Ci sono persone che ti sembra di conoscere da sempre. Io con Carlo Verdone ci sono cresciuta. Circondata dai suoi personaggi, le smorfie e le battute cult. Ancora oggi, quando scherzo con mio figlio, a volte mi viene fuori un «È un sacco bbello». Certo, fa specie sentire così vicino un attore e regista e comico dalla carriera ricchissima. Ma il suo modo di raccontare la vita sulla pellicola te lo fa vedere un po’ come un parente.
Così, quando dopo un’ora di chiacchierata ho messo giù il telefono, mi sono quasi dimenticata degli incassi super dei suoi film e dei David di Donatello vinti. Avevo semplicemente parlato con «un uomo di 70 anni che ha vissuto» – come lui stesso mi ha raccontato – «che ama la vita e la gente, e a cui di cose ne sono capitate tante». Compresa una recente operazione a entrambe le anche «che mi ha fatto tanto soffrire». Eccolo, Carlo Verdone, con i suoi ricordi più teneri. Quelli che ripercorre anche nel nuovo libro, La carezza della memoria (Bompiani): un’autobiografia che ricompone i fili della memoria attraverso alcune foto ritrovate in uno scatolone.
L’autobiografia di Carlo Verdone
«Sono ricordi che nascono in un momento di smarrimento. Quello del primo lockdown, in una Roma silenziosa e con le luci fioche» dice. Non potendo lavorare, ha pensato di mettere via quello scatolone sigillato dal 2013 con la calligrafia del suo compianto segretario Ivo Di Persio: “Foto, lettere e documenti da riordinare”. «In realtà, io non avevo l’idea di scrivere i miei racconti. Ma lo scatolone è caduto per terra, si è rotto e si sono sparpagliati sul parquet vari oggetti: un rosario che mi aveva regalato una suora, alcune lettere, un mazzo di fotografie. Osservandole, e cercando di individuare il periodo, mi venivano in mente tante cose che erano finite nell’oblio».
Nel libro Verdone si espone tanto, ci sono capitoli «dolenti», come dice lui, ma anche venati di romanticismo. «Sono stato coraggioso. Ci ho riflettuto molto prima di scrivere di certi episodi. Ma è tutto vero, le assicuro. Non c’è niente di romanzato. Quello che mi ha stupito è scoprire che avevo una memoria così vivida».
La malinconia dei ricordi
C’è della malinconia in questi racconti. «Eh, non posso farci niente, quello è il mio carattere. Nei film si intuisce, ma non si nota più di tanto perché io sono un autore di commedie. In questo libro invece appare evidente. Quando ho ultimato alcuni capitoli sulla mia giovinezza mi sono venute le lacrime agli occhi. Io, che sono sempre stato criticato in famiglia per avere un cuore di pietra! Ho pianto anche perché era un periodo meraviglioso della mia vita, gli anni più belli, quando non ero nessuno, solo uno studente universitario».
E poi gli incontri: Massimo Troisi, «Ma quanto era bravo, ma che tempi recitativi aveva», Francesco Nuti e I Gatti di Vicolo Miracoli a Torino quando fece i primi passi in tv. «Ma loro erano un po’ più avanti di me, facevano già degli spettacoli di cabaret, le serate, io ero quello più sperduto». A me piace molto il capitolo sulla bisca, dove da ragazzi andavate a giocare a biliardino, con tutti quei tipi strani, gli confesso.
«Lì, da quelle persone, sono nati i miei personaggi. Osservarle mi ha aiutato a plasmare i caratteri che poi avrei rappresentato in teatro. Però a quei tempi non pensavo di fare l’attore, mi interessava far divertire gli amici e basta. Diciamo che è la vita ad aver scelto per me. Io cercavo un lavoro, si figuri, all’università (è laureato in Lettere Moderne e poi diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, ndr) o alla Rai come regista programmista. La Rai mi chiamò dopo che andai a Torino per fare il cabarettista nel varietà Non stop con Enzo Trapani, era il 1977. E allora mi dissi: cerco un impiego o tento la carta dell’attore? Mia madre mi rispose: “Tenta la carta dell’attore”».
Quella paura che non è mai passata
E qui arrivarono gli attacchi di panico. «Ma li ho avuti solo per un anno. Il primo alla terza puntata di Non stop. Quando la gente ha iniziato a riconoscermi per strada, ho preso atto che se avessi continuato ad aver successo non avrei più avuto una vita privata. Io sono sempre stato una persona molto riservata, non chiusa ma con una certa timidezza e la gelosia della sua privacy, e questa cosa mi ha creato un trauma. È iniziato da lì. Avevo paura della vita che cambiava, tutto questo faceva a cazzotti con il mio carattere. Però a un certo punto ho dovuto resistere: accettare e non rifiutare nulla nel lavoro, non scappare, ma anzi affrontare e a volte anche soffrire, così avrei vinto io sull’ansia. E così è stato. Col tempo poi guardo le cose con più filosofia».
La paura però, mi spiega, c’è ancora oggi. «Se mi fossi sentito arrivato già al secondo o terzo film avrei scavato la mia tomba. Un autore, attore o regista deve sempre mettersi in discussione, deve sempre avere paura, altrimenti è incosciente e presuntuoso. Perché ogni film ha i suoi tranelli. Per questo 15 giorni prima di girare sono intrattabile: “Sarò concentrato?”, “Sarò nel pieno delle forze?”, “Avrò l’umore buono così da trasmetterlo a tutta la troupe?”».
«Quando ho scritto alcuni capitoli sulla mia giovinezza mi sono venute le lacrime agli occhi. Io, che sono sempre stato criticato in famiglia per avere un cuore di pietra!»
La vita, la famiglia, la scrittura
Nel libro c’è il cinema, ma anche la vita. I ricordi dei viaggi col padre. I figli piccoli, Giulia e Paolo, ora grandi, a cui è dedicato. «Sono ragazzi straordinari, viaggiano molto, hanno un curriculum che fa paura. Ho fatto con loro quello che mio padre ha fatto con me. Da me e Gianna (la ex moglie, anche lei molto presente nel libro, ndr) hanno avuto una educazione disciplinata, sono andati alla scuola tedesca, ma molto aperta. Io ho trasmesso l’amore per l’arte, per il cinema, la musica. Loro sono i miei veri successi».
A questo punto, mi tolga una curiosità: com’è che un regista famoso come lei si mette a scrivere? «Perché il film è sempre un compromesso tra te e il produttore, la scrittura è libertà assoluta». E conclude: «Poi ho scritto per dare qualcosa in più alla gente. Qui c’è la radiografia perfetta della mia anima».
Carlo Verdone in libreria
In La carezza della memoria (Bompiani), che arriva 9 anni dopo la prima autobiografia La casa sopra i portici, Carlo Verdone racconta il legame col padre Mario e i momenti con i figli Giulia e Paolo. E poi, le prime esperienze, le amicizie, i viaggi. Grande cultore della musica, ci ha detto: «Ho scritto questo libro ascoltando Steel Cathedrals di David Sylvian».