Se l’è meritata, Brendan Fraser, quella standing ovation alla Mostra del Cinema di Venezia dopo la proiezione in anteprima mondiale di The Whale.
Brendan Fraser professore di 300 chili in The Whale
Nel film diretto da Darren Aronofsky, uscito al cinema il 23 febbraio, il 54enne attore americano è Charlie, un insegnante di letteratura inglese che pesa 300 chili e tiene i corsi online da casa, fingendo che la videocamera del suo computer non funzioni per nascondere il proprio aspetto. Se l’è meritata per come ha saputo interpretare un uomo spezzato nel corpo e nell’anima, in lotta contro la vergogna, mentre prova a ristabilire un rapporto con la figlia (interpretata da Sadie Sink, la rossa Max di Stranger Things) dopo che anni prima aveva abbandonato la famiglia. Emozionato, quasi spaesato, Brendan Fraser all’applauso del pubblico si è commosso. Più che comprensibile.
Brendan Fraser candidato all’Oscar come miglior attore
Dopo essere stato uno degli attori di maggior successo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 – grazie a cult come Demoni e dei, The Quiet American, Crash, ma soprattutto alla trilogia blockbuster La mummia – era sparito dalle scene per una serie di problemi fisici e personali sfociati in uno stato depressivo. La superba interpretazione in The Whale lo ha riportato in auge: ha già vinto diversi premi, dal Tribute Actor Award al Toronto Film Festival al Critics’ Choice Award come miglior attore, e ora è candidato all’Oscar. Da favorito.
Che reazione ha avuto quando Darren Aronofsky l’ha chiamata per proporle il film?
«Ci siamo incontrati poco prima della pandemia. Ero nervoso, intimidito. Ma sbagliavo, perché Darren è molto collaborativo, aperto al dialogo. Pensi che mi ha confessato che, se non fosse diventato regista, avrebbe fatto l’arbitro di baseball… È un autore che ammiro i suoi film (tra i più famosi, The wrestler e Il cigno nero, ndr) raccontano la condizione umana e non offrono risposte facili. Sapevo che The Whale era la storia di un uomo solo, con molti rimpianti sulle scelte che ha fatto nella vita e problemi emotivi che lo hanno reso obeso. Darren mi disse che avremmo dovuto lavorare insieme per creare questo personaggio, perché nessuno di noi due aveva idea della sofferenza che può provare un uomo come Charlie».
Come si è preparato per questo ruolo tanto delicato?
«Ho incontrato alcune persone che soffrono di disturbi alimentari. Mi hanno raccontato come sono diventate talmente obese da non riuscire più ad alzarsi dal letto. La maggior parte ha vissuto situazioni traumatiche durante l’adolescenza. Parlando con loro, mi sono reso conto di quanto possano essere dolorose le conseguenze se la nostra autostima è messa in discussione e veniamo discriminati. Le persone grasse nella nostra società non sono ritenute degne di considerazione, anzi vengono guardate con disgusto».
Non avevate paura di commettere errori, o risultare offensivi trattando questo argomento?
«Certo che avevamo paura. Perciò abbiamo incontrato i rappresentanti di Obesity Action Coalition, un’associazione che riunisce persone obese e i loro familiari. Abbiamo fatto leggere loro la sceneggiatura e, per fortuna, abbiamo ricevuto un feedback molto positivo. Tanti, purtroppo, provano vergogna, paura, rabbia. Spero, anzi voglio credere, che questo film aiuti a guardare le persone obese con maggiore empatia. Sono persone malate, che stanno soffrendo. A differenza di quello che molti credono, non mangiano perché gli piace farlo. Penso che lo dimostri bene la scena di The Whale in cui Charlie, che ha il cuore spezzato per la figlia, si avventa su una pizza con una voracità impressionante. È straziante. Lui si nutre non del cibo che desidera, ma di quello di cui pensa di avere bisogno. Non è il suo corpo, ma il suo cervello a scegliere il cibo come ricompensa emotiva. Una vera e propria dipendenza».
Quando interpreta un ruolo così intenso, come riesce poi a tornare alla sua vita?
«Per questo film non è stato facile. Mi ha aiutato il fatto che, per diventare un uomo di 300 chili come Charlie, indossavo un costume. Quando alla fine della giornata di riprese lo toglievo, mi sentivo come se avessi le vertigini avevo la stessa sensazione di “galleggiamento” che si prova di solito quando si scende da una barca. Era molto strano, mi ha fatto riflettere: ho sentito l’obbligo morale di ritrarre quest’uomo con dignità. Charlie non ha molto tempo, vuole riconciliarsi con la figlia, vuole rimediare ai suoi errori. L’ultima volta che sono uscito dal suo corpo, mi sono commosso. Mi sentivo come se avessi vissuto per un po’ la vita di un altro uomo e questo mi ha trasmesso un senso di profondo rispetto nei confronti della sofferenza delle persone come lui».
Dopo il grande successo all’inizio degli anni 2000, c’è stato un lungo periodo in cui ha fatto pochi film. Ce ne vuole parlare?
«Quando giravo La Mummia e altri film d’azione non ho voluto gli stuntmen, e ne ho pagato le conseguenze. Avevo problemi alla spina dorsale, alle ginocchia e persino alle corde vocali. Sono entrato e uscito dagli ospedali per 7 anni. Non stavo bene, allo stress fisico si è aggiunta la depressione. Poi, nel giro di poco tempo, si sono accumulati vari eventi che hanno sconvolto la mia vita: è morta mia madre, ho divorziato (dalla collega Afton Smith, con cui ha avuto 3 figli, ndr), ho cambiato casa. Inoltre, pagavo le conseguenze delle molestie subite da Philip Berk, ex presidente della Hollywood Foreign Press Association. Continua a sostenere la sua innocenza, dicendo che la mia versione dei fatti è tutta un’invenzione. Ma perché avrei dovuto inventarmi una situazione così orribile? Mi ha messo una mano sul sedere e mi ha palpeggiato: era il 2003, mi sono isolato perché non sapevo come affrontare la situazione. Ho avuto paura di parlare, di danneggiare la mia carriera. Perciò ammiro le donne che si sono fatte avanti con il #MeToo, io per anni non ho avuto il coraggio (Fraser ha poi accusato Berk nel 2018, ndr)».
Ha mai pensato di smettere di recitare?
«No, anche se non è un mestiere facile. Ma amo svegliarmi alle 4 del mattino per andare sul set». Ricorda il primo lavoro come attore? «Ho fatto il morto in una puntata del programma tv America’s most wanted».
Una lezione di vita che vorrebbe condividere con un giovane Brendan?
«Andrà tutto bene. Non mollare. Ce la puoi fare».