L’affascinante attrice australiana Cate Blanchett, durante l’InStyle Award, è stata premiata come icona di stile e bellezza. Blanchett ha approfittato della serata e della presenza di (quasi) tutto lo showbiz per esprimere il suo punto di vista sullo ‘scandalo Weinstein‘ che ha recentemente coinvolto tutto il mondo dello spettacolo e la grande macchina di Hollywood. Rivolgendosi direttamente agli uomini in sala ha detto: “Quando noi donne ci vestiamo sexy non è necessariamente un invito a fare sesso“. Tutta la serata è stata un grande elogio all’empowerment femminile con dichiarazioni dedicate all’autodeterminazione e all’autostima da parte delle attrici che si sono sentite ferite e giudicate.
L’attrice Premio Oscar, che per la serata ha scelto di indossare un abito plissettato in crêpe de Chine rosso e blu dell’ultima collezione Givenchy, ci ha ormai abituati a cambi di look radicali e a ruoli (e conseguenti costumi di scena) insoliti. Dalla sua performance nei panni di Bob Dylan nel film Io non sono qui, al nuovo ruolo per la Marvel di cattivissima (e quasi irriconoscibile) Hela, che dà del filo da torcere al Dio del Tuono in Thor: Ragnarok. Ma la Blanchett non si stanca mai di mettersi alla prova e di diventare sempre più camaleontica sul grande schermo.
Ecco perché l’artista Julian Rosefeldt, non a caso, ha voluto proprio lei per la trasposizione cinematografica della sua celebre istallazione Manifesto. Una protagonista, tredici personaggi, tredici scenari e ovviamente tredici cambi di look. Lo scopo dell’opera? Provocare e ironizzare su quello che è oggi il mondo contemporaneo, un ‘contenitore’ di idee che sembrano originali e ispiranti ma che in realtà sono, per così dire, ricicli di pensieri passati. E così il significato della parola Manifesto è declinato durante tutto il film tra immagini, frasi storiche, quadri ambientati e una sorta di flusso letterario artistico di grande impatto.
Rosefeldt rende in questo modo omaggio alla tradizione dei manifesti politici e artistici (possiamo trovarci le idee di Claes Oldenburg, Kazimir Malevich, André Breton, Jim Jarmusch e altri leader culturali) interrogandosi sul ruolo dell’artista nella società contemporanea attraverso con monologhi 2.0 in contesti, attitudini e personalità differenti.
La bella attrice australiana in tutto ciò è al servizio completo di questa performance che mette insieme Marx, i dadaisti e il Dogma 95. Cate Blanchett, sempre più mutevole, come ha più volte dimostrato nel corso della sua carriera artistica, li interpreta tutti: prima è una homeless, poi una broker, un’operaia, una super manager, una punk tatuata, una scienziata, un’oratrice funebre, una burattinaia, una coreografa, una reporter televisiva e infine un’insegnante.