Non è la prima volta che la incontro, non sarà l’ultima. E ogni volta, Charlize Theron, una vita costellata di film e di ruoli, è una sorpresa. Charlize è cresciuta negli anni, e non solo professionalmente: una volta ballerina e modella, oggi è un’attrice che vanta un Oscar (per Monster, nel 2003), è produttrice e paladina dei diritti delle donne, nonché madre di due bambini.
«A 18 anni il ballo era la mia vita. Ho ballato in Sud Africa, ho studiato a La Scala di Milano e poi sono entrata alla Joffrey Ballet di New York, dove mi dissero che se avessi voluto continuare avrei dovuto operarmi entrambi i menischi. Decisi di smettere e di fare l’attrice. Era il 1994, avevo una valigia, 400 dollari in tasca e il sogno del cinema».
Seguono inizi, successo, fama (un Oscar per Monster, nel 2003) ma anche un’attività filantropica benefica che la dice lunga sul suo senso di dovere e appartenenza.
«Mi sono sempre occupata di animali e bambini, di chi è più debole. Oggi sono ambasciatrice dell’ONU, sostengo associazioni come Oxfam e Rape Crisis Center in Sud Africa. Ho fondato Theron Africa Outreach Project allo scopo di aiutare famiglie africane colpite dall’AIDS e l’HIV… Penso che sia un mio compito restituire una parte di quello che ho avuto finora dalla vita. E’ il principio del “give back”, che sento specialmente adesso che ho due figli».
Dal primo film, Due giorni senza respiro del 1996 (prima ne ha fatto un altro dove però non era accreditata) a Bombshell che uscirà negli Usa il 20 dicembre, la carriera di Charlize è stata una continua scalata. Adesso la ritroviamo nella commedia Non succede, ma se succede… al fianco di Seth Rogen, la storia d’amore tra un Segretario di Stato che decide di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti (Theron) e un giornalista svitato (Rogen).
Guarda una clip dal film Non succede, ma se succede…
Cose le piace di questo ruolo? «Il fatto che anche se le donne di oggi sono indipendenti, siamo sempre alla ricerca della persona giusta con cui condividere la vita».
Lei l’ha trovata? «No, da 10 anni non ho una relazione stabile con un uomo, ma non ho ancora perso la speranza. Ho la mia famiglia, il mio lavoro, e la pazienza è la mia più grossa qualità».
Cos’ha imparato da Seth? «Seth è un uomo complesso, un produttore lungimirante (è sua la produzione anche di questo film, ndr). Mi ha insegnato a improvvisare e poi mi ha dato un consiglio prezioso».
Quale? «Mi ha suggerito di confrontarmi con i miei figli per imparare a far ridere: i più piccoli hanno uno spiccato senso dell’umorismo».
A proposito di figli: come sono i suoi? «Quando erano più piccoli è stata una fatica, fisicamente. Perché devi sempre stargli dietro. Man mano che crescono, però, ho capito che il mio ruolo di genitore si complica: con i ragazzini succede di tutto. Il loro temperamento cresce e così anche la mia ansia. Addio armonia e opere di convincimento. Una cosa di cui sono orgogliosa è l’aver insegnato a Jack, il maschietto, e August, la femmina, ad avere sempre un’opinione, di dire ad alta voce se sono contrari a qualcosa (ride). E l’hanno imparato benissimo: urlano come dei pazzi».
Anche lei ha saputo imporsi: è stata una delle prime donne a fondare la propria casa di produzione. «Ho deciso di fare la produttrice per poter dire la mia durante le riunioni con gli executives, per capire come funziona la macchina dietro alle porte chiuse degli studios e anche per fare i film che ritenevo necessari. Anche se i numeri dei progetti femminili sono in continuo aumento, non c’è paragone con il mondo maschile hollywoodiano. Noi donne dobbiamo sempre dimostrare qualcosa in più. Se non avessi fondato Denver e Delilah, la mia casa di produzione che ha lo stesso nome dei miei gatti, non avrei mai fatto Monster e non avreste mai visto film del calibro di A Private War (La pellicola sull’inviata di guerra Marie Colvin, ndr)».
Ha mai rifiutato un ruolo? «Mi avevano scelto per Pearl Harbour, ma nello stesso periodo mi proposero di lavorare con Keanu Reeves in Dolce Novembre e non potevo rifiutare».
Un ruolo che ha invece perso? «Volevo assolutamente girare Showgirls, ma hanno scelto Elizabeth Berkley».
Che tipo di storie vuole raccontare? «Storie complesse, che parlino di depressione, abusi, temi che rispecchino le problematiche mie, dei miei figli e delle donne in generale».
Come il prossimo Bombshell? «Sì, esattamente. Un film in cui, insieme a Nicole Kidman e Margot Robbie, denunciamo gli abusi e le violenze del capo della Fox News Roger Ailes. Mostra certi tipi di comportamenti sul lavoro. Bisogna far vedere, denunciare, alzare la voce. Continuare su questa strada. Per fortuna ultimamente ci sono stati molti progetti di questo tipo, prodotti da donne eccezionali: Reese Whiterspoon, Amy Adams, Julia Roberts, Emma Stone, Nicole Kidman… Tocca a noi abbattere certi meccanismi».
Del tipo…? «Sono sempre pochissime le donne registe nominate agli Oscar. Quest’anno non ce n’era nessuna. L’unica era Nadine Labaki nella sezione straniera. E’ incredibile che siamo rimasti fermi a Katherine Bigelow che l’ha vinto nel 2010. Comunque sono fiduciosa: noi donne siamo forti, non abbiamo paura. Un poco alla volta sono sicura che riusciremo a essere sempre più presenti in tanti settori che oggi consideriamo proibitivi».