Come accade che un ragazzino gracile e secchione della campagna parmense si trasformi in giunonica diva dei locali gay, con parruccona bionda e paillettes? Il percorso non è ovvio né immacolato, come si può immaginare. Ma è la vita vera di Mauro Coruzzi, in arte Platinette, 49 anni, figlio di un’operaia e di un muratore, giovanotto poverissimo con un’enorme voglia di riscatto sociale. A ripercorrere quella storia, senza censure, è proprio Mauro nel libro-confessione Tutto di me (Sonzogno).

Un’autobiografia perfetta per un film di Pedro Almodóvar, ma soprattutto impalcatura romanzesca, trasgressiva al punto giusto, del personaggio Platinette, la regina dei travestiti ospite fissa a Buona Domenica su Canale 5, conduttrice di un programma su Radio Deejay che tocca la vetta di un milione di ascoltatori. Noi l’abbiamo incontrato in un luogo un po’ carbonaro, il magazzino della libreria Rizzoli a Milano. E abbiamo assistito alla metamorfosi: sotto le mani di una truccatrice, un signore sovrappeso dalla voce morbida ha assunto le sembianze della linguacciuta Platinette.

“Tutto di me. Riflessioni” di Platinette è su Bol.com

Ci tolga subito una curiosità. Che bisogno aveva di mettere in piazza vicende così intime?

«Volevo fare pulizia delle frottole che sono girate su di me in questi anni. Ho letto addirittura che sarei sposato, con due figli, e che farei l’insegnante».

La considera una vergogna?

«No. Ma è un’esistenza che non mi appartiene. Non sono un prodotto mediatico, creato apposta per il pubblico. Platinette, anzi Oscar Selvaggia, come mi chiamavo allora, è nata nel 1975, nei locali gay della provincia emiliana, con un gruppo di travestite squinternate e improbabili: le Pumitrozzole».

Le Pumi.. cosa?

«È una sigla formata dalle prime lettere di una serie di parole. “Pu” sta per puttana…».

Capito. Ma perché ha scelto di esibirsi sul palcoscenico vestito da donna?

«Mi piace terribilmente camminare sull’orlo del vulcano. Da ragazzo non ero così sicuro delle mie preferenze sessuali, ma sapevo cosa non volevo».

Per esempio?

«Diventare quello che poi una parte di me è diventata: un signore di mezza età triste, sovrappeso, antipatico, orso, magari con una moglie scaltra e inguardabile, due figli da sistemare, e un cane da portare fuori a fare pipì».

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Non è un modello di famiglia obbligatorio. Esistono delle varianti.

«Macché, le sfumature appartengono al maquillage, la vita reale è quella là. Platinette è stata proprio la via d’uscita dall’incubo della banalità. Mi ha dato due esistenze, ha moltiplicato le chance. Cos’altro avrei dovuto fare? Sperperare i miei soldi da uno psicanalista per farmi dire quello che sapevo già? Ho deciso invece di fare dei miei problemi un punto di forza, la mia leva per sollevare il mondo».

Quando ha scoperto l’omosessualità?

«Non c’è stato un momento preciso. Non mi vestivo da bambina, se è questa la domanda implicita. Non giocavo con le bambole, né mi sono mai sentito una femmina. Ero un ragazzino triste, intelligente, sgobbone. Ho capito subito che la cultura mi avrebbe garantito un futuro diverso da quello dei miei genitori, e vantaggi concreti».

Quali?

«A 13 anni scambiavo compiti in classe con prestazioni sessuali. Sapevo che non avrei avuto altro modo per ottenerle. Io ho sempre avuto un debole per i tonti, quelli bellissimi che ti lasciano senza fiato. Alle medie c’era un ragazzino magnifico, un giocatore di baseball, ma somaro patentato…».

Non ha mai avuto paura di quello che stava facendo?
«Perché? È stato uno scambio generoso da entrambe le parti. Nello stesso periodo accompagnavo un mio coetaneo, il Bambi, a battere. Anche lui era uno studente eccezionale, però gli piaceva conciarsi da baby prostituta. C’era una fila di bravi padri di famiglia che sbavava per lui».

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C’è chi a 13 anni gioca ancora con le costruzioni…

«Noi eravamo un po’ matti. Non davamo giudizi morali, quelli sono venuti dopo. Ci sembrava una trasgressione estrema, un meraviglioso delirio».

Com’è oggi il suo rapporto con il sesso?

«Scarso, ai minimi della sopravvivenza. Anche per colpa dell’Aids. Ma soprattutto odio il mio aspetto fisico. Mi ripeto che solo i pervertiti possono andare a letto con uno grasso come me. Così privilegio gli accoppiamenti veloci, meccanici».

È difficile credere che Platinette si disprezzi.

«Ma è vero. Sono anni che evito di guardarmi allo specchio. In compenso ho una stima esagerata della mia intelligenza e fatico a trovare compagni all’altezza. Quando li incontro, nasce l’amore. Ma presto si trasforma in un rapporto di mutuo soccorso e la passione va a picco».

Il sesso separato dall’amore, insomma. Da perfetto maschilista.

«È una contraddizione, lo so. Ma la doppiezza non è per forza negativa. Per esempio in politica sono conservatore e nella sfera privata progressista».

A proposito di politica, è vero che sarà questo il futuro di Mauro Coruzzi?
«Mi piacerebbe fare l’amministratore comunale o regionale, con i radicali. Vorrei occuparmi dell’assistenza agli anziani, una questione drammatica che ho toccato con mano, negli ultimi anni di vita dei miei genitori. Le strutture non funzionano, c’è troppa corruzione e poca efficienza».

E Platinette?
«Non durerà per sempre. Ormai sento di poterne fare a meno. Non ho più bisogno di travestirmi per essere sicuro di me. E poi la moda non è generosa con le signore over cinquanta. Dovrei indossare abitucci tristi, da mezza suora. Mi ci vede?».

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