Per prepararmi all’incontro con Federica mi sono guardata di fila 7 puntate di Atypical (la serie su Netflix, consigliatissima), sono andata a curiosare il suo profilo Instagram e ho cercato di appropriarmi di termini e di definizioni che potessero in qualche modo aprirmi delle porte. Perché Federica Giusto, oltre a essere una ballerina incredibilmente energica e bella – il suo nome d’arte è Red Fryk Hey e ha vinto diversi contest anche a livello internazionale – è una persona autistica e fa attivismo sui suoi canali social per cercare di fare capire alla gente cosa significhi essere autistico. E di porte da aprire in questo caso ce ne sono davvero molte. Prima cosa: «Io sono una persona autistica, non ho l’autismo» specifica. Come a dire: non è una malattia di cui si soffre. «Il più grande problema è che si sa poco di noi persone autistiche, non tutti vogliono ascoltarci e la società e l’ambiente si basano su regole neurotipiche che vanno contro il nostro funzionamento. Questo ci mette in serie difficoltà, non il fatto che siamo persone autistiche». È fatta così.
L’autismo non è una disabilità cognitiva
Già ma cosa significa? «Bisogna partire dal concetto di neurodiversità: ogni mente umana è diversa dalle altre. Poi ci sono le persone neurotipiche, che sono quelle con una mente tipica, quella più diffusa al mondo, e quelle atipiche che hanno la mente che funziona in un certo modo. Tra queste ci sono le persone autistiche» mi spiega mentre la stanno truccando. Federica parla di spettro autistico, «un termine cappello dove rientriamo noi persone autistiche, che siamo tutte diverse tra noi ma abbiamo caratteristiche in comune per essere definite tali. Per questo, nello spettro rientrano sia le persone autistiche con compromissioni gravi e disabilità cognitiva sia quelle senza, come me». Mi spiega poi che non si può essere un po’ autistico o tanto autistico e che gli stigma e i pregiudizi che circondano lei e le altre persone come lei sono legati al fatto che, fino a poco tempo fa, autismo era sinonimo di disabilità cognitiva «ma io non dimentico che esistono persone con gravi compromissioni o che non sono in grado di parlare e, per questo, parlo per far sì che si possano comprendere meglio anche loro. Voglio far capire come funzioniamo».
Federica Giusto è la protagonista del servizio di moda del numero di Donna Moderna in edicola il 5 agosto 2021. Guarda la gallery:
E come funziona la tua testa?
La mia percezione rispetto alle persone cosiddette neurotipiche può essere iper sensoriale o iposensoriale. Faccio un esempio: io non percepisco alcuni stimoli ma ne percepisco altri al 1000%. Questo non fa di me una persona con sensorialità errata, è solo diversa. La cosa da capire è l’intensità: o tutto o niente. Emozioni fortissime o indifferenza. Non c’è la via di mezzo».
Fammi un altro esempio
Un’altra caratteristica riconosciuta delle persone autistiche è che non guardiamo il nostro interlocutore in volto o negli occhi perché per il nostro funzionamento mentale quando ascoltiamo qualcuno si attiva sia la parte visiva sia quella uditiva in maniera molto intensa. E il cervello dice: “ok, arrivano troppe informazioni. Guarda da un’altra parte così ascolti meglio e capisci”. Questa cosa però varia da persona a persona, perché non siamo fatti con lo stampino. Io a volte lo faccio, altre no. Me lo hanno fatto sempre notare gli altri mentre per me era la normalità. Anzi io mi chiedevo: “Ma perché la gente mi fissa?”.
Nei tuoi video su Instagram dici che l’autismo ti è stato diagnosticato tardi
«A 31 anni. Ora ne ho 33. Ma già 5 anni prima avevo sospettato di rientrare nello spettro grazie a una persona vicina che mi ha spiegato cosa fosse. È stata una rivelazione: prima mi sforzavo di fare come le persone neurotipiche oppure venivo fraintesa o non creduta quando dicevo che provavo una determinata cosa. E così sono riuscita ad andare avanti. Anche se raccontarsi e fare attivismo non è affatto semplice. Spesso non siamo credute quando abbiamo crisi o sensazioni diverse dagli altri. Sai quante volte mi sono sentita ripetere: “Perché dici queste cose che non sono vere?”. Ti faccio un esempio banale: quando dico che la lana per me è uguale al dolore degli aghi nella pelle, la gente mi risponde che è impossibile. Eppure è la mia sensorialità che mi fa percepire così certi tessuti: mi fanno proprio male, dolore».
In questo modo arrivano le crisi?
«Ci sono dei momenti che si chiamano sovraccarico sensoriale, quando tutto è super amplificato per noi. Io a volte percepisco dei suoni che le altre persone non colgono. Non è che abbia un udito migliore, è che la mia mente li capta di più. Magari quel suono mi fa malissimo, mi distrae e mi manda fuori. E arriva un momento in cui vado in sovraccarico. Le crisi si chiamano shutdown quando sono interiori, non si vedono, tutto è fuori controllo e spesso si è bloccati. O meltdown quando invece si può diventare aggressivi. Per questo, è importante individuare cosa mi manda in sovraccarico e credere a quello che dico, per evitare che io debba stare male. Se non si sa come funziona la nostra mente, si rischia di farci del male. Sapendolo, invece, potremmo vivere tutti serene e sereni».
Quando ti capitano le crisi cosa fai?
«Lo stimming aiuta: annusare profumi, battere i piedi, giocare con gli elastici, fare movimenti ripetitivi».
E poi per te c’è la danza.
«È stato il mio primo interesse assorbente. Per le persone autistiche gli interessi assorbenti sono quelli su cui ci fissiamo automaticamente in maniera fortissima. La danza mi ha permesso di esprimermi quando non riuscivo, e non riesco, a far capire quello che mi passava per la testa o, ancora di più, quando non riuscivo a comunicare. Sul palco sono felice e posso raccontare tramite il mio corpo e la musica le mie storie».
Per quanto riguarda la moda, come devono essere i tessuti? E i colori?
«In generale, noi persone autistiche preferiamo tessuti morbidi e la maggioranza di noi prova fastidio o anche dolore con le etichette molto rigide. Essendo principalmente una hip hop dancer, adoro lo stile street con taglie morbide e ampie. Poi, come penso si sia capito, il rosso è tra i miei interessi assorbenti: meraviglioso, caldo, sinuoso. Ho l’armadio pieno di indumenti rossi in tutte le sue sfumature. Lo associo al nero, al bianco, al beige e ai jeans».
Provi delle emozioni quando indossi un abito particolare?
«È molto comune, tra le persone autistiche, avere vestiti identici tra loro. Mi ci affeziono, come se fossero persone. Mi lego al loro movimento, all’odore, a come cadono sulla pelle e come mi fanno sentire a mio agio nei movimenti. Ne ho molti simili o addirittura uguali. Come delle T-shirt che ho comprato in serie, taglia L, morbidissime con disegni di graffiti. Indossarle e rivederle su di me, mi dà una sensazione di stabilità, di regolarità, di tranquillità ed equilibrio costante. E quando ballo mi fanno viaggiare mentalmente».
E come scegli un vestito? A seconda della forma, del colore, dell’umore della giornata?
«Scelgo la sfumatura di rosso in base a quello che sento di poter trasmettere ballando. Ballo tutti i giorni ore e ore per lavoro ma in primis per passione profonda. Anche se ballo da sola devo percepire la sensazione attraverso ciò che indosso, come se diventasse la mia seconda pelle. Se mi sento così mentre ballo, allora va benissimo lo stesso vestito anche per camminare o per tutto il giorno».
Il trucco cos’è: un gioco, una difesa?
«Il rossetto per me è teatro. Quando ballo sul palco, la mia seconda casa, esigo il rossetto. Poi, più del mascara, per me è fondamentale il tratto della matita attorno agli occhi, mi rappresenta molto. Nero sopra e rosso sotto, un po’ vampiresco, come piace a me. Adoro il suono che fa mentre lo stendo, anche se spesso lo metto storto (ride). Invece, non sopporto fondotinta e creme: le percepisco troppo forti».
Per finire, ho una curiosità: amicizia e amore, come li vivi?
«Quando la gente mi dice: “Ti voglio bene” io non ho mai capito cosa vuol dire, cosa si prova. Ma ho capito che per le altre persone spesso è motivo di sofferenza. L’amicizia è sempre stata un’incognita: non riesco a capire come si facciano a spartire esperienze, emozioni, pensieri di un certo valore con tante persone. Però non significa che non sappia socializzare. Ho trovato delle strategie, anche se a volte richiedono fatica, ed è così per tutte le persone autistiche: condivido i miei interessi assorbenti e così sto in gruppo senza problemi. Nel caso invece di un partner, che al momento non ho, la persona diventa tutto: amico/a, compagno/a di avventure, fidanzato/a. Voglio tanto contatto fisico e voglio che sia chiaro e descritto nel minimo dettaglio il sentimento che prova l’altra persona e così non mi sento invasa per niente, mentre nell’amicizia sì. Insomma: quando si capirà che l’autismo è una delle tante diversità esistenti al mondo non saremo più persone viste come un problema».
Di Paolo Lapicca — foto di Davide Nova — testi di Antonella Marmieri — intervista di Isabella Fava