Prendi una meravigliosa città medioevale, Lucca. Aggiungi uno dei nostri compositori più amati, Giacomo Puccini, che qui è nato. Proietta tutto nel XXI secolo ed ecco che salta fuori una magnifica bionda, lucchese, innamorata del maestro della Bohème e con un lavoro insolito per una ragazza di 29 anni: direttore d’orchestra.
Sì, a far da modella per Donna Moderna c’è Beatrice Venezi, secondo la rivista Forbes una dei 100 under 30 leader del futuro, che ha vinto quest’anno il Premio Leonia Frescobaldi (destinato a donne audaci e innovatrici), che ha da poco pubblicato un libro (Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica, Utet) e che, se non bastasse, ha appena lanciato il disco My journey – Puccini’s Symphonic Works.
E ancora: è ora tornata da Miami, dove ha diretto l’orchestra che ha accompagnato Andrea Bocelli in un trionfale concerto. Da che parte cominciare un’intervista in bilico tra spartiti, bacchetta e abiti da grande soirée? Dal famoso conterraneo.
Confessa: sei stata cresciuta a pane e Puccini?
«Non proprio. La mia non è una famiglia di musicisti, in casa si ascoltava più rock che opera. Ma a Lucca Puccini risuona in ogni angolo senza bisogno d’orchestra e la mia carriera finora si è snodata tra tanti appuntamenti pucciniani. Il battesimo con la bacchetta? Era la mia prima produzione (Venezi, oltre che in direzione, è diplomata anche in pianoforte, ndr), vicino a Stoccarda. Il direttore un giorno mi disse: “So della tua passione, domani la prova in orchestra la fai tu”. Attimo di panico, ma mi lanciai: era Madama Butterfly. Ma vorrei precisare una cosa…».
Dicci, siamo curiose.
«Sono stata spesso criticata per aver reso pop un grande autore, ma l’opera è popolare per definizione e Puccini, fosse vissuto ora, sarebbe un top influencer. Era un dandy, grande estimatore delle donne, delle barche e delle auto veloci. È stato il primo musicista a farsi riprendere in momenti di vita privata. In questi documentari d’epoca lo si vede andare a caccia o in barca sul lago vestito con un impeccabile (e improbabile) abito bianco e sempre a favore d’obiettivo. Già allora stava costruendo il suo mito».
Puccini ci ha lasciato degli indimenticabili ritratti femminili: a quale di queste donne, da Tosca, Turandot alla Butterfly, ti senti più vicina?
«Direi a Minnie di La fanciulla del West, un personaggio forte e deciso, che tiene a bada senza problemi una pletora di maschi selvatici e brutali».
A proposito di uomini, tu sei un direttore o una direttora?
«Direttore, direttore. Trovo questa lotta per la femminilizzazione dei nomi un modo per sviare il problema. Ci fissiamo sulle parole ma non sono loro che ci ghettizzano. Se chiamiamo una donna sindaca invece di sindaco, ministra al posto di ministro abbiamo risolto il problema della diseguaglianza tra i sessi? A me pare di no: sono comportamento e azioni che pesano».
Comunque un direttore d’orchestra come te, giovane, bella e donna, non si vede tutti i giorni.
«Nell’opinione corrente il direttore è una figura ingessata e cristallizzata. Un uomo con un atteggiamento autoritario e dallo sguardo accigliato. Ma è tutto il mondo della musica classica ad apparire brizzolato e attempato. Invece, la musica è altro: è viva e ricca di colori, la sua bellezza deve tornare a essere patrimonio di tutti, specie dei giovani che la conoscono poco».
Come ti vesti quando sali sul palco?
«Ecco, questo mi sembra un punto più “caldo”. A volte mi è stato chiesto di indossare la classica divisa del direttore, il frac, come fanno i miei colleghi uomini. Ma perché devo indossare un abito maschile se sono una donna? Quindi per me solo abiti e scarpe da sera. Certo, la scelta deve essere stilosa ma anche pratica: quindi, nulla che stringa o impacci i movimenti e scarpe fashion ma con tacchi ben piantati per terra».
Se non fossi stata una musicista…
«Sarei stata sicuramente una globetrotter. Adoro viaggiare, i miei “movimenti” sono anche i contenuti che posto più volentieri su Instagram. A volte mi chiedo se non abbia scelto questo lavoro perché mi porta in giro per il mondo».
Sei superstiziosa come molti artisti?
«Nì. Se devo essere sincera non amo visitare i teatri dove non ho ancora diretto, mi piace entrarvi solo se la mia meta è il podio. Una superstizione che però non ho come spettatrice: come parte del pubblico i teatri li frequento eccome!».
Chi è il tuo mito?
«Non ho dubbi: il grande maestro Leonard Bernstein. È stato il primo a capire l’importanza della divulgazione. La musica classica non è per pochi eletti, una torre da espugnare o un recinto chiuso. Ma un magnifico giardino fiorito per la gioia di tutti».
E il teatro dove sogni di dirigere?
«Il tempio dove ogni direttore spera di entrare con la bacchetta in mano: la Scala di Milano».