Claudio Santamaria ha interpretato tre film in tre mesi: FolleMente, Itaca e il Nibbio. Ma come fa a fare tutto? Su Claudio Santamaria potremmo porci la stessa domanda che titolava una commedia di alcuni anni fa che aveva per protagonista una manager impegnata a destreggiarsi tra ufficio, marito e figli. La storia è imparagonabile, ma l’attore romano, 50 anni, stesso viso sognante di quando ne aveva 20, è anche padre di una famiglia molto allargata costruita con Francesca Barra, scrittrice e giornalista, sposata nel 2017.

«Di Claudio amo la follia e la fame di conoscenza. Lui riesce a fare tutto e bene» ha detto lei, che con il marito ha condiviso un romanzo scritto a quattro mani, La giostra delle anime (Mondadori); uno spettacolo contro la violenza, Shakespeare 2.0 – Lo stupro di Lucrezia; la copertina di Donna Moderna in occasione del 25 novembre del 2023. E soprattutto quella tribù in cui ai figli dei precedenti legami – tre per lei, una per lui – si è unita Atena, nata 2 anni fa. Santamaria ne parla con la stessa passione che ha per il suo mestiere.

Claudio Santamaria è Nicola Calipari ne Il Nibbio

Claudio Santamaria film Il Nibbio

L’attore, qui con Sonia Bergamasco, è l’agente dei servizi Nicola Calipari nel film Il nibbio

Claudio Santamaria, vincitore di un David di Donatello per Lo chiamavano Jeeg Robot, per citare solo uno dei suoi successi, ha iniziato il 2025 con tre ruoli intensi e molto diversi uno dall’altro. Dopo il servo Eumeo in Itaca, Il ritorno di Uberto Pasolini, con Ralph Fiennes nel ruolo di Ulisse, e il maschio alfa Eros nella commedia FolleMente di Paolo Genovese, è ora al cinema con Il Nibbio di Alessandro Tonda, dove è Nicola Calipari, dirigente dei servizi segreti che il 4 marzo 2005 perse la vita per salvare Giuliana Sgrena, inviata del quotidiano Il Manifesto rapita dai terroristi in Iraq (interpretata da Sonia Bergamasco). L’auto che li stava portando all’aeroporto di Baghdad per tornare in Italia fu attaccata per errore da soldati americani: Calipari salvò la Sgrena facendole da scudo con il suo corpo.

Come si è preparato per il ruolo di Nicola Calipari

Era mosso solo da spirito di servizio o anche da un senso di protezione maschile che la sua generazione aveva nei confronti di una donna?

«Penso che l’avrebbe fatto con qualsiasi persona, uomo o donna che fosse, e non solo per il suo profondo senso di responsabilità. Aveva un grande rispetto per la sacralità della vita. Era sensibile ai temi sociali, cosa che non sempre ci aspetteremmo da un uomo dell’intelligence, basti pensare che negli anni ’90 istituì un numero verde per segnalare le violenze sugli omosessuali. E portava avanti la sua opera di mediazione puntando su dialogo e diplomazia, senza ricorrere alla forza».

Le sarà tornato in mente durante la prigionia di Cecilia Sala in Iran.

«Assolutamente, anche perché ha lasciato un’eredità forte negli ambienti dei servizi. Per capirlo mi sono stati preziosi i racconti della moglie, Rosa Maria Villecco (nel film è Anna Ferzetti, ndr), che mi ha descritto il suo legame profondo con la famiglia, parallelo all’amore per quel mestiere vissuto come una missione».

Il lavoro dell’attore è una missione per Claudio Santamaria

Lei vive il mestiere, per quanto diverso, come una missione?

«Noi attori non salviamo vite, ma possiamo raccontare storie che ispirano speranza e rendono omaggio all’Italia dei migliori. Ricordo che una volta Kim Rossi Stuart, vedendomi a dieta per un ruolo, mi disse serio: “Eh, questo lavoro è una missione”. Si fanno anche delle rinunce per interpretare un personaggio».

La famiglia è al primo posto da sempre

Qual è la più grande, per lei?

«Dover stare a lungo su un set lontano da casa. Le trasformazioni fisiche sono sopportabili, la lontananza dalla famiglia mi pesa».

Parla sempre con grande trasporto di sua moglie Francesca e del vostro nucleo. Ha una visione romantica della famiglia?

«Per me è importantissima. Non so se mi definirei un romantico, anche se certi eroi romantici mi hanno sempre affascinato e ispirato».

Da bambino la chiamavano “il bello addormentato”: sempre stato un sognatore?

«Era il mio soprannome già all’asilo, perché avevo sempre un po’ la testa fra le nuvole. I bambini hanno la loro personalità, che vedi già a pochi mesi, e in effetti il mio modo di essere non è cambiato».

Ha ereditato dai suoi genitori le passioni o una certa visione del mondo?

«Non appartengo a una famiglia di artisti, anche se mio padre cantava e recitava a livello amatoriale e io, da bambino timido, ne ero sempre molto colpito. Ricordo quando recitò sul palco a Trastevere un popolare monologo in romanesco, Er fattaccio, che racconta la tragedia di due fratelli orfani. Lo chiamavano anche a cantare ai matrimoni, ammiravo la sua scioltezza».

Claudio Santamaria ha superato la timidezza con la recitazione

Lei come ha superato la timidezza?

«Vedendo che mi scompariva durante corsi e improvvisazioni teatrali, perché in scena mi esprimevo come nella vita normale non mi riusciva di fare. Forse perché nei personaggi ci si nasconde. Ho capito che era un percorso di scoperta personale, un modo di lasciar andare i freni».

È stata una sorpresa?

«Assolutamente sì. Pensi che da ragazzo volevo fare l’architetto».

Ha anche cantato nella miniserie Rino Gaetano-Ma il cielo è sempre più blu e in FolleMente interpretando Somebody to love dei Queen.

«Oggi mi diverto, ma da ragazzo mi vergognavo perfino tra amici. Con Rino Gaetano mi sono sfidato: ho accettato il ruolo a condizione di cantare io stesso, perché non amo i film musicali coi pezzi registrati, che risultano finti».

Il ruolo di seduttore in FolleMente

Fra l’altro in FolleMente ha il ruolo di un seduttore. È liberatorio sorridere di uno stereotipo maschile?

«Molto. Ed è stato divertente lavorare coi colleghi che interpretano le diverse voci interiori del protagonista Edoardo Leo: Rocco Papaleo, che frequento anche personalmente da anni, Marco Giallini e Maurizio Lastrico. È stato quasi come fare una partita a ping pong tra amici maschi».

Claudio Santamaria, attore internazionale

Era stato su un set internazionale con Casino Royale nel 2006 e ora ci è tornato per Itaca con Ralph Fiennes. Che effetto fa aprire gli orizzonti oltre confine?

«Nel film di James Bond avevo un ruolo di pura azione, stavolta ho studiato moltissimo l’inglese per eliminare ogni inflessione. Poi ho recitato in spagnolo in Idolos di Mat Whitecross e ho una scena nel film di Julian Schnabel In the hand of Dante (usciranno più avanti, ndr). Recitare in un’altra lingua aiuta a uscire da se stessi e io, sarà che ho orecchio le imparo velocemente».

50 e non sentirli

Avere una figlia piccola può limitare gli impegni di attore?

«Un modo lo trovo sempre e non finirò mai di ringraziare Francesca, che mi sostiene: sono sereno sapendo che c’è lei quando mi allontano».

Ha compiuto 50 anni ma sembra non sentirne il peso.

«Posso dire che è meglio averne 50 che 49? Scopri di avere ancora molta energia, di non sentirti affaticato e più vecchio. Ed è una soddisfazione».