La grande arte è quella che ti fa fermare quando giri l’angolo e dire: “Cazzo, cos’è?”». Parola di Damien Hirst. Sbalordimento, incredulità e meraviglia sono in effetti la prima reazione che si prova davanti a Treasures from the wreck of the unbelievable -Tesori dal relitto dell’incredibile, la nuova mostra dell’esponente più controverso del mondo dell’arte contemporanea (a Venezia fino al 3 dicembre, tutte le info sul sito di Palazzo Grassi). In esposizione 189 manufatti e sculture di ogni foggia e dimensione recuperati dal vascello Apistos, inabissatosi al largo delle coste africane quasi 2.000 anni fa e stipato dei tesori del leggendario collezionista Cif Amotan II.
Tra finzione e realtà: il “relitto” incredibile di Damien Hirst
O almeno così racconta la storia narrata all’ingresso della rassegna, accompagnata addirittura dai filmati e dalle foto del recupero archeologico del tesoro. «In realtà, com’è volutamente evidente da subito, tutti gli oggetti sono stati realizzati dall’artista e tra i busti di divinità egizie e le sculture classiche impreziosite da oro, argento e lapislazzuli, in apparenza appena ripescate dal mare, ci sono anche le statue di Pippo, dei Transformers e di Mowgli che gioca con l’orso Baloo» spiega Lorenzo Canova, docente di Arte contemporanea all’università del Molise. «Il risultato è una specie di Paese delle meraviglie sommerso, a metà tra i Bronzi di Riace e I Pirati dei Caraibi, in cui tutta l’arte antica viene salvata, ricreata e reinventata dall’artista con l’aggiunta di spiazzanti opere pop e contemporanee».
Il maestro delle provocazioni…
Follie dell’arte o arte della follia? La questione è aperta. Secondo il quotidiano inglese The Guardian questa mostra «probabilmente consacrerà Hirst sui libri di storia come un genio», mentre per il The Times si tratta di «un relitto che dovrebbe essere affondato sul fondo del mare». Amato e odiato dalla critica, fin dagli esordi l’enfant terrible di Bristol si afferma come uno dei personaggi più discussi, provocatori e furbi della scena internazionale. «Subito dopo la laurea si fa conoscere per una serie di animali morti esposti ironicamente come “memento mori” in un museo di storia naturale» ricorda Canova. «E quello della morte resta il suo tema principale anche negli anni successivi, sviluppato con spirito originale e gusto per l’eccesso».
…E delle costose “opere-shock”
La carriera di Hirst è costellata di opere-shock: «Dallo squalo tigre con le fauci spalancate immerso in una teca di formaldeide, intrappolato in eterno e capace di terrorizzare per sempre, alle vetrate colorate ispirate alla tradizione delle chiese cristiane, realizzate con i cadaveri di farfalle messe sotto vetro; fino al teschio di platino con denti veri coperto da 8.601 diamanti, venduto all’asta per 100 milioni di dollari, la cifra più alta mai pagata per un opera contemporanea» racconta l’esperto.
Il Re Mida dell’arte
Hirst, 51 anni e un patrimonio personale di circa 500 milioni di dollari, è l’artista vivente più ricco del mondo. Capace di trasformare in oro ciò che tocca. «Nel 2004, quando il suo ristorante londinese a Notting Hill chiuse, “battezzò” come opere d’arte tutti gli oggetti del locale da lui disegnati, compresi i posacenere e i grembiuli dei camerieri, rivendendoli e ricavandone una ventina di milioni» racconta Marilena Pirrelli, responsabile del magazine ArtEconomy24. «Ma il capolavoro finanziario lo ha compiuto nel 2008, quando in un’asta da Sotheby’s ha venduto 218 sue creazioni per 200 milioni di euro». I prezzi delle opere, però, sono molto calati. «È un artista prolifico e, tra multipli, sculture, dipinti e installazioni, i suoi lavori hanno finito per saturare il mercato» spiega l’esperta. «Il cabinet di farmaci Lullaby Spring è stato battuto nel 2007 per 19,2 milioni di dollari, mentre l’analogo Lullaby Winter è stato venduto 2 anni fa per “soli” 4,6».
La prima personale tutta italiana
La mostra veneziana potrebbe essere un’opportunità di rilancio. «Si va dai piccoli oggetti in giada da 400.000 dollari fino a una testa di Medusa in malachite da 4 milioni» dice Pirrelli. «Da notare che tutte le creazioni sono realizzate in 3 edizioni: l’opera in stato incrostato, il tesoro restaurato e la copia moderna». Una scelta coerente con l’escamotage del relitto o una strategia di marketing?
Cosa ne pensano i critici d’arte?
Francesco Bonami: «È un genio»
«Hirst è un artista rivoluzionario capace come pochi di parlare del ciclo della vita. Le sue opere non vogliono solo comprendere la morte, ma vincerla, e attraverso il potere della bellezza e del sogno celebrano la realtà e la vita. Da sempre ha sparigliato le regole del mondo dell’arte. Qualche esempio? Durante l’asta da Sotheby’s nel 2008 ha inventato la “filiera corta” nell’arte, bypassando i suoi galleristi e mettendo le opere direttamente in vendita al pubblico. Con il suo teschio di diamanti ha creato un oggetto di culto, simile alle maschere di Tutankhamon, facendosi beffe dell’idea del lavoro “firmato” dall’artista. Anche con questa mostra ha aperto una nuova strada: ha capito che l’arte ha bisogno di storie, non importa quanto siano assurde».
Vittorio Sgarbi: «È un bluff»
«Hirst ha messo uno squalo morto in una teca di formaldeide. Ha tagliato una mucca in 2. Ha attaccato farfalle morte su un vetro. Questi sono i lavori più acclamati dell’artista inglese. Concretamente non li ha fatti neanche lui, ma i 200 collaboratori che lavorano nella sua “factory”. L’arte deve essere legata a capacità artigianali. Hirst ha solo avuto l’idea e l’ha replicata in un numero sterminato di opere, spesso dichiaratamente multipli e copie di quelle originali. Le sue mostre assomigliano sempre più a un fashion show, all’insegna dell’eccesso. E i “tesori sommersi” esposti a Venezia ne sono la riprova. Come la statua bronzea decapitata di 18 metri all’ingresso del cortile. Chi raffigura? Il Financial Times suggerisce la risposta: “È l’ego dell’artista”».