La morte in Francia il 3 febbraio di Paco Rabanne, lo stilista più spaziale del mondo della moda, ci raggiunge mentre la Sony Pictures sta ultimando la lavorazione di un nuovo adattamento di Barbarella, il celebre fumetto di Jean-Claude Forest già trasposto sul grande schermo nel 1968, con il volto iconico di Jane Fonda e i costumi ispirati alle creazioni proprio di Paco Rabanne.

Paco Rabanne stilista del futuro

Paco Rabanne è lo stilista che ha vestito il futuro, come spiega la nostra Fashion creative director, Michela Gattermayer: «Per ricordarlo basta una parola: Barbarella. 1968, gli studenti sono in strada in eskimo ma lui, Paco Rabanne, veste Jane Fonda come una creatura dello spazio. E l’anno dopo il primo uomo cammina davvero sulla luna. È sempre stato avanti il sarto metallurgico, come lo definì Coco Chanel. E ora, a 88 anni, è diventato una stella per chi crede a queste cose. La sua eredità è fondamentale per la moda: è stato il primo a mettere la musica nelle sfilate e a usare carta, plastica e metallo per “disegnare” vestiti.

Paco Rabanne e il design

«La vernice bianca o arancio e giubbotti e stivali sono nella storia della moda e si coordinano a oggetti di design (due fra tutti la lampada Nesso di Artemide e la Ball Chair di Eero Arnio). Per noi bambine negli anni Sessanta era un divertimento il kit di dischetti d’oro e d’argento da unire con gancini per costruire lunghi gilet e vestiti. I maschi avevano il meccano e il Lego, le femmine un simil Paco Rabanne. Fashioniste involontarie grazie a lui».

Ma tutti ricordiamo Paco Rabanne soprattutto per aver ispirato i costumi spaziali del celeberrimo film Barbarella, tratto dal fumetto che trasforma in icona la sensualissima viaggiatrice dello spazio, e diventato un cult.

Barbarella mania: i costumi di Paco Rabanne

Perché non riusciamo a dimenticare Barbarella, deliziosa creatura dai lunghi capelli ramati e gli occhi azzurri di Jane Fonda che, nel 1968, se ne andava a spasso nella galassia in cerca di un cattivo il cui nome – Durand Durand – sarebbe rimbalzato nei decenni fino a diventare quello (senza la d) di una famosa pop band anni ’80? Perché quel film, all’inizio stroncato dalla critica, è poi diventato un cult? Forse la ragione è che dietro la cinepresa c’era quel genio di Roger Vadim, capace di inventarsi di sana pianta i mondi onirici di un remoto futuro (il film è ambientato nel 40.000 d.C.) con tanto di astronavi foderate di pelliccia. Per interpretare la prima versione, Vadim chiamò Virna Lisi, poi Brigitte Bardot e infine Sofia Loren: tutte declinarono l’offerta. Alla fine, il regista scelse l’allora sua consorte Jane Fonda, che acconsentì come sommo atto d’amore. Da allora Barbarella vive di vita propria e non ci ha più lasciati. Anzi, ama fare ritorno, visto che nel 2023 avrà un nuovo volto, quello della 25enne Sydney Sweeney, già famosa per i suoi ruoli in Euphoria e The White Lotus. Mentre la casa di produzione Sony Pictures è da mesi al lavoro per prepararsi a girare il reboot, a noi non resta che tenerci pronte a un’ondata multimediale di Barbarella mania: libri, fumetti, canzoni, gadget, moda.

Lo stile Barbarella ispirato a Paco Rabanne

Quando Jane Fonda, 55 anni fa, uscì dall’astronave indossando, come scriveva la sceneggiatrice Anita Loos, «aderenti bustini metallizzati, tutine attillatissime intramezzate da dettagli metallici, corpetti con applicazioni in plexiglas effetto nude look, giubbini argentati in stile astronauta e sexy mise con frange e plastica in abbondanza», le ragazze di allora impazzirono. Lo stile Barbarella era ispirato alle creazioni del couturier Paco Rabanne, con tanto di cuissardes, quei magnifici stivali sopra il ginocchio che tutte volevano, e di sensualissimi, ma aggressivi, shorts inguinali, permessi solo se avevi delle belle gambe. Senza Barbarella forse non avremmo avuto i corsetti rigidi di Jean Paul Gaultier – tra cui il meraviglioso body-Barbarella della collezione Autunno Inverno 2009 in lamé – o le eroine metalliche di Antonio Berardi e neppure la moda futuristica di Nicolas Ghesquière. Nella versione del 1968, tranne un ensemble verde di Paco Rabanne, gli otto cambi d’abito di Jane Fonda furono frutto dell’estro del costumista francese Jacques Fonteray. E sono tuttora mitici.

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La femminilità di Barbarella

Inventata dal fumettista francese Jean-Claude Forest, all’epoca Barbarella esercitò un’altra fascinazione oltre a quella creata dalla moda: rivoluzionò la percezione della femminilità. La sua era un po’ sorniona, capace di osare giocando innocentemente con il proprio corpo. Vadim, noto estimatore del sesso libero, colse al volo le potenzialità del fumetto. Già nei titoli di testa del film (puoi vederli su YouTube), in una memorabile sequenza d’apertura, Jane Fonda si libera della tuta d’astronauta rimanendo completamente nuda mentre fluttua senza gravità nella navicella spaziale (Vadim le promise di coprire con i titoli le parti più intime. E così fece).

Il film Barbarella: angeli e piacere

Incaricata di ritrovare lo scienziato Durand Durand, la viaggiatrice dello spazio sbarca su Tau Ceti, dove viene presa prigioniera da una coppia di inquietanti gemelline (che devono aver ispirato Kubrick in Shining). A liberarla è un vigoroso, villosissimo ribelle (Ugo Tognazzi!), che le propone di fare l’amore alla vecchia maniera e non (come usa nel mondo da cui proviene la giovane donna) prendendo la “pillola per esultare insieme”. Barbarella, un po’ perplessa, acconsente scoprendo che l’esperienza è molto meglio della pasticca e, divertita, riflette che gli antichi avevano ragione: il sesso distrae e rende felici. Addirittura riporta alla vita. Lo dimostrerà Pygar, il bellissimo angelo cieco e incapace di volare, che dopo una notte trascorsa nel suo nido tra le braccia di Barbarella riaprirà le ali. E quando il cattivissimo Durand Durand la infilerà nell’esilarante Orgasmatron, suonando i tasti della macchina pronta a ucciderla con il troppo piacere, sarà Barbarella stessa a far saltare l’infernale marchingegno, dicendo: “Oh, it’s nice!”. Jane Fonda suda, geme e pronuncia le fatidiche parole con la stessa immacolata innocenza con cui prima chiedeva a tutti: “Parlez-vous français?”. O con la stessa svagata tranquillità con cui galleggia sul Mathmos, il lago di pura energia malvagia, costruendosi una bolla perfetta e facendo dire al cattivo: «Sei così buona da far vomitare il Mathmos».

Le fanta-erotiche avventure di Barbarella

Insomma, Barbarella è la sex bomb che porta la pace nel mondo, rassicurandoci che non finiremo malamente per troppo “peace and love and pleasure”. Per esserci distratti o essere stati felici. O per aver fatto l’amore invece che la guerra. Nel 1968, data di uscita della pellicola, gli hippies predicavano proprio questo e gli spettatori un po’ ridevano di fronte alla giocosa assurdità del film, consapevoli che quell’utopia avrebbe avuto vita breve, un po’ si lasciavano andare all’illusione, dicendosi: «Perché no? Sarebbe bello». La guerra del Vietnam imperversava, ma ridere e divertirsi di fronte alle fanta-erotiche avventure di Barbarella significava in un certo qual modo volerle condividere. Così è stato e così, nel tempo, il film è diventato un cult. Follie kitsch, pop, anarchia, il piacere come unico tabù da liberare e preservare per poter sperare in un futuro senza guerre, la libertà sessuale femminile tra celestiali orgasmi e realtà finalmente svelate (il Gran Tiranno è una donna in aria lesbo-sadomaso): tutto riconduce alla sana natura ludica del piacere. E il finale, altrettanto divertito e divertente, si apre alle gioie del rapporto a tre, con l’apollineo angelo cieco che vola via portando con sé Barbarella e la tiranna. Nessuna dea dell’amore dal corpo fasciato di vinile disarmerà il raggio positronico del film o gli armamenti nucleari della realtà. Le nazioni non sceglieranno mai il sesso al posto della guerra. Ma se lo facessero, oh, come sarebbe “nice”!