C’è chi ci ha messo 6 ore, chi ha passato la notte in bianco per finirlo in tempo e scrivere in anteprima di questo evento mondiale. Io, La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante, romanzo attesissimo dell’autrice della quadrilogia de L’amica geniale (e/o), scrittrice da 12 milioni di copie vendute nel mondo, l’ho letto in 12 ore più o meno (forse anche di più). Lentamente, per assaporarne le atmosfere, la scrittura densa, gli stati d’animo della protagonista: Giovanna, 12 anni, e del suo passaggio dalla condizione ovattata dell’infanzia a quella difficile, complessa e ondeggiante dell’adolescenza, fino ai suoi 16 anni. Fatta di gibbosità, tradimenti, “stagioni incerte”. Il verdetto? Eccolo:
1. È un libro che parla di noi: La storia è quella di Giovanna, ragazzina amata dai genitori insegnanti di liceo. Siamo di nuovo a Napoli ma negli anni Novanta. In un appartamento piccolo borghese, dove le mattine e le giornate trascorrono con gli stessi rituali. Il padre è adorato, visto con gli occhi dell’infanzia, la madre un porto sicuro. Ma fin dall’incipit (che possiamo rivelare senza aver paura di fare spoiler perché è stato citato più volte) capiamo che qualcosa sta cambiando. Siamo di fronte a una svolta: «Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto – gli spazi di Napoli, la luce blu di un febbraio gelido, quelle parole – è rimasto fermo. Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare anche adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione». Ecco, quel dolore arruffato, senza redenzione, ci riporta alla nostra adolescenza, a quel sentire di oltrepassare una soglia dove non hai maniglie a cui aggrapparti, dove tutto sfugge o ti si incolla addosso. Dove, per la prima volta, il mondo non è più così nitido ma fatto di tante sfumature, veli che si tolgono a strati o che coprono come i tendoni di un palcoscenico. Un sentimento, o mood (ditelo come volete) che in tanti abbiamo provato. Una sofferenza sorda ma necessaria.
2. È un libro che racconta la vita: Attorno a Giovanna c’è una vita fatta di personaggi “veri”. Ci sono le amiche d’infanzia, i genitori e i suoi amici scrutati attraverso le porte semi aperte, ci sono i parenti “strani”, quelli da cui è stata protetta da bambina, ci sono i ragazzi che ci provano e quelli ammirati. Ci sono le scoperte, anche del sesso, le verità e le menzogne, quelle del titolo. E soprattutto c’è la consapevolezza che, a un certo punto, gli adulti non sono come ce li siamo sempre immaginati. Che anche loro hanno una vita che non appartiene del tutto a quella quotidiana dei figli e della casa. E che la percezione che abbiamo dei grandi cambia in continuazione: basta una frase, una rivelazione, per fare cadere un castello di carta. Distruggere certezze e fare apparire quello che fino a ieri era un faro un buco nero.
3. È un libro che ha la voce di donna: Come ne L’amica geniale la voce che racconta la storia – la sua storia – è femminile. È la voce di una ragazza che scopre il proprio corpo che cambia, che si sente brutta, goffa, che cerca di cambiarsi mascherandosi col trucco, che si sente sempre inadeguata, fuori posto. Giovanna, che diventa Giannina o Giannì a seconda dei casi, è in cerca di punti riferimento, di modelli da imitare, da cui attingere come un cucciolo il latte dalla madre: che sia la zia Vittoria, quella brutta o bellissima a seconda dei momenti, quella diversa e per questo irresistibile, o che sia Angela, l’amica educata e carina, o soprattutto Giuliana, quella “grande”, bellissima, che grazie a un fidanzato professore all’università a Milano, è riuscita ad affrancarsi da una realtà misera.
4. È un libro che descrive diversi mondi: Ci sono gli adulti e i ragazzi, ma c’è anche la Napoli borghese, di Rione Alto e di Posillipo, e quella più “bassa”, quella del Pascone, vicino a Poggioreale. C’è la comunità degli intellettuali che la verità la trovano sui libri, nelle frasi ipercorrette e nei toni contenuti, e c’è la gente che parla in dialetto con lo “scilinguagnolo”, abita in appartamenti dove di libri non c’è manco l’ombra e la vita l’hanno conosciuta per strada. C’è il continuo oscillare tra un mondo e l’altro, tra una verità e l’altra, da un’emozione all’altra. Scrive Elena Ferrante che certe emozioni hanno una durata irrilevante e che assumono delle tinte che assomigliano alla frutta dentro al frullatore. E che la lentezza si muta in vortice. Rende l’idea del disordine interiore, di quel continuo movimento che disorienta.
5. È un libro pieno di misteri: Come del resto l’adolescenza e la vita, di cose che ci possono apparire incomprensibili ma che possono invece avere una loro logica. Ci sono misteri che riguardano i genitori e i parenti (ma chi non ne ha?), foto cancellate, tradimenti e bugie. E poi c’è un braccialetto che passa di mano in mano. Ma di quello non dirò niente per lasciarvi il piacere di scoprirne il ruolo e il significato durante la lettura.