«Ho sofferto e ho combattuto, sempre. Ma ho anche avuto tanto dalla vita, affetti, ricordi, momenti felici. Ho cominciato a dipingere per restituire ciò che mi è stato dato, per descrivere emozioni e persone del mio passato presenti ancora dentro di me». Bonaria Manca, pastora e pittrice, classe 1925, il suo piccolo grande mondo lo ha raccontato a colori su ogni angolo delle pareti della sua casa di Tuscania (Vt).
È diventata ambasciatrice dell’Unesco. Scene di vita contadina, il mare, le lavandaie al fiume. E ancora animali, personaggi religiosi e surreali figure al confine tra realtà e fantasia. Entrare nella casa di Bonaria Manca, significa fare un viaggio che inizia dall’infanzia trascorsa nella natia Orune, in Sardegna, fino ad arrivare a Tuscania dove oggi vive. Una pittura quasi febbrile la sua, una sorta di antidoto per placare il ribollire dell’anima, per allontanare paure e solitudini ma anche per celebrare la vita in un tripudio di colori.
Un’artista autodidatta, come si definisce Bonaria Manca, su cui ha messo gli occhi da tempo Vittorio Sgarbi, che ha visitato la sua dimora e che ha voluto esporre le opere dell’artista in una mostra curata da lui stesso a Gualdo Tadino (Pg); una pittrice corteggiata da critici di tutto il mondo, definita da Jean Maria Drot, regista, direttore di Villa Medici, “mistica cugina imprevista di Marc Chagall”.
I suoi dipinti sono stati esposti oltre che a Roma, Torino, Viterbo e Cagliari anche a Parigi, Lione, Ginevra, Salonicco, Marsiglia e nei Paesi Bassi. Di lei ha parlato la stampa internazionale, su di lei sono stati scritti libri e realizzati documentari. Nel Duemila a Salonicco Bonaria Manca è stata nominata ambasciatrice dell’Unesco.
Ha realizzato più di 1.000 opere. Oltre agli affreschi della sua casa-museo di Tuscania, dipinti tra il 1996 e il 2004, Bonaria ha all’attivo un patrimonio artistico da record: più di 1.000 dipinti su tela (ha iniziato a dipingere nel 1980), ai quali bisogna aggiungere una grande quantità di ricami, arazzi e mosaici.
Considerata una star della pittura contemporanea, nella sua casa, seduta su una poltrona tra cataloghi, opere e i colori degli affreschi, l’immancabile fazzolettone colorato in testa, l’artista sarda sembra quasi stupita da tanto successo e clamore, parla a voce bassa ma ferma, scandendo bene le parole pronunciate con accento della sua terra. «Le mie opere sono nate da sole, quasi per caso. Ho sempre ricamato e un giorno mi sono detta: se so ricamare saprò anche dipingere. E così ho cominciato».
La storia di Bonaria Manca
Bonaria Manca è sempre andata controcorrente. Nata 91 anni fa nel Nuorese da una famiglia di pastori, dodicesima di 13 figli, trascorre la sua infanzia seguendo i genitori nelle attività di casa e della campagna, in una società, quella barbaricina, in cui la donna è perno della famiglia e come tale deve essere educata. «Da bambina aiutavo i miei nelle faccende quotidiane. Ricordo che facevamo chilometri per arrivare al fiume a lavare i panni e la lana. E qui cantavamo e ballavamo. Erano momenti felici». Attimi che ritornano in molte delle opere di Bonaria dove si ritrovano il fiume, i campi, il taglio del grano. E le figure familiari, il padre e la madre, spesso rappresentati nei tipici abiti sardi.
«Negli anni Cinquanta» prosegue Bonaria «come fecero molte famiglie sarde in cerca di nuovi pascoli, ci trasferimmo e arrivammo a Tuscania. Si andava avanti e si affrontavano con coraggio le difficoltà. La vita è una lotta che si deve combattere anche se non sempre si vince. E così io ho fatto». In terra di Tuscia Bonaria, incurante delle convenzioni, va a cavallo senza sella e senza redini, sfreccia in moto tra le strade lasciando non pochi a bocca aperta. «Non mi sono mai preoccupata delle malelingue» racconta. «Il peggio è per chi spettegola. Io non ho mai sparlato di nessuno. Gli sbagli certo, si fanno, l’importante è correggersi».
Si sente ispirata da Dio. La madre, Speranza, muore nel 1975 (il padre era scomparso quando lei aveva 14 anni) e il fratello Ciriaco viene a mancare 3 anni dopo. Il marito, dopo 12 anni di matrimonio, l’abbandona. È la fine e l’inizio. Per scacciare la solitudine Bonaria, che non si è mai persa d’animo, si butta con tutta se stessa nella pittura, trasferendo su muri e tele quei pezzi del passato da cui non vuole separarsi. «Certe volte penso di avere avuto l’ispirazione artistica per grazia di Dio» dice. «La vita, anche se ho sofferto, è stata generosa con me e io ho voluto renderle omaggio con le mie opere. Spero di esserci riuscita».