mi piace molto guardare. E mi piace molto ascoltare. Quando comincio a lavorare su un personaggio, la prima cosa che penso è come guarda. Come guarda gli altri, se ascolta o non ascolta. Perché quello mi dà la tara per cominciare a pensare che tipo di persona è. E di mio mi piace tanto… Forse ascolto di più di quanto parli, guardo di più di quanto mi faccia guardare, nonostante il lavoro che faccio».
L’ascolto è la chiave del film
È difficile trovare oggi una persona che sappia ascoltare.
«A me invece sembra più interessante. Io lo so cosa penso e non ho la presunzione di volerlo ribadire. Mi interessa di più sapere per esempio cosa pensa lei».
Be’, quello un po’ gliel’ho già detto. (Ride, ndr)
«Sì me l’ha già detto».
In Non riattaccare l’ascolto è la chiave di tutto, mi sembra.
«Sì, perché è la storia di una telefonata che riceve Irene, il mio personaggio, e che la porta a mettersi in macchina e ad andare verso questa voce, verso quest’uomo. Ci sono tutte le parole che non si sono detti quando avrebbero dovuto. All’inizio avevo molta paura, perché ci sono solo io in scena, con la voce di Claudio Santamaria».
Non riattaccare a teatro
Com’è stato?
«Strano, temevo di non avere alcun appiglio, nessuno con cui condividere le difficoltà. Poi abbiamo girato sempre di notte, dalle 6 di pomeriggio alle 6 di mattina, con i cicli completamente sballati. Ma il regista e la troupe, composta da ragazzi molto giovani, si sono stretti intorno a me. Mi sembrava di stare a teatro».
Come si è preparata per questa parte?
«Sono stata 2 settimane chiusa in un teatro, appunto. Ho imparato tutto il film a memoria, come se fosse uno spettacolo».
Lo porterà su un palco?
«Sarebbe bello. Però il cinema ti consente di andare fuori dalle quattro mura».
Perché non si esce prima da una situazione violenta?
Quando interpreta ruoli così non le sembra di sottoporsi a una seduta psicanalitica? Non si fa delle domande?
«Quando reciti entri nella vita degli altri e io mi sono chiesta, per esempio, perché Maria in Io e il Secco, non fosse uscita prima da quella situazione di violenza. Era una cosa che non riuscivo a capire, perché non l’ho mai vissuta e non potevo nemmeno fare finta di averla vissuta. In quei casi posso solo pensare che ci sia qualcos’altro, ed è quello che mi angoscia ma che mi fa anche davvero entrare in un’altra donna che non sono io. Però c’è sempre qualcosa che mi accomuna, che restringe lo spazio e il tempo. In questo caso credo che sia suo figlio. Questo lo capisco: il fare schermo alle violenze che riguardano soltanto lei e il pensiero, comprensibile, che una famiglia sia fatta di una mamma e di un papà. L’idea di non poter allontanare un padre da un figlio».
Per proteggere un figlio
Suo figlio quanti anni ha?
«Mio figlio ha 6 anni (Giovanni, avuto col compagno Alessandro Tedeschi, ndr), è molto vicino all’età del bambino protagonista di Io e il Secco. Se mi dovesse capitare una situazione del genere, il mio primo pensiero sarebbe proteggere lui, non me. Capisco il procrastinare di alcune donne, anche perché denunciare non è facile. E qui si apre tutto un altro discorso anche sul “dopo” la denuncia. Ci vuole veramente tanto coraggio».
Il focus del film secondo Barbara Ronchi
In Non riattaccare il focus è la relazione uomo-donna. C’è l’idea che se un uomo ti chiama devi correre?
«No, non è proprio così. Qui vengono sviscerati una serie di punti che si possono trovare in tutte le relazioni. Io ho sempre pensato che lei a quella telefonata risponde ma non sta correndo da lui. Lei vuole che lui ascolti tutto quello che lei deve dire fino alla fine. Entrambi si concedono questa lunga notte per chiarirsi e confrontarsi. È una storia anche di rapporti sbilanciati, del non ascolto dell’uno e dell’altro e di quanto questo possa creare poi dei malintesi importanti».
Barbara Ronchi: dall’archeologia al teatro, fino al cinema
Ha iniziato relativamente tardi a fare cinema, come mai?
«Perché prima ho fatto tanti anni di teatro, 10 anni subito dopo l’Accademia, gli anni della mia formazione. Lo amo e non vedo l’ora di tornare a farlo. Purtroppo però il teatro lo vedi dal vivo e poi non lo vedi più. Per questo si ha l’impressione che soltanto quando arrivi al cinema o alla televisione “nasci”».
Lei è laureata in Archeologia classica: come mai poi ha scelto la carriera della recitazione?
«Perché ho sempre voluto fare l’attrice però mi vergognavo a dirlo, mi sembrava una scelta vanitosa. Però mi piaceva anche studiare, mi piaceva la storia. Poi è arrivato Bellocchio con Fai bei sogni e mi ha cambiato la vita».
La libertà di decidere del proprio corpo
Come donna oggi come si sente?
«Molto fortunata, sul serio. Perché faccio il lavoro che volevo fare da piccola, perché ho una famiglia che mi ama e che io amo immensamente. Sono felice».
Cosa manca ancora alle donne, secondo lei?
«La libertà di decidere del nostro corpo. Cosa vogliamo fare della vita che possiamo procreare: libertà di scegliere di abortire, libertà di scegliere di diventare madre. Lo Stato deve aiutare. Invece di disincentivare l’aborto, sarebbe più interessante se aiutasse tutte quelle donne che non riescono a diventare madri e devono ricorrere alla procreazione assistita. Io stessa ho deciso di diventare madre intorno ai 30 anni e lo sono diventata a 35. Tante mie amiche ci sono riuscite tardi, altre non ce l’hanno fatta e sono state anche tanto sole in questo percorso».
Lei è vanitosa o timida?
«Vanitosa no. Direi riservata, ma non timida. Anzi, mi piace conoscere gli altri. E anche farmi conoscere».
Styling Cristina Nava. Foto di Roberta Krasnig