Roma. Nello studio di sua moglie Eleonora, lei non c’è: è andata a New York a presentare un film di Fellini restaurato insieme a Ornella Muti. Giuseppe Fiorello (anche se tutti lo conoscono come Beppe, lui preferisce essere chiamato con il nome di battesimo) armeggia col computer, raccoglie le braccia come se dovesse stringere al cuore qualcosa, o qualcuno; e mentre ascolta Modugno che canta la storia di un grillo sussurra: «Con questa canzone ho addormentato i miei figli».
Modugno e suo padre. «Mio padre ci ha cresciuto cantandoci le sue canzoni, per giunta era identico a lui: stessi baffi sottili, stesse giacche immacolate. Sogno di interpretare la sua storia grande e avvincente, anche perché sarebbe come ridare la vita a un padre perduto nel mio momento più delicato: 22 anni, non più un ragazzo ma non ancora un uomo; il servizio militare terminato, l’avvenire incerto. Di mio padre non soltanto ho perduto il confronto da adulto ad adulto, ma anche quello da padre a bambino: soprattutto in famiglia, soffrivo infatti di una timidezza patologica, stavo sempre in disparte. Come a chiedere scusa di esserci. Mi nutrivo con la forza della grande unione che c’era, e c’è, tra noi quattro fratelli».
Giuseppe è un uomo di 39 anni, delicato e sensibile, attento e severo. Nel suo discorrere puntuale e civile, si ripetono le parole “tenerezza”, “ordine”, “rispetto”, responsabilità”. E “tenerezza” è anche il termine con cui sottolinea il suo sentimento nel film tv “Il bambino della domenica” (su RaiUno il 18 e 19 maggio). Ambientato in Sicilia, per la regia di Maurizio Zaccaro, scritto da Andrea Purgatori, Paolo Logli, Alessandro Pondi e dallo stesso Giuseppe Fiorello, racconta la storia di un pugile che, come una stella che credeva di essere fissa, precipita dal suo firmamento: «E incontra un bambino che lo strappa dalla strada in discesa che aveva preso: obbligandolo a fargli da padre gli restituisce dignità, amore per la vita».
Quasi una fiaba: «Dopo tante storie di impegno civile e sociale, fino al recente e fortunatissimo La vita rubata, mi sono preso una pausa dove, alla durezza del ring, si alterna la tenerezza di un rapporto fra un uomo e un bambino che non ha una famiglia e, come è giusto, pretende di averla».
Geloso della sua, di famiglia: una compagna, Eleonora Pratelli, che definisce con naturalezza “mia moglie”, una bambina di 5 anni, Anita, e un bambino di 3, Nicola. È proprio di famiglia che lui ama parlare: «E per famiglia intendo anche mia madre, i miei fratelli Rosario, Anna e Catena, mia suocera Graziella, gli amici; e per amore intendo anche rispetto reciproco, solidarietà e una lealtà illimitata, la capacità di vederti per come sei. Nel caso mio e di Rosario, non personaggi pubblici e di grande fortuna,ma persone con normali gioie, desideri, bisogni, dolori. Per un attore, per di più di successo, distaccarsi dalla realtà è quasi fatale.
Amo il mio lavoro, ci credo, cerco di farlo dando il meglio di me. Fuori dal lavoro, però, mi sono imposto di tornare a essere un uomo qualsiasi, uno che se lo incontri per strada lo confondi con gli altri, non mescolando mai lavoro e famiglia, evitando di mettere in piazza i propri sentimenti. Del resto, questo pudore, questa confidenza moderata, questo silenzio sulle cose più intime ci sono sempre stati anche fra noi fratelli, fra noi e nostro padre, fra noi e nostra madre. Nonostante l’amore».
C’è, in lui, anche altro. Quasi una paura, quasi la superstizione che, parlando di una persona veramente cara, ne esca un’icona, un santino: «Come se non esistesse già più nella realtà. Benché senta il dovere di sottolineare quanto per tutti noi mia madre sia stata importante, di lei dico pochissimo, quasi temessi di parlarne al passato. Quanto mio padre era libero e solare, tanto lei è stata severa ed esigente, ma giusta. “Ordine, ordine, ordine!” era il suo ritornello. E ancora: “Ragazzi, mi raccomando: quando andate in casa degli altri, siate rispettosi, chiedete per piacere e con permesso, non sporcate, non sporcatevi”». Ride sommesso, mentre gli occhi malinconici e neri si velano di una tenerezza struggente: «Con i miei figli, io sono come lei è stata per noi. E se lei mi rimprovera, io le rispondo: “Ma come, proprio tu, che non ce ne lasciavi passare una”».
Un colloquio condotto in modo da evitare di nominare il suo travolgente fratello. «Ma l’ho nominato io, mi sarebbe impossibile tacere di lui. Stimo enormemente Rosario, ma ancora prima lo amo. Finché c’era mio padre, quasi non mi vedeva. Dopo, mi ha portato a cantare nei villaggi turistici, mi ha insegnato tanto». Lui era lo sperduto Fiorellino entrato nel mondo dellospettacolo al traino del già lanciato Fiorello. Che invece chiama sempre e semplicemente Rosario. «Perché tutti e due insieme, smessi i panni dell’attore, torniamo a essere “i figli di Sara e Nicola Fiorello”».
Giuseppe Fiorello nasce a Catania il 12 marzo 1969. Dopo il diploma all’Istituto tecnico industriale, nel 1986 fa l’animatore in un villaggio vacanze a Brucoli, vicino Augusta (Sr), dove vive con la famiglia: mamma Sara, papà Nicola (morto nel 1990) e i fratelli Rosario, Catena e Anna. Nel 1994 debutta a Radio Deejay con il nome d’arte Fiorellino. Nel 1998 esordisce al cinema, nel film L’ultimo capodanno, e in tv, nella fiction Ultimo. Dalla compagna Eleonora ha avuto Anita, 5 anni, e Nicola, 3.