In molti la conoscono per le puntute parodie su Instagram: la sciura milanese, la young sciura, la maestra di tennis sull’orlo d’una crisi di nervi. Ma la popolarità sui social riverbera solo parte del talento multiforme e tenace della 28enne Carolina de’ Castiglioni: due lauree summa cum laude, una in recitazione, l’altra in filosofia, alla New York University, attrice, regista, scrittrice, all’attivo un debutto off Broadway, diversi cortometraggi su temi sensibili come i disturbi alimentari, il femminicidio, il dramma delle rifugiate ucraine, un piano B da maestra di yoga online per pagarsi l’affitto. Oltre a un acutissimo spirito di osservazione, la sua specialità – parole sue – è «spingere ai limiti la narrazione».
Lo ha fatto immaginando, tra le altre cose, la serie di video podcast Scomodiamoci in collaborazione con Valore D, l’associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere: un format in cui, da conduttrice, chiama a raccolta, insieme a una batteria di esperti, un ospite maschile diverso in ogni puntata per parlare di cultura della non violenza, stereotipi e sessismo, tra psicologia, diritto, comunicazione. «Essendo cintura nera di autocritica, privilegio temi su cui penso di essere in difetto o di aver commesso errori in passato: credo che questo avvicini le persone, forse intravedono nelle mie provocazioni spazio per mettersi in gioco».
La nostra intervista a Carolina de’ Castiglioni
Come è avvenuto l’incontro con Valore D?
«Mi sono rivolta io a loro: era il 2023, un anno di notizie tragiche, dallo stupro di gruppo a Palermo al femminicidio di Giulia Cecchettin. Mi sono resa conto, aprendo Instagram, che nessuno dei miei amici maschi commentava ciò che accadeva. E mi sono chiesta che senso avesse parlarne nelle scuole, manifestare quando continuiamo a confrontarci solo tra donne, e il problema non siamo certo noi».
Quindi che ha fatto?
«Ho cominciato a fare un po’ di domande in giro: agli amici, ai miei fratelli, al mio fidanzato, cercando di trovare la modalità più utile per comunicare con loro. Sembra banale, ma ho capito che molti hanno paura: di essere giudicati, di non sapere cosa dire, di non dire la cosa giusta o di non contribuire efficacemente alla soluzione del problema. Per questo tanti si tirano fuori, dicendo “Non mi riguarda, io quelle cose non le faccio”. Ed è vero, ma statisticamente qualche predatore intorno a loro c’è: se eviti di ammettere una corresponsabilità è perché, facendolo, poi sei costretto a prendere posizione».
I video podcast Scomodiamoci
Che è proprio ciò che invece accade in Scomodiamoci.
«Per me è stato fondamentale l’incontro con Chiara Giovenzana di Valore D. Dallo scambio con lei è venuta fuori l’idea di mettersi molto in gioco. Per farlo, avevo bisogno di tracciare un percorso chiaro, anche grazie agli esperti. Io, almeno, imparo così: mi devi mettere lo schemino davanti. Allo stesso modo, invito la gente a comprendere con me cosa sia la violenza sulle donne sotto un profilo psicologico, legale, culturale, cosa significhi trovarsi in una casa d’accoglienza o in un centro di ascolto».

Un percorso di consapevolezza?
«Un luogo protetto in cui parlarsi serenamente, senza l’ansia di dire “Ho ragione io” oppure “Io non c’entro”. Dove ammettere che il problema c’è e andare a fondo per cambiare».
Non prima di essersi “scomodati”.
«Mettendo alla prova ciò che crediamo di sapere. È giusto pensare che il sessismo riguardi esclusivamente gli uomini? O è solo più facile? Tutte e tutti siamo portatori, sani per lo più, di una cultura tossica. Oltre al conforto degli esperti, usiamo una serie di giochi per stanare i germi di violenza che inconsapevolmente ci abitano, per allentare la tensione e scongiurare la tentazione del giudizio».
Negli incontri lei rappresenta il mondo femminile, a incarnare il maschile c’è ogni volta un uomo diverso: come li ha scelti?
«Anche qui è stato un gioco di squadra. Giovanni Zaccaria, l’autore di One More Time, un podcast molto bello, mi ha suggerito di allargare la prospettiva: invece di includere quei bravissimi uomini che si espongono quotidianamente, ho pensato di confrontarmi con quanti, pur pensandola come noi, fanno “carriere separate” rispetto all’attivismo».
La piramide della violenza
Con loro è riuscita a rendere chiaro un concetto per molti difficile da accettare: quello di piramide della violenza.
«Chiedi a chiunque se il femminicidio è sbagliato: ti dirà di sì. Poi, ogni volta che una donna muore, senti commenti che suonano come alibi o attenuanti: lei lo aveva lasciato, tradito, lui è stato provocato. Il primo passo per smontare la normalizzazione della violenza è partire dai piccoli gesti che alimentano il quotidiano. È un po’ come una scala: dopo il commento sessista, arriva uno che ti dice “Stai zitta” davanti agli amici e su, fino alle manifestazioni più estreme».
Ha ammesso di essere stata complice in passato di questa cultura.
«Indirettamente: al liceo ho ricevuto anche io video con ragazze in atteggiamenti intimi che oggi definiremmo revenge porn, non li ho condivisi, ma non ho neanche fatto nulla per fermarli. La colpa era sempre spostata in una certa direzione e io questo non l’ho mai problematizzato. Ora me ne rammarico. Forse certe cose le faccio anche per purificarmi».
E fare ammenda?
«Sì. Come con il corto che ho dedicato ai disturbi del comportamento alimentare, il primo degli errori su cui sono scivolata. Ma non sono quelli a definirci, a meno che non perseveriamo. Ho sempre pensato che le persone che sanno mettersi in discussione siano quelle da cui vale più la pena di imparare».
L’ironia, un’arma contro la violenza di genere
Ha realizzato anche un corto sul cat calling, sul filo dell’ironia.
«Ho vissuto negli Stati Uniti fino al 2023, in 5 anni ho fatto in tempo a respirare una mentalità diversa. Tornando, mi sono resa conto che in Italia la pratica del “victim blaming”, la colpevolizzazione delle vittime, era ancora diffusa, non me l’aspettavo. Siccome nelle discussioni fatico a mantenere la calma, esprimevo il mio punto di vista in modo poco costruttivo. Anche lì, ho fatto tesoro degli errori e mi sono chiesta come mostrare l’assurdità di quel fenomeno. Ho immaginato una classe in cui paradossalmente le ragazze vengono educate a non provocare i maschi, visti come vittime di pericolose tentatrici».
Come reagisce quando qualcuno liquida certe rivendicazioni con la battuta “Fatti una risata”? «All’inizio mi viene da rispondere “Non c’è molto da ridere”. Molti pronunciano frasi indicibili e si nascondono dicendo “Era una battuta”. L’ideale è lasciarli scivolare nell’inferno di ogni aspirante
umorista: il gelo».