«No non so dire le bugie» afferma sicura l’ispettrice Eva Cantini. Neanche Cristiana Capotondi, che la interpreta, pare conoscere la menzogna. Quando parli con lei, non avverti nessun filtro tra l’immagine che vuole dare di sé e ciò che è davvero: diritta, trasparente, verace. Eva, poliziotta non tutta d’un pezzo, è la protagonista di Bella da morire, serie tv in onda dal 15 marzo in prima serata su Rai1, che parte dal caso di una ragazza scomparsa per far luce sulle tante storie di donne vittime di violenza. E su quante – agenti, pubblici ministeri, medici legali – cercano di proteggerle.
Da Nome di donna, il film di Marco Tullio Giordana sulle molestie sui luoghi di lavoro, a Io ci sono, biografia di Lucia Annibali, la violenza sulle donne sembra una costante nelle tue scelte d’attrice. «Sì. Mi piace che l’attualità sia lo spunto per ritrarre le donne in modo diverso. In Bella da morire viene messa in campo la nostra forza, ma pure la nostra fragilità».
Essere troppo legati alla cronaca è un limite? «Questa è un’indagine poliziesca, partire da lì era inevitabile. Ma ho sviluppato il mio personaggio al di là del “caso”. Eva è una donna aggressiva: ha sempre lavorato in un ambiente molto maschile, si è creata una scorza dura per difendersi. Ma poi svela la sua debolezza, si scopre fallibile, si mette in discussione».
Anche l’industria cinematografica è perlopiù maschile. «Io credo nella femminilità come valore, che non deve conformarsi al modello maschile. Con gli uomini non dobbiamo scontrarci, ma collaborare mantenendo, ciascuno, le proprie differenze. La mia storia, però, è diversa. Ho iniziato a fare questo mestiere a 12 anni: ero una bambina, in certe dinamiche non ci sono mai entrata. È nel mondo del calcio che ho trovato un approccio diverso».
Dal 2018 sei vicepresidente della LegaPro, la Serie C del campionato. «Un certo stupore per la mia nomina, all’inizio, l’ho capito. Mettiti nei panni di un tifoso che pensa: “Perché un’attrice deve ricoprire questo ruolo?”. Davanti alle critiche per il mio genere, però, ho fatto più fatica a comprendere. Sono stata scelta non solo per la mia attenzione al settore femminile di questa disciplina e alla comunicazione digitale, ma anche perché ho già un lavoro, il che mi consente di dedicarmi alla LegaPro a titolo gratuito. Chi si è stupito di una vicepresidente forse non ha mai messo il naso nel mondo del calcio, pieno di donne che si impegnano, spesso come volontarie. Spero che in futuro, anche grazie al mio impegno, una ragazza che vuole fare del calcio la sua professione possa ricoprire cariche retribuite. Noi della LegaPro investiamo su 15.000 ragazzi tra i 5 e i 18 anni, insegniamo loro a evitare le risse sul campo, a prendersi cura del corpo e dell’alimentazione, a combattere la dispersione scolastica. Non è solo sport: è la formazione di esseri umani. È un presidio culturale».
Recitazione e calcio sono le tue passioni da sempre? «Da bambina andavo con mio padre e mio nonno allo stadio. Al tempo stesso, giravo spot e sognavo di recitare. Ma ignoravo che sarebbe diventato il mio mestiere. Era solo un gioco, come le prime recite coi boy-scout».
Poi, all’improvviso, Luke Perry: con il Dylan di Beverly Hills 90210 hai diviso il set del tuo primo film, Vacanze di Natale ’95. «Fu un impatto pazzesco con questo mondo: lui era davvero l’idolo della nostra generazione».
Diritti, ambiente, battaglie civiche: ti metti in prima linea. «È questione di responsabilità sociale: i gesti che migliorano la società a volte portano via pochi secondi. E “consumare” meglio è doveroso. Da trasteverina, ricordo quand’ero piccola e sotto casa c’erano ancora le botteghe. I miei andavano dal vinaio a farsi riempire le bottiglie vuote, io mettevo il dito sotto la botte di vino per rubarne una goccia di nascosto. Erano gli anni ’90 e sembra un’epoca lontana, fatta di interazioni umane oggi perdute».
C’è però l’interazione sui social. Mi ha fatto sorridere una tua recente foto su Instagram: pronta per uscire in abito da sera, ti assicuravi davanti ai fornelli che la cena fosse pronta. «Amo prendermi cura del mio compagno (Andrea Pezzi, ndr). Sono un po’ chioccia, e a lui certe attenzioni fanno piacere. Per stare bene fuori, ho bisogno di avere una casa organizzata. Voglio che, anche quando non ci sono, si senta la mia firma, la mia presenza».
Cosa cucinavi quella sera? «Pasta al pomodoro. Ma sono fortissima sulle minestre. E con il forno faccio qualsiasi cosa. Io e lui abbiamo un dialogo meraviglioso!».