Claire Foy da Oscar
Claire Foy ha lo sguardo è azzurro, limpido. Lo stesso che abbiamo visto e rivisto in The Crown, in cui interpretava le aspettative, le paure e la determinazione della giovane regina Elisabetta II. Anche via Zoom Claire Foy ti guarda fiera, dà l’idea di una donna che non ha paura di niente, tantomeno di dire ciò che pensa.
Il film con Claire Foy candidato all’Oscar: trama
La sua ultima interpretazione è importante: in Women Talking – Il diritto di scegliere, al cinema dall’8 marzo e candidato all’Oscar come miglior film, è Salome, una giovane madre che fa parte di una comunità religiosa molto chiusa, dove le donne non sanno leggere né scrivere, devono solo occuparsi delle faccende domestiche, procreare e sottostare agli ordini degli uomini. Tutti dicono che il sangue e i lividi che si ritrovano sul corpo certe mattine siano opera dei fantasmi o dei demoni, così come le gravidanze inspiegabili: invece sono i loro uomini a narcotizzarle con lo spray per le mucche e poi a stuprarle nel sonno. Zii, fratelli, cugini, vicini…
Lo scopre una 16enne, vedendo un giovane scappare dalla finestra di notte dopo che ha abusato di lei. Cosa fare? Non fare niente, restare e combattere, partire. È intorno a questo dilemma che si dipana la trama del film, durante una giornata in un fienile in cui due generazioni di donne si riuniscono finalmente per confrontarsi ed esprimere la propria volontà prima che gli uomini che sono riuscite a far arrestare vengano rilasciati su cauzione e torni tutto come prima. I pensieri prendono forma, le donne scoprono una propria voce, non sono più succubi. Salome è la più arrabbiata, la più incline a ribellarsi.
La storia vera da cui è tratto il film con Claire Foy
Il film, tratto da un magnifico romanzo di Miriam Toews (Donne che parlano, Marcos y Marcos) e scritto e diretto da Sarah Polley, è ispirato alla storia vera di una comunità mennonita in Bolivia nel 2010. «Sono molto orgogliosa di avervi preso parte» esordisce l’attrice britannica, 38 anni. «Tratta argomenti importanti, non solo per l’emancipazione delle donne. C’è il potere, il patriarcato, il senso di colpa, la fede, il perdono, l’autodeterminazione».
Lei interpreta una donna molto determinata.
«Salome è una sopravvissuta: dopo essersi resa conto di quello che succede nella sua comunità, capisce che la vita che ha vissuto finora non ha più senso. Un’altra, nei suoi panni, avrebbe perso la speranza, si sarebbe sentita una vittima. Invece Salome chiede giustizia per quello che è capitato a lei, a sua madre, a sua figlia, a sua sorella. È disperata, frustrata, arrabbiata, vuole che le cose cambino. È una donna che lotta, ma è anche piena di vita e d’amore, vibrante, molto onesta».
Crede che questo film racconti quello che ancora succede alle donne in certe parti del mondo?
«Sfortunatamente, sì. Il film è ispirato a una storia vera, accaduta in una piccola comunità in Bolivia nel 2010. Ma anche nei grandi Paesi industrializzati fino a qualche decennio fa le donne erano considerate proprietà degli uomini. Se ci pensa, molti dei discorsi che ancora oggi noi facciamo riguardano il fatto che non siamo riusciti ad abbattere il patriarcato. In fondo, le cose non sono così tanto cambiate col tempo come ci si aspettava. Non credo ci sia questa grossa differenza tra il mondo moderno e quello rappresentato da questo film».
Women talking parla soprattutto delle donne, e alle donne. Lo definirebbe un film femminista?
«No. Anche se la regista è donna e le attrici sono quasi tutte donne (nel fienile c’è solo un uomo, interpretato da Ben Whishaw, che scrive il “verbale” della loro assemblea, ndr), credo sia un film universale, che si rivolge a un pubblico più vasto. I concetti di “dove possiamo andare”, “a cosa aspiriamo”, “come vogliamo che sia il nostro mondo” riguardano tutti. Invece di solito poche persone, perlopiù unite dalla razza, dal genere o dalla fede, si fanno queste domande. Io sono convinta che non debba rimanere una cosa che tocca un gruppo ristretto, deve riguardare tutti noi».
Per molti lei è ancora la giovane regina Elisabetta di The Crown. Fanno fatica a vederla in ruoli differenti.
«Ho recitato per 10 anni prima di girare The Crown, perciò non mi sento legata solo a quel ruolo. È come nella vita: la percezione che gli altri hanno di te a volte non cambia. Ma a me non interessa quello che la gente pensa, che opinione si è fatta di me nei panni regali di Elisabetta II o in quelli punk di Lisbeth Salander (protagonista della saga cinematografica Millennium, di cui Claire ha interpretato nel 2018 il secondo capitolo, ndr). Non lascio che la mia vita sia determinata da queste cose: seguo la mia morale, quello in cui credo, il mio percorso».
Curiosando sul web ho visto però che sul suo profilo Instagram ci sono parecchie foto di lei nei panni di Elisabetta II.
(Scoppia a ridere, ndr) «Non ho un profilo Instagram. Quello è un fake!».
Niente social quindi?
«No, sono assolutamente contraria. Penso che diano dipendenza e facciano solo danni».
Lei sembra una persona molto decisa, che va dritta per la sua strada. E sullo schermo ha interpretato donne risolute. Che cosa sta insegnando come madre a sua figlia di 7 anni?
«Forse bisognerebbe chiederlo a lei quando sarà abbastanza grande da formulare un discorso più articolato. Credo però che la cosa migliore che possiamo insegnare ai nostri figli sia quella di essere se stessi, facendo capire loro che siamo esseri umani e si può anche essere terribili. Io a volte lo sono, terribile (ride, ndr), nonostante cerchi di dare il meglio di me. Ed è forse quello che mia figlia vede. Non mi interessa fingere. Mi prendo cura di lei, cerco di darle buoni esempi di cosa significhi essere una donna in questo mondo, con i propri obiettivi ma anche con i propri fallimenti».
Lei crede nella sorellanza? In fondo Women Talking parla anche di questo.
«Non è questione di credere. La sorellanza è uno stile di vita. Sono stata cresciuta da una madre single con 3 figli. Mia sorella Gemma è davvero l’amore della mia vita, così come le mie amiche. Non credo che riuscirei a vivere senza questo supporto e questo amore delle donne. Anche se ho avuto uomini straordinari nella mia vita, con cui c’è stata vera passione, i legami femminili sono diversi, e la sorellanza riguarda anche persone con cui magari non necessariamente vai d’accordo o che la pensano in modo differente da te».
Lei pensa che noi donne dovremmo parlare di più di quello che pensiamo, sentiamo, di come vediamo il mondo?
«Dovremmo poter parlare tutte le volte che vogliamo. Senza paura, perché ciò che conta non è dettato da chi ci circonda. Il problema è che non tutti vogliono sentire quello che diciamo».