Quando Chiara Boni mi ha chiesto di curare la sua autobiografia (Chiara Boni. Io che nasco immaginaria, a cura di Daniela Fedi, Baldini & Castoldi), per un attimo ho pensato: «Perché lo chiede a me e non a una delle grandi firme di cui è amica da sempre?». In quel momento nel ristorante dove stavamo pranzando è entrata una ragazza molto chic e noi ci siamo girate all’unisono per farle l’equivalente modaiolo di una radiografia. Chiara mi ha coinvolta nel suo progetto perché anch’io ho un rapporto viscerale con la moda, penso sia una specie di stargate che apre le porte della percezione su qualsiasi cosa. Per lei è stato così fin dall’infanzia, quando accompagnava sua madre in sartoria, dove ha visto all’opera mostri sacri come Hubert de Givenchy e Cristobal Balenciaga. Di quest’ultimo, che è passato alla storia come il “Picasso della moda”, ricorda tagli, proporzioni e magia, ma non ha memoria dell’uomo dietro al genio. Dell’elegante conte francese che ha trasformato Audrey Hepburn in un’icona di stile, invece, ricorda perfino il modo d’inarcare un sopracciglio per segnalare eventuali modifiche alla première. 

Da Firenze a Londra

La memoria di Chiara Boni è come lei: selettiva. Cancella di default tutte le date perché vive e ama il presente, conosce e rispetta il passato ma ha sempre un occhio al futuro. Non sarebbe mai riuscita a scalare da sola la montagna incantata dei suoi ricordi perché ha una storia talmente piena di sfaccettature che per trovare il sentiero da percorrere ci sono voluti 2 anni e un personaggio come Elisabetta Sgarbi. Lei è un poltergeist di energia più che una donna, l’editore più competente e appassionato con cui mi sia mai capitato di lavorare. Il tempo è volato e, mentre scrivevamo (io al computer e Chiara su WhatsApp), le parole sembravano scivolare tra noi con estrema naturalezza. Alla fine abbiamo scritto il libro in 45 giorni. Chiara mi ha portata con sé nel primo negozio di Biba a Londra e da lì sulla passeggiata di King’s Road (dove nel 1971 aveva aperto il suo negozio anche Vivienne Westwood) con Julie Christie che aveva appena vinto l’Oscar per Darling. Poi mi ha riportato a Firenze, dove si è innamorata di un uomo con gli occhi color piscina che alla fine ha sposato e che è il padre di suo figlio Giacomo. Ha ricostruito con me il suo primo negozio fiorentino che ha battezzato You Tarzan Me Jane, come il titolo di uno spettacolo femminista. In quell’antro delle meraviglie un giorno è entrata Verushka, la straordinaria modella tedesca degli anni ’60. Portava una pelle di leopardo al posto del cappotto e le ha raccontato la terribile storia della sua infanzia spezzata dal nazismo. 

Chiara Boni a Londra, anni 70

Gli amori di Chiara Boni

In quel periodo Chiara frequenta Oreste Scalzone e Franco Piperno, va alle manifestazioni con una pelliccia di volpe azzurra, diventa mamma e ha il coraggio di separarsi per costruire con il suo ex marito una bella amicizia. Si butta sul lavoro, entra nel collettivo Moda Nostra, diventa famosa. È bella, elegante e appassionata. Ha una storia d’amore con Vittorio Sgarbi, ma poi capisce d’essere ancora innamorata di un altro che purtroppo muore in un incidente di macchina mentre sta correndo da lei. Si ributta nel lavoro, entra nel Gruppo Finanziario Tessile e conosce Cesare Romiti, all’epoca l’uomo più potente d’Italia. Diventa la sua compagna, ma alla fine lo lascia perché non ha senso stare insieme quando reticenze e mezze verità fanno svanire la fiducia dei primi anni d’amore. Il capitolo più doloroso riguarda Angelo Rovati, il secondo marito, che incontra nel momento più difficile per la sua carriera. La tempesta stava finalmente passando quando lui scopre di essere malato. Gli danno 6 mesi di vita, resiste quasi 7 anni.

La salvezza delle amiche

Quando Angelo muore, Chiara è devastata. La salvano le amiche, colonna portante della sua esistenza. Poi incontra Fabrizio Rindi che definisce “l’amore consapevole” e riesce a rilanciarsi con grande successo. Abbiamo riempito 5 fogli di protocollo con i nomi delle persone che ha incontrato nel corso della vita. La maggior parte sono donne e con quasi tutte ha un profondo rapporto di amicizia. «Senza le mie amiche non ce l’avrei fatta» sostiene con quella dolce fermezza che è come l’acqua: invincibile. La sua idea di sorellanza, personale e politica allo stesso tempo, la capacità di essere tanto femminile quanto femminista e l’infinita resilienza di cui Chiara dà sempre prova mi han fatto capire tante cose. Spero di riuscire a metterle in pratica.