Due Premi Pulitzer per Colson Whitehead
«Sono cresciuto negli anni ’70 ascoltando David Bowie, guardando i film di Stanley Kubrick, sfogliando i fumetti della Marvel e leggendo i romanzi di Stephen King che rubavo a mia madre. Inizialmente pensavo di raccontare storie di lupi mannari e vampiri». Invece Colson Whitehead, 49 anni, newyorkese laureato ad Harvard, non ha scritto di mostri. Ma è diventato uno degli autori contemporanei più importanti, vincitore di un primo Premio Pulitzer nel 2017 con La ferrovia sotterranea (Sur), storia fantastica di 2 schiavi in fuga nel 1800, e di un secondo Premio Pulitzer nel 2020 con il suo ultimo romanzo, I ragazzi della Nickel (Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi), uscito in Italia nel settembre 2019.
La storia, drammatica e potente, è quella di Eldwood Curtis, un ragazzino di colore affamato di cultura, che legge Martin Luther King e James Baldwin: per un caso del destino, mentre sta andando al primo, conquistato, giorno di college, viene fermato dalla polizia e si ritrova sbattuto alla Nickel Academy, un riformatorio dove regnano la violenza e il terrore. Sono gli anni ’60, delle battaglie per i diritti civili, eppure…
«Mi sono ispirato a una storia vera»
«Mi sono ispirato a una storia vera: quella della Dozier School for Boys. Ne ho sentito parlare per la prima volta nel 2014, leggendo la notizia sui quotidiani della Florida. Si raccontava del ritrovamento in quel luogo di un cimitero segreto, con interviste perlopiù a ex studenti bianchi anche se era un istituto di correzione dove finivano i ragazzi di colore. Ho pensato che se per i bianchi era stato così terribile, per i compagni neri doveva essere stato ancora peggio» dice Colson.
L’estate del 2014 è stata segnata anche da gravi episodi di brutalità da parte della polizia nei confronti del 18enne Michael Brown, ucciso a colpi di pistola a Ferguson, e di Eric Garner, 43, morto per soffocamento durante un arresto a New York. «Se ci sono incidenti di questo tipo che vengono filmati e circolano in Rete, sicuramente ce ne sono decine che invece non vengono diffusi e non diventano noti. Ho immaginato la stessa cosa per la scuola Dozier. Se è esistito un caso come questo, è probabile che fosse una realtà piuttosto frequente. Ed è ciò che mi ha convinto che fosse una storia che valesse la pena raccontare».
Eldwood vive negli anni ’60 ma potrebbe essere un giovane di oggi. «Gli Stati Uniti sono una Nazione razzista da sempre. Lo erano 200 anni fa, lo erano nel 1963, continueranno a esserlo nel prossimo futuro. Oggi con forme diverse: il sistema carcerario è cambiato, ma il fatto che Eldwood venga preso e spedito al riformatorio pur essendo innocente è una cosa che accade tuttora. Io stesso sono stato fermato e ammanettato dalla polizia per essere entrato nel negozio sbagliato al momento sbagliato».
Uno scrittore può aiutare a cambiare le cose?
«A livello individuale sì, anche se non credo che la fiction o la poesia rivestano un ruolo centrale nella nostra società. Ci sono però dei libri che hanno apportato dei cambiamenti: penso a La capanna dello zio Tom, che nel 1852 ha fatto conoscere la situazione degli schiavi negli Stati del Sud a chi abitava in quelli del Nord, o all’inchiesta giornalistica di Upton Sinclair agli inizi del ‘900 sulla produzione della carne, raccontata nel libro La giungla. Su di me forse l’impatto più forte lo ha avuto leggere e incontrare la grande Toni Morrison».