«Ho iniziato il mio discorso all’Onu in questo modo: “Io sono molto di più. Nell’immaginario collettivo una persona grassa è una persona pigra, con poca voglia di fare, che non vuole migliorare né cambiare se stessa, quando effettivamente non è così”. E poi ho raccontato la mia storia». Esordisce così BigMama.

BigMama: da Sanremo all’Onu

Sono le 11 di mattina quando la chiamo con Zoom, si sta preparando una tazza di tè e BigMama mi racconta dei giorni appena trascorsi a New York, dove ha parlato al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite davanti a 2.000 liceali provenienti da tutto il mondo. «È stato pazzesco. Solo dopo ho realizzato: ok, sono stata lì» mi dice.

BigMama, nome d’arte di Marianna Mammone («mi chiamavano così già da piccola proprio per via del cognome»), 24 anni compiuti il 10 marzo, quel Big lo ha reso concreto. Ha sognato in grande e nel giro di un paio di anni ha bruciato tutte le tappe. All’Onu ha portato un messaggio di body positivity, una denuncia contro il bullismo, un invito a non fermarsi davanti ai pregiudizi e a quello che pensano gli altri. A mettere se stessi al primo posto. A sentirsi regine. «Mi rende davvero fiera dare un po’ di conforto ai ragazzi tramite la mia storia. Non è che sono andata là a fare giri di parole che non portano a niente. Io ho raccontato come sono uscita da diverse situazioni nella mia vita, situazioni abbastanza difficili. E quando rendi più umano un discorso, fai capire che quello che stai dicendo è vero, che non ti stai inventando un ruolo che non hai, le persone sono più disposte ad ascoltare e a capire».

L’intervista a BigMama

Come inizia, quindi, la sua storia?

«Vengo da San Michele di Serino, un paese molto piccolo, poco più di 2.000 abitanti, in provincia di Avellino. Sono sempre stata grassa, “cicciottella” diceva mia mamma, e quindi bersaglio di commenti e battute: i primi attacchi sono arrivati dai coetanei in paese, poi alle superiori ad Avellino c’è stata l’esplosione. Finché nel 2019 mi sono trasferita a Milano».

A Milano per studiare?

«Sì, anche se ci tengo a precisare che provengo da una famiglia che non si poteva permettere quello spostamento. Ma io ho cercato in tutti i modi di cambiare città per darmi un futuro. Perché ci credevo tanto. Quando ho iniziato a scrivere canzoni a 13 anni (Charlotte, brano nato nella sua cameretta che parla di autolesionismo e voglia di fuggire, ndr), quando ho pubblicato il mio primo pezzo nel 2016, quando è nata BigMama, ho capito che quella cosa lì poteva salvarmi. La convinzione di essere brava a fare qualcosa poteva portarmi fuori da quel loop di energie negative che stavo vivendo. Sono andata a Milano vincendo una borsa di studio in Urbanistica al Politecnico».

Studia ancora?

«Mi manca solo un esame. Devo capire quando riuscire a farlo… Io mi sono impegnata tanto per me stessa, perché ci ho sempre tenuto a qualificarmi in più ambiti e a farlo nel migliore dei modi. Andavo in tour e al ritorno in treno, mentre gli altri dormivano, stavo sui libri a sottolineare e ripetere. L’anno scorso, quando ho cantato a Sanremo con Elodie, nel van avevo sempre le cuffie: da fuori poteva sembrare che stessi ascoltando musica, in realtà la sera prima mi ero registrata sul telefono tutto l’esame che dovevo dare qualche giorno dopo e me lo ascoltavo per fissarmelo in testa. Ho fatto un po’ di magheggi. Poi purtroppo – per fortuna a dire la verità! – quest’anno non sono proprio riuscita a dare esami. A febbraio ho avuto altro da fare…».

Il 2019 è stato dunque l’anno della svolta?

«Può dirlo. Mi ha contattato la mia attuale etichetta discografica e abbiamo iniziato a collaborare. Ho fatto i miei primi veri pezzi, le prime foto, i primi video, sono usciti i primi articoli, ricevevo le prime attenzioni come artista… Cose che a me non erano mai capitate. Mi sentivo molto potente: mi dicevo che finalmente potevo trovare il mio posto nel mondo, trovare la mia strada. Ma un giorno faccio gli esami del sangue e scopro di avere il cancro. Mi è crollato tutto addosso».

La malattia di BigMama

Com’è successo?

«Era il 13 agosto del 2020. Ho fatto delle analisi perché non mi sentivo bene. Avevo il collo gonfio, avevo passato la quarantena da sola perché avevo paura di portare il Covid ai miei genitori e durante questo periodo ho iniziato ad avere un tracollo fisico importante: attacchi di panico, frequenti dolori, prurito, sudorazioni. Era un linfoma di Hodgkin a uno stadio avanzato. Lì è iniziato il mio calvario, ho proprio toccato il fondo. Quanto è stato difficile riconoscersi in quel periodo: perdi i capelli, prendi peso, ti gonfi tanto».

E oggi come sta?

«Oggi ne parlo con leggerezza perché è una cosa superata e, anche se non lo fosse, è una cosa che colpisce tante persone e non bisogna vergognarsi, anzi».

Di solito si impara qualcosa da periodi del genere.

«Io ho imparato una lezione che mi ha completamente fatta cambiare. Ma proprio tanto. Ossia che se non ti salvi da solo, nessuno ti salva. Nel mio caso mi ha salvato la medicina, certo, la mia famiglia mi è stata molto vicina e anche pochi veri amici. Ma io mi sono resa conto che quel bisogno interiore che avevo di mettere le persone al primo posto e me al secondo era proprio senza senso. Ero la cosiddetta “people pleaser”, quella che pur di far felici gli altri toglie a se stessa».

BigMama

L’autostima contro il bullismo

Pur di piacere?

«Esatto, ero sempre in questa condizione lì. A dire: ti piaccio? Non ti piaccio? Oddio non sono bella, almeno sono simpatica. Ti faccio un regalo, ti do questo. Toglievo a me per dare agli altri. Poi ho capito che gli altri devono stare al secondo posto. Sono rimasta una persona empatica, chi mi sta intorno e mi conosce lo sa benissimo. Mi spendo per i miei amici e non. Però mi sono messa al primo posto e questa cosa mi ha portato ad abbandonare un po’ di persone che facevano leva su quelle che erano le mie debolezze. Mi sono completamente rifatta una vita. Ho iniziato a rivalutarmi, ad amarmi. Ho scoperto di avere questa passione per i capelli corti: ho iniziato a decolorarli, a mettere le lenti a contatto, a truccarmi, a comprare le creme, i profumi, a indossare vestiti attillati e scollati».

E la musica?

«Se non fosse stato per quella non so se mi sarei salvata. Quando avevo il cancro pensavo: devo guarire perché io devo tornare a Milano a fare musica. Nella mia testa non tenevo nient’altro».

E una volta di nuovo a Milano?

«Ho cominciato a prendermi tantissime soddisfazioni, che erano proprio il mio sogno di vita. Ho abbracciato la mia sessualità, mi sono fidanzata con una ragazza, ho trovato una casa che posso permettermi di pagare. Per una persona che viene da una famiglia umile penso che sia uno dei traguardi più belli. Ho fatto il Festival di Sanremo, il primo album, il tour, i concerti. Il titolo del mio discorso all’Onu era “Credere nei propri sogni salva”».

Un bel messaggio.

«Se non avessi creduto in me stessa non avrei fatto passi in avanti. Se avessi ascoltato le parole che mi dicevano le persone intorno a me non avrei raggiunto ciò che adesso mi fa stare bene. Io mi sento una donna che può vivere da sola. Ed è quello che mia mamma ha sempre desiderato per me. Mi diceva sempre: “Devi vivere con la dignità di poter fare le cose da sola. Devi essere autonoma. Ti devi permettere di toglierti lo sfizio, di avere una casa tua, le tue spese, il tuo lavoro, non devi dipendere da nessuno”. Il fatto di averla accontentata in questo mi sta rendendo molto felice».

Com’era da piccola?

«Ero vanitosa, mi piaceva guardami allo specchio, vestirmi bene, poi sono stata completamente rovinata, mi guardavo allo specchio e lo rompevo. Però sotto sotto sapevo di essere bella e forte… Doveva solo venire fuori da sotto le macerie».

BigMama

È per questo che si è tatuata “dea” sul petto?

«È stato uno dei miei primi tatuaggi, il più bello. L’ho fatto quando mi sono resa conto del potenziale che ho. Sono ritornata quella bambina vanitosa che ero da piccola, ma con la consapevolezza di una donna che a 20 anni ha fatto 6 cicli di chemio. Ero e mi sento ancora così. Ho dei periodi no, perché quelli ce li hanno tutti, ma credo fortemente in me stessa e quindi è la parola giusta per me».

Nuovo album BigMama Sangue

Il nuovo album: Sangue

In Sangue, il suo nuovo album, parla tanto di sé.

«La musica è per me una valvola di sfogo. Nasce per dare modo di esprimersi a quelle emozioni che di solito non riusciamo a tradurre bene con le parole. Io parlo di cose vere che mi sono successe, del cat calling che ho subito per strada, di bullismo, di donne, di abusi, di discriminazioni di genere, della malattia che ho affrontato. Perché io sono una donna, sono una persona queer, sono una persona che è stata bullizzata nella vita e continua a essere presa di mira sui social ancora oggi».