Record di ascolti. Il punteggio più alto di sempre sul sito americano Imdb, addirittura oltre “Il Trono di spade”. E la critica che già la consacra “tra le migliori serie tv di tutti i tempi”. Parliamo di “Chernobyl”, in onda dal 10 giugno il lunedì su Sky Atlantic, 5 puntate percorse da angoscia, colpi di scena e personaggi intensi che tengono incollati alla storia. Una storia vera, quella del disastro più grave del nucleare civile: l’esplosione del quarto reattore alla centrale ucraina, il 26 aprile 1986.
Una ricostruzione degli errori, tecnici e umani, documentaristica e insieme avvincente, che mette in scena anche tragiche vicende individuali tratte da “Preghiera per Chernobyl” (e/o), capolavoro della premio Nobel bielorussa Svetlana Aleksievic. Questo successo dice qualcosa anche di noi, suggerendo che l’incubo di Chernobyl – di cui da tempo non si parla quasi più – resta vivo nel fondo della nostra memoria.
Le radiazioni furono potenti come 400 bombe atomiche
La nube radioattiva che avvolse l’Europa arrivò in Italia a inizio maggio, e per un mese fu emergenza: vietato consumare latte e verdure a foglia larga perché a rischio di tossicità, e troppi dubbi sui danni a lungo termine. Allora non sapevamo che le radiazioni erano potenti come 400 bombe atomiche né che quel tipo di reattore, fiore all’occhiello del programma nucleare sovietico, era già obsoleto.
Solo grazie ai sensori impazziti di una centrale svedese, a 1.500 km dall’incendio, il mondo scoprì la catastrofe che l’Urss s’illudeva d’insabbiare. Perché la storia di Chernobyl è intrisa di silenzi, falsità, ritardi: quel “prezzo delle bugie” citato all’inizio della serie dallo scienziato Valerij Legasov, tormentato per essersi arreso alla censura governativa.
Il 30° anniversario è passato nel disinteresse generale
Il risultato è che è difficile dire quanto male ci ha fatto Chernobyl, persino dopo 33 anni. Un tempo che è nulla rispetto a quanto impiegano a estinguersi gli elementi radioattivi sprigionati da quell’esplosione: secoli; alcuni, millenni. «L’area contaminata fra Russia, Bielorussia e Ucraina è grande come mezza Italia, con 5 milioni di abitanti» spiega Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. «Là, alcuni alimenti presentano tuttora valori allarmanti di radioattività, ma le misure sulle dosi assorbite dalla popolazione sono cessate nel 2005 per carenza di fondi. Mentre le radiazioni continuano ad agire, mancano dati certi».
Se l’Italia ha abbandonato il nucleare, nel mondo ci sono 448 reattori e 59 in costruzione, e nel 2011 l’incidente di Fukushima in Giappone ha risvegliato i fantasmi di Chernobyl. Intanto «nel 2016 il 30° anniversario è passato nel disinteresse generale» osserva Roberto Rebecchi di Legambiente Solidarietà, che sostiene le popolazioni colpite in Bielorussia. «Eppure Chernobyl è presente e lo sarà per molto. Ecco perché è indispensabile conoscere, raccontare e non dimenticare».