«Da piccolo, quando avevo una fantasia strana, mia madre, mia nonna e le mie zie facevano di tutto per non deluderla, per coltivarla prima che arrivasse l’inverno dell’età adulta. Oggi compio 50 anni e non traballo, io ballo, per un istante e quindi per sempre. A ogni passo rischio di cadere. Rischio di essere felice». Sono parole di Fabio Genovesi, ora in libreria con Mie magnifiche maestre (Mondadori), un romanzo pieno di poesia che ci trasporta nei luoghi della sua infanzia in Versilia per raccontarci le preziose lezioni imparate dalle donne della sua vita.

La trama di Mie magnifiche maestre

Tutto parte, nella settimana che precede il compimento dei 50 anni, da un racconto-bilancio che Fabio Genovesi fa insieme a chi lo ha cresciuto. E che gli torna in sogno, «perché i sogni non sono la fine della realtà, come la morte non è la fine della vita» scrive l’autore toscano, collaboratore del Corriere della Sera, voce delle telecronache Rai al Giro d’Italia, vincitore nel 2015 del Premio Strega Giovani con Chi manda le onde, autore di romanzi toccanti come Il mare dove non si tocca, Cadrò sognando di volare, Il calamaro gigante. In quest’ultimo chi sono le sue magnifiche maestre? La prima, la trisnonna Isolina, ha messo in chiaro le regole del matrimonio la notte in cui ha piantato una falce nel fianco di suo marito. Dal loro amore è scaturita una famiglia un po’ sopra le righe, ma legata dal collante più prezioso: l’amore. Poi ci sono la mamma, le zie Gilda e Irene, le cugine, la compagna di scuola Azzurra e Benedetta, figlia di un’amica di famiglia… Ognuna un sogno, e tutte a formare una costellazione familiare da cui prendere insegnamenti che hanno fatto dell’autore un 50enne incredulo di essere ormai “grande”: un uomo che vive senza l’arroganza delle certezze e delle scelte esatte, ma aperto al mutare delle cose, al rischio costante di essere felice.

Com’è nato il nuovo romanzo di Fabio Genovesi

Nonne, zie, cugine, amiche di famiglia arrivano nei sogni alla vigilia dei 50 anni. Come nasce il romanzo?

«Ho avuto la fortuna di essere cresciuto in una famiglia in cui i sogni erano considerati importanti. Nel passato si dava grande importanza ai sogni, oggi tendiamo a razionalizzare tutto. Dopo la nascita della psicanalisi ci siamo infilati anche in quelli, pretendiamo di spiegare l’inconscio. Noi nel profondo sappiamo che cosa siamo, cosa vogliamo, ma pensandoci troppo addosso tendiamo a dirci bugie, ci falsifichiamo».

La saggezza della madre e il femminismo della trisnonna

Le donne della sua vita non hanno fatto grandi cose, ma cose grandi. A partire da sua madre…

«Mia madre era una compagna di gioco, aveva una saggezza innata e risolveva ogni problema con un “Lascia perdere, che cazzo te ne frega?”. Sembra banale, ma in un mondo in cui i genitori influenzano ogni scelta dei figli vale tanto. Un giorno prese il libretto delle giustificazioni scolastiche, lo firmò in ogni pagina e mi disse di usarle quando mi servivano. E se c’era un giorno di sole mi portava al mare, perché “la scuola c’è tutti i giorni, ma una bella giornata no”. Non mi ha fatto vivere nella colpa ma nella felicità, non ha mai giudicato le mie scelte».

La storia parte dalla trisnonna Isolina, femminista ante litteram…

«Isolina si è ribellata al marito Fortunato e gli ha piantato un colpo di falce nel fianco, stabilendo la regola della parità e del rispetto, fuori e dentro il letto. La lezione che mi ha lasciato è che se non ci si ribella alle cose brutte poi si finisce con l’abituarsi. Nella vita non dobbiamo rassegnarci a ciò che fa stare male, ma “rischiare” sempre di essere felici».

La copertina di Mie magnifiche maestre di Fabio Genovesi (Mondadori).
La copertina di Mie magnifiche maestre di Fabio Genovesi (Mondadori).

Fabio Genovesi: «Il vero uomo non è un maschio alfa»

Lev Tolstoj diceva: «Moriamo solo quando non riusciamo a mettere radici in altri». Chi le ha insegnato a non aver paura della morte?

«Noto che oggi i genitori preservano i figli da qualsiasi trauma, rischiando che prendano grandi mazzate dopo. Invece zia Gilda mi portava ai funerali del paese, così ho capito che la morte è un passaggio naturale, che ci fa apprezzare di più la vita. Da lei ho imparato anche l’importanza delle storie: mi raccontava la vita di ogni defunto, quindi ho capito che l’unico modo per non morire è lasciare agli altri una storia. E le storie che si ricordano di più sono quelle di chi ha fatto del bene».

Da chi ha imparato che la diversità è ricchezza e che il vero uomo non è un maschio alfa?

«Zia Irene si vestiva da uomo e un giorno mi rivelò che le piacevano le donne. Mi disse anche che per lei io non ero né maschio né femmina, non ero niente di preciso. Una cosa che oggi reputo un complimento, visto che non sono stato cresciuto come un maschio alfa. Non approvo chi dice ai figli maschi “Fatti rispettare” o “Reagisci”, diventeranno uomini orribili. Ci vuole più coraggio a fare un sorriso che a dare un pugno».

In che modo Benedetta e Azzurra le hanno insegnato a non fare scelte omologate?

«Benedetta aveva il privilegio della bellezza, ma non ha voluto servirsene. Azzurra era emarginata perché aveva dei problemi psichici. Da entrambe ho imparato che non c’è niente di strano a essere strani. Spesso i genitori insegnano l’omologazione, perché essere diversi ci sottopone al giudizio altrui. Ma chi passa la vita a fingere rischia di non essere mai felice».

Fabio Genovesi e la dedica alla figlia che non ha avuto

Cosa dovrebbero imparare gli uomini dalle donne, oggi?

«La cosa che più mi innamora è quando incontro donne che non considerano gli uomini dei nemici. L’aggressività è un errore: i muri si abbattono con il dialogo e il sorriso. Le mie donne mi hanno insegnato che gli uomini sono “montagna”: piantati al suolo, sono barriere e confini. Mentre le donne sono “mare”: fluide, curiose, si allargano ovunque. Molti uomini si vantano di essere “montagna”, invece io credo che dovremmo essere più “mare”. Non è un caso che le donne vivano più a lungo: spendere meglio la vita fa bene alla salute».

Il libro termina con una danza con la figlia femmina che non ha mai avuto. Che cosa le direbbe, se esistesse?

«Le direi “Divertiti. Se starai bene tu, farai stare bene anche chi ti sta attorno”. Questo non è il romanzo di un 50enne in crisi, è un romanzo contro il tempo: passiamo la vita pensando al passato, o progettando il futuro, ma dovremmo vivere il presente, godere l’attimo fuggente. A mia figlia direi di svegliarsi ogni giorno come una turista della vita, sempre in viaggio. Perché anche se la vita non è una cosa seria, in fondo è tutto quello che abbiamo».