Mentre Daria Bignardi mi parla non riesco a staccare gli occhi dalla grande libreria alle sue spalle. «Sono 3.000 volumi» mi dice. Tutta la sua esistenza. Ne parla con affetto, come in Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici (Einaudi).
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L’ultimo libro di Daria Bignardi
«Il titolo è ironico» mi spiega quando le chiedo perché rovinano e non salvano. «Salvare o rovinare è la stessa cosa. In qualcosa che ci rovina c’è sempre qualcosa che ci salva. Il veleno e l’antidoto. Qualcosa che ci fa capire cosa vogliamo, chi siamo veramente». Daria Bignardi ha scritto un libro che parla di romanzi, poesie, film che hanno segnato momenti particolari della sua vita. C’è il Celestino colorato con le api e i ranuncoli dei suoi 5 anni, c’è La foresta della notte di Djuna Barnes dell’adolescenza, ci sono Raymond Carver e Pasolini, i film di Agnès Varda e Querelle de Brest dell’età adulta. C’è l’amore che ne deriva, il tormento e a volte il buio, come spesso succede quando si è giovani. Non è un elenco di consigli, niente di intellettuale. Si tratta di emozioni.
«È come se parlassi di me attraverso i libri che ho incontrato. Ho fatto un viaggio dentro me stessa, soprattutto dentro certe zone di cui avevo parlato meno in passato. Opere che quando ho letto, visto, ascoltato per la prima volta mi hanno sconvolto. Evidentemente perché mi dicevano qualcosa di me che era importante che io mettessi a fuoco. Credo sia così per tutti».
Intervista a Daria Bignardi
Che lettrice era?
«Compulsiva. Ho letto di tutto, tanto. Probabilmente troppo da troppo giovane. E mi sono innamorata, un po’ precocemente, di qualcosa che non capivo, e che trovavo però affascinante: i libri tenebrosi, oscuri, cupi. Mi ero affezionata alle emozioni forti, date dallo struggimento, dalla malinconia. Cose che provi quando leggi qualcosa di molto coinvolgente ma che può essere anche molto triste. Questo libro mi è servito a capire che avevo sviluppato il “piacere di soffrire”, e anche che non è una cosa bella da coltivare. Oggi che sono più matura sono uscita da questo immaginario dark, e cercare la luce, soprattutto per me che ho sentito la seduzione delle ombre, è una bella conquista. Sono diventata una grande fan del sorriso, della leggerezza e della risata».
Più saggia, quindi?
«Ho capito che quello che ci fa soffrire è spesso anche quello che più ci permette di conoscere noi stessi. Che certi incontri, come certi amori che più ci hanno fatto tribolare, sono quelli che fatichiamo a dimenticare. È così anche per l’arte, la letteratura, la musica. Ci fanno attraversare vie buie per poi poter scegliere la luce. Che è più intelligente dell’ombra».
Com’è nato il libro?
«Non era previsto, si è imposto. L’ispirazione è saltata fuori a gennaio del 2021. È stato un rigurgito di qualcosa che evidentemente era per me molto importante».
Ci sono i libri ma anche tanta autobiografia. Lei racconta di un periodo difficile e cita Dostojevski che dice: «La mia vita comincia adesso». È stata molto autentica.
«Spudorata proprio. Ma lì citavo un’opera letteraria. Nella vita non è così. Non c’è un prima e un dopo. Ci sono periodi faticosi e periodi di nuovi amori e nuovi progetti. Sarebbe ingenuo pensare che tutto vada bene, che “vissero felici e contenti”, anche se io, che sono super infantile, un po’ ci spero. Non succede. Poi a me la parola felicità dice poco, sono più confidente con le parole allegria, luce, luminosità. E poi, posso dire una cosa? La vita è bellissima. Come scriveva Grazia Cherchi, è furiosamente grande».
La malattia e subito dopo la separazione, 4 anni fa, l’hanno cambiata?
«Non credo sia stata la malattia la cosa più dolorosa. Con quella ci avevo già fatto i conti a 20 anni, quando mio padre è morto di cancro. Però tutte le cose insieme sì. Avevo problemi di lavoro, ero sempre stanca, poi ho fatto la follia di fare la direttrice di Rai 3 che era il ruolo per me meno indicato al mondo. In più venivo dalla chemioterapia, portavo la parrucca, non mi andava di dire i fatti miei. Quando sono riuscita a licenziarmi e sono tornata in famiglia a Milano mi sono anche separata. Tutte quelle cose insieme sono state troppo. Sono quello che nel libro io chiamo “un periodo di guerra”».
La Daria della tv come fa i conti col tempo che passa?
«Da questo punto di vista sono fortunata perché ho ho questa faccia da bambinotta. Pensi che quando ero più giovane era un problema in tv, non mi sentivo autorevole. Con l’età credo di somigliare di più a me stessa. Quanto alla bellezza, è vero che tutti abbiamo questa insicurezza. Io per esempio non mi posso rivedere: mi trovo insopportabile. Mi sembra di avere la voce da gallina. Ma se vogliamo essere il più carini possibile che male c’è? A novembre mi sono rotta un tendine, ho fatto un mese di sedia a rotelle e 2 mesi di stampelle, ancora adesso sto facendo fisioterapia. L’altra sera però, nel programma di Massimo Gramellini, mi sono portata fin dietro le quinte i tacchi altissimi. Ho rischiato, ma non me la sentivo di andare in tv con le scarpe basse».
L’ansia di cui ha parlato più volte è stata soppiantata dalla malinconia? «Soppiantata no, ma dopo che ne ho scritto e fatto anche uno spettacolo teatrale, ho imparato a conoscerla e sono meno ansiosa. Spero succeda lo stesso con la malinconia, così che quando arriva io sia capace di prenderla un po’ meno sul serio».
Oltre ai libri, ci sono persone che le hanno cambiato la vita?
«Più di una relazione, in generale mi hanno cambiato la vita un incontro occasionale, la frase di uno sconosciuto su un treno, la mail di un lettore. Poi ci sono incontri indimenticabili. Come quello di Valentino Bompiani che vidi a 28 anni a casa di Umberto Eco e mi disse: “Solo due cose contano: leggi Shakespeare e fai soltanto quel che ti piace”. O con Lucia Annunziata che a 30 anni mi convinse a fare tv. A me non passava nemmeno per la mente…».