Ermal Meta ha sempre la chitarra addosso, le mani affusolate si appoggiano sulle corde: «Suonare è la prima cosa che faccio al mattino, quando mi alzo». Sorride, ha l’aria un po’ stanca, sono mesi che non si ferma. Anzi, anni. Negli ultimi 3 gli è cambiata la vita: dal primo Sanremo Giovani di Odio le favole ha intrapreso una scalata inarrestabile che quest’anno lo ha portato di nuovo sul palco dell’Ariston da vincitore, insieme a Fabrizio Moro, con il brano Non mi avete fatto niente. Le canzoni che scriveva per altri sono ora le sue e vengono intonate da migliaia di fan che lo hanno applaudito in tv ad Amici e lo seguono sui social.
Ermal suona prima che l’intervista inizi. Canta a metà, canta alla fine. Decidendo fino a che punto mostrarsi, come sempre. Preferisce che a raccontarlo sia la musica. Quanto non ama parlare della sua vita personale, tanto l’ha cantata nell’ultimo album Non abbiamo armi. C’è tutto: la separazione dopo una relazione di 9 anni con la speaker radiofonica Silvia Notargiacomo in Nove primavere; il dolore che ha provato in Caro Antonello; la voglia di andare avanti nel nuovo singolo Io mi innamoro ancora.
Partiamo da qui. Ti innamori di nuovo?
Certo, la vita va avanti. Questa canzone parla della voglia di ricominciare. Che altro possiamo fare? Ci sono pezzi di viaggio che compi con alcune persone e che a volte finiscono. Ma per quanto mi riguarda non esistono conclusioni, solo inizi. La mia carriera ne è la prova: fino a 2 anni e mezzo fa scrivevo canzoni per altri, me ne stavo chiuso nella mia tana. Non avrei mai immaginato di raggiungere obiettivi così grandi.
Che effetto ti fa oggi?
C’è un misto di soddisfazione e incredulità. Ho combattuto per arrivare fino a qui. A volte ho fatto dei passi indietro, ma sempre per prendere la rincorsa. Come quando ho pensato che il mio destino fosse essere solo un autore, visto che con le band del passato non aveva funzionato. Diciamo però che in questo Silvia è stata fondamentale.
In che senso?
Mi ha aiutato a non credere al mio destino. Mi ha portato in braccio quando non ero in grado di camminare. È il merito più grande che ha avuto.
È normale, spesso, non farcela da soli.
Da soli non ce la si fa mai. E servono anche gli incontri giusti: basti pensare ai “no” che ho ricevuto prima di approdare alla mia attuale casa discografica, la Mescal. Così ho imparato a dire: «Ok, non mi accontento». Sul lavoro per esempio sono un rompicoglioni: dico come va fatta una cosa, ma non do il tempo agli altri di capire come la voglio. Ci sono pochissime persone di cui mi fido: il problema è che non riguarda solo la musica.
Come fai allora?
La fiducia ruota attorno alla mia famiglia e a quel tipo di amore che assomiglia a un agio che ti culla e protegge.
A proposito di famiglia: la tua viene dall’Albania. Da poco sei tornato a Tirana per un grande concerto. Cos’hai provato?
È stato bello, c’erano 100.000 persone in piazza. Mi hanno dato le chiavi della città. Mi sono confuso con la mia gente, e la mia famiglia era lì con me. In quel momento mi sono reso conto di molte cose: forse tanti anni fa avevo scritto Sperare per arrivare a questo momento. Per tornare, nel modo opposto a cui me ne ero andato. Mi sono sentito un eroe, senza esserlo: in fondo l’unica vita che sono riuscito a salvare finora è stata la mia.
La tua è una storia molto attuale in un periodo di porti chiusi.
Se quello che sta succedendo adesso in Italia fosse accaduto 24 anni fa (Ermal è arrivato a Bari dall’Albania con la madre, un fratello e una sorella nel 1994, quando aveva 13 anni, ndr), io non sarei qui a scrivere canzoni, fare musica, andare in tv ed esibirmi ai concerti. E come me tanti altri. I confini esistono. Però so che esistono le persone prima dei confini, bisognerebbe dare una possibilità alla vita. Mi ha fatto male leggere alcune cose ultimamente. Non esiste un diritto di nascita più di un altro. Oggi c’è una parte del mondo che soffre e cerca di riscattare la propria esistenza, di non morire. Molti anni fa quella parte del mondo mi riguardava perché io c’ero dentro. Eppure le soluzioni non si vogliono trovare. Questa stagnazione del pensiero mi fa paura.
Il tuo pensiero invece dov’è adesso?
Sulle parole. Di canzoni ne ho già una ventina. E sto scrivendo un libro, una sorta di diario di riflessioni, di mezze poesie, testi che non diventeranno mai canzoni. In questo momento mi sto dedicando completamente ai live, il momento più importante per me. Però il prossimo anno mi prendo una pausa per riuscire a fare un disco in tempi più umani. Ogni brano e ogni idea si muovono e ho bisogno di tempo per capire che cosa c’è nella mia testa.