Cosa significa avere «un carisma da diva»? Me lo sono chiesta dopo che mi è stata presentata così Caterina Ferioli, giovanissima attrice (classe 2003) che aveva dato il volto a Nica nel Fabbricante di lacrime (film-evento uscito l’anno scorso). La risposta credo abbia a che fare con la capacità che alcune persone hanno di attrarre senza sforzo, di interessare senza impegno. Di risultare magnetiche anche nei loro momenti più naturali e spontanei. Me lo conferma Caterina, che a fine intervista, quando le chiedo se senta di possederlo, questo carisma, scoppia a ridere. «Vorrei crederci, mi piacerebbe tanto, ma mi sa che ancora non mi appartiene». E invece io ne sono convinta più che mai.
Forse non si può parlare di diva in questa fase, ma di diva in potenza sì. Caterina è un’attrice giovane, talentuosa ed energica, che ha tutte le carte in regola per il successo, ma non deve dubitarne mai. Quando ci siamo conosciute, era nel bel mezzo del «frullatore» di Sanremo, dove ha partecipato al PrimaFestival dal Balconcino Generali. Nella nostra breve chiacchierata, abbiamo ripercorso le tappe più importanti della sua carriera, concentrandosi sull’emozione del presente, e l’esperienza magnifica sul set di Belcanto, la serie Rai che verrà trasmessa dal 24 febbraio al 17 marzo su Rai 1. Ambientata nell’Ottocento, è la storia di Maria (Vittoria Puccini) e delle sue figlie, Antonia (Caterina Ferioli) e Carolina (Adriana Savarese), e della loro fuga da Napoli per liberarsi dall’oppressione del violento marito di Maria, Iginio (Antonio Gerardi), e inseguire il sogno del canto a Milano.
Intervista a Caterina Ferioli
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Vieni da un set importante, quello di Belcanto, la serie Rai che uscirà a breve. Com’è stata quest’esperienza?
«Sicuramente è stato tutto molto diverso rispetto alla mia precedente esperienza (il film Fabbricante di lacrime, ndr), perché un set come questo ha dei tempi lunghissimi. Anche il mio personaggio è molto diverso rispetto a quello che avevo nel film, è stato davvero molto potente».
Dicci di più su Antonia, questo personaggio così complicato e centrale nella serie.
«È sicuramente un ruolo complesso, è un personaggio dalle mille sfaccettature. Non è stato facile entrare in empatia con lei e mi sono fatta aiutare tanto dal regista. Ma ho avuto modo di vedere qualcosa e sono molto soddisfatta, sono davvero fiera!».
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Quali sono le principali differenze nel dare vita ad Antonia e a Nica?
«Quando ho recitato nei pani di Nica ero piccolina e soprattutto non avevo mai studiato, è stata a tutti gli effetti la mia prima esperienza. Ovviamente mi sono approcciata in modo diverso ad Antonia, non solo tecnicamente ma proprio perché lei stessa lo richiedeva. All’inizio, per esempio, conoscevo solo l’inizio della sua storia, ma nel corso della serie la situazione quasi si ribalterà e anche io (come farà il pubblico) l’ho scoperto strada facendo».
E come hai gestito questi cambiamenti importanti?
«All’inizio, con tantissima ansia! Ho avuto un momento di panico, ho pensato di non essere in grado, che non ce l’avrei mai fatta. E invece poi è stato bellissimo, ho scoperto davvero le mie capacità di attrice, e questo mi ha aiutato molto anche a empatizzare con Antonia».
E riguardo alla preparazione dal punto di vista tecnico, cos’hai fatto di preciso?
«Tra un set e l’altro sono passati quasi due anni e mezzo, di cui due di studio, che ovviamente sono pochi – so di avere appena iniziato – però fanno la differenza. Mi sento molto più capace, più consapevole di quello che riesco a fare, e sono in grado di attingere a lezioni diverse per dare vita a personaggi (o prospettive) diverse. Con Antonia poi ho avuto la fortuna di lavorare seguita dal mio coach, che è davvero sempre con me, ma abbiamo scelto di non “studiarla”: l’abbiamo abbozzata, ne abbiamo dipinto un quadro generale, poi ogni giorno sul set – anche grazie al regista – ho dato il massimo per viverla e raccontarla al meglio, scoprendola anche io mano a mano».
Arrivi anche da un’istruzione nel campo del musical, sei tu a cantare in Belcanto?
«Chiariamo subito: io non canto, non ho mai cantato e non ho mai voluto cantare! Però una delle cose più spaventose (ma anche più belle) di set come questi è che si ha davvero la possibilità di mettersi alla prova anche in ambiti inaspettati. Per le scene di lirica, infatti, io e Adriana Savarese (nei panni di Carolina Cuoio) abbiamo dovuto fare cinque mesi e mezzo di lezioni con la nostra voce: una tragedia, ovviamente. Però è l’unico modo per recitare al meglio una scena cantata: io pensavo bastasse muovere la bocca e invece no! Ovviamente è stato divertentissimo, ma all’inizio è stato super imbarazzante doversi esibire con le nostre vere voci davanti a teatri pieni zeppi di comparse. Lì ho capito cos’è realmente la vergogna!».
Che atmosfera c’era nel cast?
«Mi sono trovata benissimo, davvero. Per le mie scene ho visto maggiormente Vittoria Puccini (nella serie, Maria Cuoio), Carmine Recano (Domenico Bernasca) e Adriana ovviamente e quindi con loro tre, specialmente, ho avuto modo di costruire un rapporto speciale. Vittoria, in particolare, è stata di grandissimo aiuto: per me e Adriana era la prima volta sul set di una serie e abbiamo avuto modo, anche solo osservandola, di assorbire il più possibile dalla sua esperienza. Poi ci siamo davvero trovate con lei, ci è stata vicina a livello umano».
Vi ha fatto da mentore?
«Sì, possiamo dirlo! Io spesso ero davvero stressata e faticavo a capire cosa volesse dirmi il regista. È una cosa che succede spesso: i registi danno indicazioni, ma non sono sempre così chiare, soprattutto quando si è un po’ in tensione… Quindi è molto utile che qualcuno “esterno” aiuti a tradurre il volere del regista. Vittoria ha fatto spesso questo, mi ha dato consigli e mi ha reso più facile perfezionarmi».
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Tra te e Vittoria, che nella serie è tua madre, c’è anche un importante confronto. Com’è stato viverlo? Lo vivi anche fuori dal set?
«Per quanto riguarda il rapporto tra noi nella serie, il confronto ci sarà eccome ma non sarà proprio pacifico… Ma non faccio spoiler! Nella vita reale, invece, non sento di essere paragonata a lei. Ovviamente le fattezze sono quelle, ci assomigliamo molto, però lei è totalmente diversa da me. Anche se qualcuno potrebbe azzardare a presentarmi come “la nuova Vittoria”, io ci tengo a chiarire che non mi sento “la nuova nessuno”. Siamo due persone diverse e tra di noi c’è sempre stato un rapporto meraviglioso».
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Anche perché non hai bisogno di paragoni: a 21 anni hai già una carriera di tutto rispetto, sia Fabbricante di lacrime che Belcanto sono produzioni importanti. Hai sempre sognato di fare l’attrice?
«No, in realtà non l’avevo mai sognato, o almeno forse l’ho fatto ma inconsciamente. Per esempio, ricordo di aver fatto qualche corso di teatro alle medie, ma niente di importante, mentre al liceo il nostro professore aveva insistito per farci fare teatro e qui invece ho scoperto di amarlo tantissimo. Quel professore ha avuto un’influenza importantissima nella mia vita e forse ha contribuito a farmi divertire recitando, ma in ogni caso alla fine del liceo ho smesso. Eppure il pensiero del teatro ogni tanto mi tornava, chiedevo ad amici e fidanzati se conoscessero qualcuno che frequentasse o tenesse corsi, un po’ forse per rimettermi in gioco».
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Com’è capitata allora la prima audizione?
«Per caso, davvero, quando lavoravo come modella. Quel primo provino è stato così terribile che invece di gettarmi nella rassegnazione mi sono detta: “No, adesso studio”. E nel giro di due settimane ho ottenuto Fabbricante, quindi è andata bene!».
Dopo Fabbricante sei stata al centro del mondo, per davvero: come hai vissuto la fama all’inizio della tua carriera?
«Sicuramente non ero pronta. È stata una botta in senso positivo e negativo: è bellissimo vedere tutto il mondo interessato a un progetto a cui ho lavorato, ma ammetto che ancora mi sembra strano aprire i messaggi sui social e leggerli in 190 lingue diverse… Io sono rimasta la solita, vado a prendere il caffè con le tre amiche della mia città tutti i giorni, nello stesso bar, faccio le stesse cose e al contempo mi ritrovo ad essere riconoscibile in tutto il mondo! Ma la cosa più difficile da gestire sono state le critiche».
Hai fatto fatica?
«Io non ce l’ho fatta, lo dico sinceramente. Non l’ho presa bene soprattutto all’inizio, ma ho avuto la fortuna di avere un team fantastico che si è davvero preso cura di me. Oggi posso dire che l’abbiamo affrontato e superato insieme, e che questo mi ha anche aiutato a crescere. Sicuramente la cosa più positiva di tutte è che mi ha aiutata a buttarmi sullo studio, il che mi arricchisce sempre di più».