La Turchia è un Paese bellissimo, potrebbe essere un modello per il mondo musulmano. Invece assistiamo all’avanzata del nazionalismo, del totalitarismo, del conservatorismo islamico, del patriarcato, della misoginia». Elif Shafak, 45 anni, una delle voci più importanti della narrativa turca, è un torrente in piena quando parla della sua terra. Alta, elegante, gli occhi verdi e profondi disegnati col kajal, oggi vive a Londra con il marito giornalista e i due figli Zelda, 10 anni, e Zahir, 8. Ma c’è sempre la Turchia al centro dei suoi romanzi. Anche dell’ultimo, “Le tre figlie di Eva” (Rizzoli).
Il libro racconta la storia di Peri, una giovane di Istanbul che va a studiare a Oxford e qui incontra Shirin e Mona. «Le 3 ragazze hanno in comune un background musulmano, ma sono profondamente diverse nel rapporto con i propri Paesi. La prima, la peccatrice, è atea e non ama il suo Iran perché tratta male le donne. La seconda, la credente, ha origini egiziane, indossa il velo e si lamenta dell’islamofobia. La terza, la turca, è confusa e si pone tantissime domande».
Peri, la confusa, è il simbolo della Turchia di oggi?
Nessuno può rappresentare davvero un Paese di quasi 80 milioni di persone. La Turchia è sfaccettata, piena di tensioni politiche. Ho cercato di condensare questa frammentazione nel viaggio di Peri: quando leggiamo la sua storia, leggiamo la storia della Turchia.
Colpisce anche la figura della sua amica Mona, credente e femminista.
Ho incontrato giovani musulmane che le assomigliano. Le ho ascoltate, osservate: sono ragazze che provengono da famiglie conservatrici. Molte si coprono la testa, ma allo stesso tempo indossano abiti moderni. E sono orgogliose: non vogliono essere considerate vittime solo perché donne e musulmane.
Lei è una voce controcorrente: come vengono accolti i suoi libri in Turchia?
Ho lettori di tutti i tipi, anche conservatori. Da loro ricevo ispirazione e amore. È un legame prezioso che mi è servito in passato e mi serve ancora per compensare l’odio di una certa élite che appoggia il governo. Ma anche di quelli che si professano liberali.
Ha mai subito censura?
Sì, per “La bastarda di Istanbul” (che Elif Shafak ha scritto nel 2006, ndr) sono stata processata perché, secondo l’articolo 301 del codice penale, avevo offeso la “turchicità”, un concetto molto vago… Era la prima volta che un romanzo di finzione finiva in tribunale. È stato surreale e snervante. Per strada gruppi ultranazionalisti sputavano sulla mia foto.
Perché è una donna?
Sì, sono stata denigrata, umiliata. In Turchia se sei una donna scrittrice rimani prima di tutto una donna. Il che significa che finché non diventi molto vecchia, non sarai rispettata. Cercheranno sempre di buttarti giù, farti diventare piccola, ridicola.
Lei è credente?
No, ma credo nell’atto di fede in senso “laico”: quando scrivi un libro, quando ti innamori… Non sai come andrà a finire, ma hai fede. E credo nel dubbio. Non mi piace chi è assolutamente sicuro della propria religione o del proprio ateismo. Mi piace l’umiltà di dire: «Sto ancora imparando, sto ancora cercando».
Cosa prova pensando alla sua Turchia?
Sono demoralizzata, perché la mia terra ha fatto molti passi indietro a una velocità impressionante. Tutto succede così alla svelta che non c’è tempo per riflettere, per addolorarsi, perché il giorno dopo è già successo altro.
Il governo ha presentato di recente una legge, poi ritirata in seguito alle proteste popolari, che avrebbe introdotto un’amnistia per chi stupra una minorenne purché la sposi. Gli stupri e i femminicidi sono aumentati, ma i politici tacciono. Anzi, alcuni negano l’eguaglianza tra i generi e vogliono che ci concentriamo sulla maternità: bisogna fare 5 figli, l’aborto è considerato un omicidio di massa.
Com’è potuto accadere che un Paese laico si sia trasformato così?
L’Apk (il partito conservatore del presidente Recep Tayyip Erdogan, ndr) è al potere da 14 anni. Col tempo è diventato più forte perché non ha avuto come contraltare una vera democrazia. Ora che anche i rapporti con l’Unione europea sono collassati, i nazionalisti e i fondamentalisti sono contenti: la loro voce è diventata più alta.
Sempre più intellettuali vengono arrestati.
Sono oltre 130: giornalisti, scrittori, editori, fumettisti. Molti sono miei amici, come Asli Erdogan (condannata all’ergastolo perché sospettata di collaborare con un giornale curdo e poi rilasciata dopo una petizione su Change.org, ndr).
Cosa fare per loro?
Parlare. Il sostegno internazionale è molto importante. Li aiuta a non sentirsi abbandonati. Ma non solo: dobbiamo tutti alzare la voce per la libertà di parola. Perché questa situazione è inaccettabile.
COSÌ NASCONO I ROMANZI
Elif Shafak, nata a Strasburgo nel 1971, figlia di un filosofo e di una diplomatica turchi, è l’autrice più letta in Turchia. Scrive i suoi romanzi (compreso l’ultimo, “Le tre figlie di Eva“, edito da Rizzoli, sopra la copertina) in inglese «per la libertà che questa lingua mi dà» dice. «Poi il manoscritto viene tradotto in turco. Ma non viene pubblicato così com’è. Io lo riprendo e lo riscrivo con il mio ritmo, il mio vocabolario». Il motivo? «Oggi circa il 45% delle vecchie parole turche non viene usato. Abbiamo perso le sfumature: quando perdi quelle, perdi anche la capacità di pensare con delle sfumature» dice.