Il 7 febbraio Elena Sofia Ricci scenderà la scalinata del Festival di Sanremo, «ma speriamo che mi facciano entrare da un’altra parte perché ho sempre paura di cadere». Cosa indosserà? Le chiedo. «Devo ancora fare il fitting» confida. Elena Sofia Ricci va all’Ariston per parlare della nuova serie di cui è protagonista: Fiori sopra l’inferno, tratta dal romanzo di Ilaria Tuti (Longanesi). La prima puntata andrà in onda il 13 febbraio in prima serata su Rai 1.
Elena Sofia Ricci diventa Teresa Battaglia
La curiosità è tanta, non solo perché l’attrice fiorentina ha appena smesso i panni di Suor Angela in Che Dio ci aiuti, con grande delusione dei fan, ma anche perché si sa che in ogni progetto lei ci mette l’anima. Nella nuova serie Elena Sofia Ricci è Teresa Battaglia, commissario di polizia di Udine, 60 anni come lei, esperta profiler dal carattere ruvido e scostante che, oltre ai serial killer, combatte i suoi demoni e un principio di Alzheimer. Una donna difficile, a tratti perfino antipatica, che lei interpreta magistralmente mostrando debolezze, fragilità e, nei primi piani quasi senza trucco, anche le sue rughe. «Chi fa il mio mestiere non deve avere paura dei propri anni, del fisico che cambia» mi dice. «Invecchiare è ineluttabile, e si acquista una maggiore consapevolezza e maturità. Meglio farlo con un po’ di grazia. Io mi curo, non fumo e non bevo. E per quanto riguarda il trucco, ormai mi sono abituata a fare quasi senza quando recito. Sa, dopo 12 anni di Che Dio ci aiuti… Lì non dovevano nemmeno pettinarmi».
Anche a teatro Elena Sofi Ricci preferisce ruoli maturi?
«Ci sono dei personaggi bellissimi. Aspettavo di raggiungere questa età per interpretare Alexandra Del Lago in La dolce ala della giovinezza, che sto portando adesso in tour, oppure Sylvia Gellburg in Vetri rotti che ho fatto qualche anno fa. Diciamolo: i ruoli più belli sono quelli per donne un po’ più grandi».
Le sue fragilità
Teresa Battaglia è una poliziotta sui generis.
«Io ho una predilezione per gli antieroi. Mi piace portare in scena le fragilità umane perché tutti siamo un po’ fragili e poterselo permettere è qualcosa di importante. Amo raccontare l’imperfezione».
Si è mai sentita insicura?
«Insicurezze? Chi non ce le ha? Io ho sempre paura di non essere all’altezza delle cose che faccio. Ho sempre quella spinta che mi fa dire: “Ma lo saprò fare bene?”. Più che altro ho un fortissimo senso di responsabilità: dopo 42 anni di carriera, con un pubblico che mi vuole così bene, io non posso tradire le aspettative. Non posso fare una cosa con la sinistra perché tanto ormai sono quella “brava”. Non mi accontento. Voglio fare al meglio delle mie possibilità. È un bell’esercizio anche per me».
Una vita sempre al massimo.
«Sono una che ama andare a fondo nelle cose. Che ama vivere a piene mani. C’è una frase che Alexandra Del Lago dice in La dolce ala della giovinezza: “Io desidero la vita. Spudoratamente. Terribilmente. Qualsiasi cosa accada”. Questo vivere la vita a 360 gradi mi rappresenta profondamente: è anche evolvere, crescere. Non si può sprecarla la vita, vivere surfando sull’esistenza».
L’amore per il teatro
A teatro lei ha portato in scena Pirandello, Miller, Williams, Shakespeare, Goldoni, Molière. In tv I Cesaroni, Orgoglio, Che Dio ci aiuti. E al cinema ha lavorato con Ferzan Özpetek, Giovanni Veronesi, Paolo Sorrentino, Paolo Genovese… Passa dal classico al pop. Come fa?
«Non è facilissimo fare lo slalom tra il grande cinema, la grande televisione e il grande teatro. Per anni c’è stata una divisione anche un po’ snob tra chi faceva questo e quello. Ma io sono contenta, ho cresciuto qualche generazione di ragazzi: i 36enni di oggi con Caro Maestro, i 25enni con I Cesaroni, i più piccoli con Che Dio ci aiuti. E oggi vengono a teatro perché mi hanno visto in tv. Grazie alla popolarità che mi ha dato la televisione abbiamo riempito i teatri».
Se lo chiedono tutti: perché ha lasciato Che Dio ci aiuti?
«Perché volevo tornare in teatro, poi quella lunga serialità… Due anni fa ho finito per un pelo le riprese. Sono stata ricoverata più di un mese, ho subito due interventi alla colonna vertebrale. Mi ero trascurata perché sono stakanovista: se sto lavorando, il lavoro viene prima di tutto. Ho un Super Io che è un generale, ma il nostro è un lavoro duro, chi non viene sul set con noi non se ne rende conto: non lo capisce chi ci è vicino, figuriamoci chi ci vede da casa. E il corpo ogni tanto ti ricorda che non ce la fai più a sostenere quei ritmi: sveglia presto e al lavoro col caldo e col freddo».
Però è un lavoro che non lascerebbe mai.
«Amo trasformarmi e amo questo mestiere proprio perché dà la possibilità di diventare altro, di cambiare. Di mettersi in gioco con la propria anima ma anche col proprio corpo. Ho interpretato Rita Levi Montalcini, l’unica volta nella mia carriera in cui quando mi struccavo mi trovavo più giovane» (ride).
L’abuso a 12 anni
Un po’ di tempo fa ha raccontato di un abuso subito a 12 anni. Ne vuole parlare?
«Ho dovuto aspettare che morisse mia madre per poter dire questa cosa, perché purtroppo è stata lei che mi ha consegnato nelle mani di una persona di cui si fidava. Sono ferite che lasciano delle cicatrici pesanti. Di questo ovviamente ho parlato con le mie figlie appena sono state più grandi. Anche perché i pericoli che corrono oggi i ragazzi sono tremendi. È un momento in cui essere giovani è veramente difficile».
Nelle ultime settimane moltissime attrici italiane hanno denunciato di aver subito abusi durante la loro carriera.
«Io fortunatamente non ci sono passata perché forse da quella sera dei miei 12 anni ho eretto un muro. Non ho mai avuto richieste del genere. Però immagino che ci sia certamente questa modalità, ed è raccapricciante. Chi tenta una manipolazione del genere occupa un posto di potere. E ha di fronte persone fragili: ragazze e ragazzi che non pensano di valere abbastanza per meritare un ruolo semplicemente perché sono bravi e perciò subiscono il ricatto. Si giudicano queste situazioni con troppa superficialità: è facile dire “Sei maggiorenne, alzi i tacchi e te ne vai”. Che ne sai quali demoni si sono cristallizzati nel cuore di quella maggiorenne? Quali paure? Quali fragilità? Quali paralisi emotive? Chi non le ha mai provate non può parlare».
Il suo impegno per i diritti civili è noto: sostiene Save the Children e l’Unhcr, è testimonial per la campagna di prevenzione del cancro alla mammella.
«Aggiunga le battaglie che ho fatto per i lavoratori dello spettacolo al grido di un nuovo rinascimento. Sono una donna che vive in questa società in questo momento storico, ho un seguito di persone che mi vogliono bene. Penso che sia un dovere fare qualcosa per gli altri».