«Ogni giorno ricevo centinaia di messaggi su Instagram da parte di mamme che hanno figli malati di cancro. Le indirizzo agli specialisti che hanno seguito la mia famiglia, perché non voglio lasciarle sole ma allo stesso tempo io sono ancora troppo coinvolta dal mio dolore. Ho avuto la fortuna di vedere il mio Giacomo guarire dal tumore cerebrale e provo una sorta di senso di colpa pensando a tutte le madri che hanno perso o rischiano di perdere il loro bambino».
È di una sincerità disarmante ed emozionante Elena Santarelli quando, nel corso della nostra conversazione, arriviamo a parlare del periodo più difficile della sua vita di donna e di madre, e di come quei momenti l’abbiano cambiata profondamente, facendole capire che «la forza non è durezza, ma tenacia».
Oggi che Giacomo è fuori pericolo – «va però sottoposto a controlli periodici» – Elena ha ritrovato una consapevole serenità. La sua vita scorre ordinata tra il lavoro – è appena diventata testimonial del brand di moda Manila Grace – e la scuola dei bambini. «Li seguo in Dad. Giacomo, che ha 12 anni, è autonomo: controllo solo che non accenda la PlayStation tra una lezione e l’altra. Greta ha 5 anni e non riesce a tenere l’attenzione a lungo, devo starle accanto durante le lezioni».
Per scattare il servizio fotografico che vedi qua sotto si è ritagliata una giornata in settimana, ma poi ha chiesto di rimandare l’intervista alla domenica: «Così non ci sono le lezioni dei bambini. Però, se puoi, ci sentiamo nel tardo pomeriggio. A Roma è una bella giornata di sole e loro vorrebbero andare al parco. Anche a me fa bene un passeggiata, dopo aver mangiato le lasagne di mia madre!» mi dice con voce sorridente al telefono.
Allora partiamo dalle lasagne… Non sarai una di quelle che possono mangiare tutto senza ingrassare!
«No, io sgarro solo una volta la settimana. Per il resto faccio ginnastica ogni giorno e ogni sera mi spalmo la crema anticellulite. Ma il ginocchio che scende ce l’ho, come pure i capillari che si rompono… Sui social siamo tutte perfette. Ma, diciamocelo, scegliamo le nostre foto migliori!».
Su Instagram hai 1,8 milioni di follower e tra moda, cinema e tv sei sempre sotto i riflettori. Come gestisci la tua immagine pubblica?
«Cerco di essere trasparente, ma attenta. Non firmo un contratto se non sono convinta di quello che promuovo. A volte mi hanno dato della tonta perché ho rifiutato alcuni lavori e perso molti soldi. Ma se so che a seguire i miei consigli, e a spendere il loro denaro, ci sono una studentessa o una casalinga, voglio che lo facciano per cose che io ritengo di qualità, che si tratti di abiti, cosmetici o prodotti alimentari. Qualcuno avrà sempre da ridire, però io sono a posto con la mia coscienza».
«Ho scelto io di parlare sui social della malattia di mio figlio. Sono stata attaccata perché sorridevo nelle foto. ma non mi pento: mi avevano dato una speranza e mi ci aggrappavo»
Sui social, e poi nel libro Una mamma lo sa, hai scelto di raccontare anche del tumore maligno al cervello diagnosticato a Giacomo a fine 2017. Cosa ti ha spinto a farlo?
«Ero sicura che la notizia sarebbe uscita: avevano visto me e mio marito accompagnare Giacomo all’ospedale Bambino Gesù a Roma. Quindi ho voluto raccontare io quello che succedeva davvero, per evitare illazioni e pettegolezzi».
Ti sei pentita?
«Confesso che, se avessi potuto, lo avrei evitato. Parlare di un momento così tremendo, in cui avevamo tanta paura, per me è stata una forzatura. E poi, proprio sui social ho subito attacchi feroci: mi dicevano che il cancro me lo meritavo io, che non mi importava nulla di mio figlio perché a volte in foto sorridevo. Durante la malattia di Giacomo ho avuto attimi di felicità, come quando lui è uscito dalla sala operatoria, ma anche momenti di dolore indicibile. Sono convinta che nessuno abbia il diritto di giudicare un’altra persona se non si trova nella sua situazione. Ma non mi pento di quei sorrisi: se domani avessi io un tumore, mi comporterei allo stesso modo. Cercherei di godere del buono che c’è, finché c’è».
Hai detto di aver avuto tanta paura: cosa hai imparato su di te quando hai dovuto superarla?
«Ho riconosciuto quanto sono forte, credo che lo sia ogni madre che lotta. Certo, avevo momenti di sconforto, ma ho sempre guardato avanti, perché i medici una possibilità ce l’avevano data e io volevo aggrapparmici. Questo lato del mio carattere è anche un limite, perché gli altri pensano che io sia indistruttibile e non si aspettano che mostri le mie fragilità. Lasciarmi andare è una cosa che ho imparato a fare col tempo, non resisto più a ogni costo. Se ho voglia di passare la giornata a piangere, oggi lo faccio. La forza non è durezza, è tenacia».
Dovevi essere forte anche per la tua seconda figlia Greta. A lei cosa hai raccontato della malattia del fratello?
«Nulla, all’epoca, perché aveva 1 anno e mezzo. La sua vita, anche grazie all’aiuto che mi ha dato mia madre, è continuata come prima. Semmai, ero io che mi rifugiavo in Greta quando tornavo distrutta dall’ospedale: dormire con lei, sentire il suo odore e il suo respiro erano tra le poche cose che mi facessero stare bene».
Non dev’essere stato facile neppure insistere perché Giacomo continuasse a studiare durante la malattia.
«La fortuna è stata che l’operazione non gli ha portato alcun deficit cognitivo, ma a maggior ragione il suo cervello andava tenuto in esercizio. Poi non volevo farlo sentire diverso dai compagni: era già dimagrito e aveva perso i capelli e, anche se gli insegnanti magari avrebbero chiuso un occhio, lui si sarebbe considerato un “caso”. Se mi rendevo conto che aveva abbastanza energia dopo le terapie, leggevo con lui. Abbiamo avuto il privilegio di poterlo far seguire da docenti privati quando era in cura a Trento. Allora mi ha odiata, ma ora mi ringrazia e mi dice: “Se non sono rimasto indietro, è perché non hai mollato”».
A proposito di privilegi, vi hanno accusato di essere raccomandati.
«Vorrei sapere come. Non sei tu che decidi quando andare in ospedale: ti chiamano e stai dove ti mettono. Anche la struttura sanitaria di Trento è pubblica, destinata a chi ha particolari tumori. Il vero privilegio è stato poter curare mio figlio a Roma, dove avevo una casa, le amiche, i miei. Quanti genitori hanno dovuto lasciare il lavoro o gli altri figli per curare i loro bambini in un’altra regione? Vicino all’ospedale vedevo spesso i padri uscire la mattina presto dall’auto dove avevano dormito. Penso di aver fatto la cosa giusta a restare, mentre mio marito Bernardo (Corradi, ex calciatore, ndr) aveva pensato di far curare Giacomo all’estero».
Tu e Bernardo siete insieme dal 2006 e insieme avete superato il momento più difficile. Qual è il segreto di una coppia che dura?
«Ci lasciamo i nostri spazi: se lui vuole partire con gli amici, va. Io faccio lo stesso. E i ruoli sono parimenti divisi: in settimana ho un aiuto in casa, ma nel weekend lui pulisce insieme a me. Vengo da una famiglia di operai in cui ognuno ha sempre fatto qualcosa: mio padre si occupava della lavatrice».
Qual è il complimento che ti fanno più spesso?
«Mi dicono che sono luminosa e positiva. Mi fa piacere anche perché la bellezza prima o poi finirà, mentre la luce e l’ottimismo restano».
L’ultimo pensiero prima di dormire?
«Una preghiera di ringraziamento perché noi stiamo bene. E una per tutte le persone che in quel momento sono in reparto, con il rumore dell’apparecchio per la chemio in sottofondo: quello non te lo scordi più. Grazie al mio libro e ai social sono fiera di aver contribuito a comprare un macchinario per l’ospedale. Quando stai bene tu, non devi dimenticarti di chi soffre».
Styling di Paolo Lapicca – foto di Davide Nova
Make up: Maddalena Brando @Simone Belli Agency. Hairstyle: Cinzia Bozza @Simone Belli Agency