Se si guarda al pop internazionale, è impossibile non pensare alle artiste che lo dominano. Da Dua Lipa a Cardi B, da Ariana Grande a Megan Thee Stallion fino a Taylor Swift, giusto per citare alcune tra le più famose, il 2020 ci ha regalato tanta ottima musica firmata da donne. Eppure, le donne continuano a essere una minoranza nell’industria musicale, come rileva l’ultima ricerca sulla Billboard Hot 100 stilata dall’USC Annenberg Inclusion Initiative, che sottolinea come il rapporto tra artisti uomini e artiste donne sia di 3,9 a 1.
Guardando alla classifica Billboard, che storicamente raccoglie i più grandi successi sul mercato americano, nel 2020 le posizioni occupate dalle artiste le donne costituivano solo il 20,2% dei 173 artisti apparsi in classifica, scendendo dal 22,5% nel 2019 e dal massimo del 28,1% raggiunto nel 2016. La dottoressa Stacy L. Smith, che ha condotto la ricerca, ha così commentato: «Ovunque si è celebrata la Giornata internazionale della donna, ma non per le donne nella musica, dove le loro voci sono ancora mute. Anche se le donne appartenenti a minoranze etniche rappresentavano quasi la metà di tutte le artiste presenti in classifica nei nove anni esaminati, c’è ancora molto lavoro da fare per raggiungere una vera inclusività in questo business».
È ancora difficile farsi strada per artiste e producer…
La ricerca evidenzia anche come anche il numero di donne che lavorano tra i 449 cantautori responsabili delle canzoni più popolari negli Stati Uniti nel 2020 è sceso al 12,9% dal 14,4% nel 2019. Nella classifica Hot Billboard 100 di fine anno, il 65% delle canzoni non presentava cantautrici donne: il più alto livello di esclusione dall’inizio delle rilevazioni del sondaggio nel 2012. E le cose non vanno certamente meglio se si guarda a chi lavora dietro le quinte: nel 2020 le producer (ovvero coloro che lavorano alla stesura e al mix di una canzone insieme all’artista che la canta) rappresentavano solo il 2% dei 198 crediti di produzione tra le canzoni di successo, rispetto al 5% dell’anno precedente.
In questo campo scende anche la rappresentazione delle minoranze: l’unica a essere accreditata come producer è infatti Mariah Carey con la sua All I Want for Christmas Is You, la sua hit natalizia uscita per la prima volta nel 1994 e ripubblicata proprio alla fine del 2020. Scegliendo un campione rappresentativo di 600 canzoni tra il 2012 e il 2020, delle 23 donne singole accreditate come produttrici, solo sette erano donne appartenenti a minoranze etniche: una ogni 180 produttori maschi. Il problema è chiaro: potranno andar bene le artiste nere o appartenenti ad altri gruppi etnici, perché funzionano sempre di più e piacciono al pubblico, ma sono gli autori uomini ad accedere con più facilità alla “stanza dei bottoni”, ovvero quella della produzione vera e propria. Dei 38 artisti presenti nella classifica di fine anno del 2020, nessuno ha lavorato con una produttrice donna (anche se potrebbero averlo fatto su canzoni non classificate): l’unica eccezione è stata Ariana Grande, che ha ricoperto il ruolo lei stessa nel suo duetto con Justin Bieber, Stuck With U.
… ma qualcosa sta cambiando, anche se lentamente
Il prossimo 14 marzo si terranno negli Stati Uniti i Grammy Awards, i più importanti premi musicali del Paese e tra i più rilevanti al mondo. Negli ultimi anni sono stati travolti dalle polemiche: per via dei meccanismi di selezione degli artisti nominati, ritenuti poco trasparenti, per l’esclusione delle artiste donne e non da ultimo per la “ghettizzazione” riservata agli artisti hip hop, rinchiusi nella controversa categoria “Urban” che sembra non tenere conto dell’evoluzione della musica contemporanea, che non è più facilmente classificabile in categorie così rigide. Per tutti questi motivi, l’ente che sta dietro ai Grammy Awards ha annunciato uno studio sulla rappresentanza delle donne nel mondo della musica, dopo aver “scoperto” che solo il 23% dei candidati per la cerimonia televisiva di domenica prossima erano donne.
Ciononostante, quando le donne si affermano in questo campo lo fanno con numeri eccezionali: in quest’edizione Beyoncé ha 9 nomination, Dua Lipa e Taylor Swift 6. Billie Eilish è stata l’artista donna che ha ottenuto più streaming nel 2020 su Spotify, seguita dalle solite Swift, Grande e Lipa. Le donne nella musica piacciono, insomma, ma devono fare il doppio della fatica per affermarsi. La dottoressa Smith ha poi fatto notare al Guardian che tra le 900 canzoni più popolari nelle classifiche di fine anno dal 2012 al 2020, Drake è stato l’artista con la miglior performance con le sue 41 canzoni classificate. Nicki Minaj e Rihanna sono state invece le donne più performanti, con 21 canzoni ciascuna. Il miglior cantautore maschile, il producer svedese Max Martin, aveva 44 crediti come autore. La donna migliore, Minaj, ne aveva 19. Meno dell’1% di quelle 900 canzoni aveva solo autrici donne; il 30,6% ne aveva solo una e il 57,3% non ne aveva nessuna.
Anche cinema e teatro sono indietro su questo fronte
La questione non riguarda certo solo la musica: lo stesso discorso si può fare per il cinema e il teatro, ad esempio. Quest’anno Chloé Zhao è stata la seconda donna nella storia dei Golden Globe a vincere il premio per la miglior regia, ed è anche la prima americana di origine asiatica a salire sul gradino più alto del podio. Prima di lei c’era riuscita solo Barbra Streisand, che aveva portato a casa il Golden Globe per la regia del film Yentl, nel 1984. Esatto, l’ultima vittoria di una donna risale a quasi quarant’anni fa.
Se questa è la situazione in America, l’Italia non è certo messa meglio: il recente report dell’associazione Amleta, che ha monitorato le presenze maschili e femminili nei teatri nazionali italiani dal 2017 al 2020, rileva infatti come l’incidenza delle donne per ruolo sia del 32,5% nei teatri nazionali (contro il 67,5% di quella degli uomini) e del 30,5% (contro il 69,5% di quella degli uomini) nelle sale principali. Insomma, le donne a teatro sono meno della metà dei colleghi uomini. Appunto, c’è un sacco di lavoro da fare.